Nell'aprile 1910 il Consiglio Provinciale di Mantova informò il Comune di Castel Goffredo di aver raggiunto un accordo con la società belga Société Anonyme d'Entreprise Generale de Travaux per la realizzazione della linea Medole-Casaloldo che avrebbe permesso al paese di uscire dall'isolamento.[1] La costruzione fu subordinata alla congiunzione di Asola con Cremona.
Il progetto definitivo fu steso dalla SNFT e la costruzione fu affidata alla Tranvie Provinciali Mantovane (TPM), che aveva in mano le altre due tranvie del mantovano: la Mantova-Asola e la Mantova-Viadana. Nel marzo 1926 iniziarono i lavori di realizzazione della linea che, vista la distanza di soli 11 km tra i due capolinea, prevedeva l'impiego di un'automotrice elettrica, alimentata da accumulatori. A Medole venne edificato un fabbricato, ancora esistente, per la ricarica e il rimessaggio dell'automotrice, costruita nel 1927 dalla bergamascaRognini & Balbo, in collaborazione con la Tecnomasio Italiano Brown Boveri.[2]
Il collegamento celere tra la rete tranviaria piacentina, gestita dalla SIFT, la rete cremonese, quella mantovana e Desenzano del Garda (situata su una diramazione della Brescia-Mantova-Ostiglia) fu infine concretizzato nel 1930[3]: il 15 ottobre di tale anno venne eseguita la visita di ricognizione da parte del direttore del Circolo ferroviario di Brescia, al fine di ottenere la necessaria autorizzazione all'esercizio e il successivo 18 ottobre ebbe inizio il regolare servizio.
Nel 1932 venne rilevato dalle competenti autorità che il servizio non veniva adeguatamente utilizzato. Tra le principali ragioni della scarsità di passeggeri è facile ipotizzare l'elevato costo del biglietto, reso ancor più gravoso dalla crisi economica di quegli anni, che rendeva il servizio proibitivo per l'utenza popolare.
La linea era lunga 10,130 km dei quali 3,76 km in sede propria. La pendenza massima era di 6 mm/m e il raggio minimo delle curve era di 60 m. La velocità massima consentita era di 30 km/h per i tram a vapore e di 40 km/h per le automotrici elettriche.
Percorso
Lunga complessivamente 11 chilometri, la linea si diramava dalla Mantova-Asola in corrispondenza della stazione di Casaloldo, per poi dirigersi verso nord-est, lungo la direttrice poi denominata strada provinciale 8, passando per Castel Goffredo e raggiungendo la stazione di Medole, posta sulla Brescia-Mantova.
Il deposito della TPM era situato a Medole, nei pressi della stazione tranviaria principale di piazza della Vittoria; tale edificio risulta ancora in opera.
Materiale rotabile
Fin dall'inizio il servizio fu svolto con una delle quattro automotrici a carrelli ad accumulatori, costruite dalla milanese Rognini & Balbo con parte elettrica del Tecnomasio Italiano Brown Boveri ed entrate in servizio fra il 1927 e il 1928. Tali unità potevano trasportare 70 persone e raggiungere una velocità massima di 40 km/h[3]. Le prime due unità erano di nuova costruzione, mentre le seconde risultavano dalla ricostruzione di altrettante rimorchiate a carrelli. Chiuse le tranvie mantovane, furono cedute nel 1935 alla tranvia Monza-Trezzo-Bergamo, dove restarono in servizio sino al 1958[5].
Note
^ Piero Gualtierotti, Un tram che si chiama desiderio, in Il Tartarello, n. 3, settembre 2010, pp. 3-66.
^Giancarlo Ganzerla, Binari sul Garda. Dalla Ferdinandea al tram: tra cronaca e storia, Grafo, 2004
^abAlbertini e Cerioli, Trasporti nella Provincia di Cremona, op. cit., p. 130.
^Claudio Cerioli, Tranvie Provinciali Cremonesi, in I Treni Oggi, n. 1, settembre 1980, pp. 13-16.
^G. Cornolò e N. Molino, Le tramvie della provincia di Mantova, op. cit.
Bibliografia
Davide Damiani, Il treno e la stazione, tranvie e ferrovie secondarie a Mantova, Modena, Bomporto, 1983.
Giovanni Cornolò, Nico Molino, Le tramvie della provincia di Mantova, in Locomotive ad Accumulatori, Duegi, Padova, 2007, pp. 63–64. ISBN 88-95096-06-1.
Mario Albertini, Claudio Cerioli, Trasporti nella provincia di Cremona. 100 anni di Storia, 2ª ed., Cremona, Editrice Turris, 1994. ISBN 88-85635-89-X
Piero Gualtierotti, Un tram che si chiama desiderio, in Il Tartarello, n. 3, settembre 2010, pp. 3-66.