Nacque a Torino da Giovanni Saragat e da Ernestina Stratta. Il padre era un avvocato di Sanluri di ascendenze galluresi, precisamente di Tempio Pausania (il cognome originario era Saragattu-Mulinas, da qui la pronuncia «etimologica» Saragàt[2] che tuttavia non si è affermata) che si era trasferito nella città sabauda nel 1882.
Era secondo di tre fratelli, preceduto da Eugenio detto Ennio (1897-1929) e seguito da Pietro (1899-1938). Ai figli il padre aveva trasmesso le sue idee liberali, nonché la passione per la montagna (il primogenito morì prematuramente in un incidente alpinistico)[3]. Dopo aver frequentato la scuola elementare "Pacchiotti", entrò all'istituto "Sommeiller", uscendovi nel 1915 con il diploma in ragioneria. Nel 1916 fu richiamato alle armi e prese parte alla Grande Guerra come tenente di artiglieria; combatté sul Carso e ottenne una croce di guerra.
Congedato, il 17 luglio 1920 conseguì la laurea in Scienze economiche e commerciali, presentando una tesi sul porto di Rotterdam. Il 2 novembre successivo fu assunto alla Banca Commerciale Italiana come contabile[3]. Alla professione forense alternava quelle di poligrafo e di giornalista, scrivendo articoli di cronaca giudiziaria per la Gazzetta Piemontese. La madre era figlia di un rinomato pasticcere[3].
Esordi in politica
Nel 1922 aderì al socialismo, non tanto per vocazione ideologica, quanto per solidarietà nei confronti della gente povera, ovvero quel proletariato che andava organizzandosi, oppresso dai "figli di papà" come ebbe a dire lui stesso.
Il PSU fu uno dei partiti più perseguitati d'Italia all'epoca del regime fascista. Dopo l'uccisione del suo segretario Matteotti (10 giugno 1924), fu il primo a essere sciolto, il 14 novembre 1925, a causa del fallito attentato a Mussolini del suo iscritto Tito Zaniboni, avvenuto il 4 novembre.
Dopo l'approvazione delle leggi eccezionali che instaurarono la dittatura fascista in Italia, Saragat scelse la via dell'esilio, valicando il confine con la Svizzera, in compagnia dell'amico Claudio Treves, nella notte tra il 19 e il 20 novembre 1926 e poi trovò rifugio in Austria. A Vienna entrò in contatto con alcuni autorevoli esponenti dell'austromarxismo che teorizzavano la conciliabilità del pensiero di Marx con la socialdemocrazia (in particolare Karl Renner e Otto Bauer) e, più in generale, con personalità della socialdemocrazia mitteleuropea che influenzarono la sua formazione intellettuale.
Il 12 dicembre 1926 l'anziano Filippo Turati, pur essendo privato del passaporto, riuscì a fuggire in Corsica insieme con Sandro Pertini, con un motoscafo guidato da Italo Oxilia[6]. Turati e Pertini si stabilirono a Parigi, dove furono presto raggiunti da Treves e, nel 1929, anche da Saragat.
In Francia, per sbarcare il lunario, Saragat svolse il mestiere di rappresentante di vini[7]. Contemporaneamente, strinse con il socialista Pietro Nenni un'alleanza politica che portò, il 19 luglio 1930, al rientro del PSULI di Filippo Turati nel Partito Socialista Italiano (Parigi, XXI Congresso del PSI). Nacque allora il controverso rapporto tra i due, che sarebbero diventati i principali esponenti del socialismo italiano, a volte denominati "i cari nemici" o "gli amici-rivali".
Saragat e la Resistenza
Saragat rientrò nella Penisola italiana all'indomani della caduta del fascismo nel luglio del 1943. Fu arrestato alla frontiera di Bardonecchia perché figurava ancora nell'elenco dei sovversivi.
Dopo pochi giorni, tuttavia, Badoglio liberò i prigionieri politici e Saragat poté recarsi a Roma dove, il 25 agosto, prese parte alla prima direzione che sancì la ricostituzione del Partito Socialista Italiano in Italia (con il nome di PSIUP); fu eletto alla nuova direzione del partito e nominato direttore dell'Avanti!.
Con l'occupazione tedesca di Roma, Saragat entrò nella Resistenza. Il 28 settembre, con Nenni e Pertini, rinnovò il patto di unità d'azione tra PSI e PCI. Il 18 ottobre, sempre insieme a Pertini, fu arrestato dalle autorità tedesche e venne rinchiuso nel carcere romano di Regina Coeli, prima nel VI braccio (politici), poi nel III (condannati a morte)[8].
Riuscì a evadere il 24 gennaio 1944 grazie a un gruppo di partigiani che falsificarono un ordine di scarcerazione[9]. L'azione, dai connotati rocamboleschi, fu organizzata da Giuliano Vassalli (che aveva lavorato come avvocato presso il tribunale militare italiano, trafugando timbri e carte intestate), con l'aiuto di altri partigiani socialisti delle Brigate Matteotti, tra cui Francesco Malfatti di Monte Tretto, Giuseppe Gracceva, Massimo Severo Giannini, Filippo Lupis, Ugo Gala[10] e il medico del carcere Alfredo Monaco[10][11]. Saragat e Pertini furono dapprima fatti passare dal "braccio" tedesco del carcere a quello italiano e quindi i partigiani presentarono ordini di scarcerazione falsi, redatti dallo stesso Vassalli, per la loro liberazione. A conferma dell'ordine arrivò anche una falsa telefonata dalla questura, fatta da Marcella Ficca, moglie di Alfredo Monaco[12].
I due politici socialisti furono dunque scarcerati insieme a Luigi Andreoni, anziano padre dell'altro vice-segretario del PSIUPCarlo Andreoni (poi leader di un'altra formazione socialista rivoluzionaria denominata "Unione Spartaco") e a quattro ufficiali del Fronte Militare Clandestino, prelevati da partigiani travestiti da militari.
Saragat riprese quindi a lavorare clandestinamente alla direzione dell'Avanti!, nascondendosi in casa di Giovanni Salvatori, che poi fu trucidato alle Fosse Ardeatine[13]. Fu ministro senza portafoglio dal giugno al dicembre 1944 durante il governo Bonomi II. Successivamente si trasferì a Milano, dove lavorò per il Partito socialista.
«Noi siamo dei legislatori sui generis. Siamo gli stessi uomini che per venti anni hanno guidato la lotta contro il fascismo. Questi stessi uomini hanno elaborato il documento, ed essi hanno la possibilità e la capacità di mettere in pratica le norme che esso conterrà. Tale è l’impegno che dobbiamo prendere esaminando il progetto di Costituzione, ed è un impegno che non può figurare nel testo. Ma questo impegno è la parola più viva della Costituzione. Bisogna che dal corso dei lavori l’impegno traspaia evidente, e allora questo testo, che oggi è un testo freddo, troverà le vie del cuore del popolo. Perché, non dimentichiamolo, onorevoli colleghi, il testo è stato scritto col sangue del popolo italiano.»
(Giuseppe Saragat, Discorso all'Assemblea costituente, 6 marzo 1947)
Contrario al proseguimento dell'alleanza tra i socialisti e il Partito Comunista Italiano, nel gennaio del 1947 fu motore della cosiddetta "scissione di palazzo Barberini", dalla quale ebbe origine il Partito Socialista dei Lavoratori Italiani. Poche settimane dopo Alcide De Gasperi ruppe l'accordo con i socialisti "nenniani" e i comunisti. Il PSLI entrò poi nella coalizione centrista dei governi De Gasperi e Saragat fu più volte vicepresidente del Consiglio.
Durante la campagna elettorale e nei mesi successivi alle elezioni il Fronte gli rimproverò l'alleanza con la Democrazia Cristiana, usando contro Saragat alcune espressioni politicamente denigratorie quali "social-fascista", "social-traditore"[15], "rinnegato".
L'accusa di tradimento gli fu rivolta anche durante la seduta della Camera del 14 luglio 1948, successiva all'attentato alla vita del segretario del PCI Palmiro Togliatti, allorché il deputato comunista Gian Carlo Pajetta si rivolse a lui esordendo con le parole: «E lei, onorevole Saragat, e tu, traditore del socialismo, tu traditore...»[16].
La fedeltà del PSLI alla linea politica di Saragat, tuttavia, non fu mai totale. Ciò si vide alla vigilia del voto per l'adesione dell'Italia al Patto Atlantico (1949), di cui Saragat era un convinto assertore. All'interno del partito era diffusa la convinzione che ciò avrebbe compromesso le prospettive di una riunificazione con il PSI di Nenni. Saragat fu messo in minoranza dalla direzione del partito, sia pur per un solo voto e, successivamente, al gruppo parlamentare, ottenne 14 voti favorevoli alla NATO, ma con undici astenuti e un voto contrario[17].
Nel 1952 tuttavia si aprì all'interno del nuovo partito un aspro dibattito sulla riforma in senso maggioritario del sistema elettorale italiano, voluta dal governo De Gasperi, del quale Saragat era vicepresidente. Il 12 dicembre 1952, nel corso della discussione parlamentare per l'approvazione della nuova legge elettorale maggioritaria (che poi sarà detta legge truffa), Piero Calamandrei, in contrasto con le direttive di Saragat, annunciò il voto contrario suo e di altri sette colleghi[18]. Calamandrei e gli altri sette deputati furono sospesi dal gruppo parlamentare e poi uscirono dal partito per fondare Unità Popolare[19].
Il dissidio ideologico tra Nenni e Saragat ebbe fine all'indomani della pubblicazione del Rapporto segreto di Chruščёv, quando, nell'agosto del 1956, i due si incontrarono nella località francese di Pralognan, nelle montagne della Savoia, per formulare una comune strategia tra i loro partiti, che preludeva alla riunificazione e alla formula politica del centro-sinistra[20].
Le elezioni politiche del 1958 premiarono tale linea e, dalle urne, uscì il secondo Governo Fanfani, composto dalla DC e dal PSDI, con l'appoggio esterno dei repubblicani che, peraltro, pur denominato di "centrosinistra", vedeva il PSI ancora all'opposizione. Per l'avvento del primo governo "organico" di centrosinistra, invece, si dovette attendere il 4 dicembre 1963 (Governo Moro I), con Saragat ministro degli Esteri.
Lo statista piemontese fu confermato al ministero degli Esteri nel successivo Governo Moro II, che entrò in carica il 22 luglio 1964, all'indomani del presunto tentativo di colpo di Stato del generale De Lorenzo (Piano Solo). Dopo soli pochi giorni (7 agosto), Saragat e il presidente del Consiglio Aldo Moro ebbero un colloquio con il Presidente della RepubblicaAntonio Segni al termine del quale il Capo dello Stato fu colpito da trombosi cerebrale. Nessuno dei presenti rilasciò mai dichiarazioni pubbliche sul contenuto del colloquio.[21] Si è sempre ritenuto che Segni si sia sentito male durante una lite con i due membri del governo che gli chiedevano interventi risoluti contro il generale. Tuttavia, secondo la testimonianza del suo segretario particolare Costantino Belluscio, Saragat avrebbe confidato al medesimo che i tre stavano discutendo di un avvicendamento di diplomatici, ma senza accalorarsi particolarmente[22].
Al malore di Segni seguì l'accertamento della condizione d'impedimento temporaneo del Presidente della Repubblica; il Presidente del SenatoCesare Merzagora assunse le funzioni di Presidente supplente, sino alle dimissioni volontarie di Antonio Segni (dicembre 1964).
Alle elezioni del Presidente della Repubblica del 1962, Saragat era stato, sino all'ultimo, l'avversario più temibile per Antonio Segni. Presentato come candidato di bandiera del PSDI, era riuscito a far confluire sul suo nome anche i voti del PSI (a partire dal secondo scrutinio) e poi quelli del PCI (dal terzo in poi). Era stato sconfitto solo grazie all'appoggio determinante, in favore di Segni, dei voti della destra monarchica e neofascista.
Al primo turno delle elezioni del Presidente del 1964, Saragat fu presentato come candidato comune dei due partiti socialisti, mentre la DC e il PCI presentarono rispettivamente Giovanni Leone e Umberto Terracini. Emerse quasi subito, tuttavia, una candidatura alternativa in casa democristiana, quella di Amintore Fanfani, che diventò progressivamente sempre più consistente.
Dopo sette turni infruttuosi, i due partiti socialisti, vista la temporanea impossibilità di una candidatura comune della maggioranza di centro-sinistra, decisero di astenersi. Al decimo scrutinio i socialisti del PSI cominciarono a votare per Pietro Nenni che, a partire dal 13º, divenne il candidato comune anche di PSDI e PCI; nel frattempo, Fanfani si ritirava dalla contesa.
Dopo quindici scrutini, si ritirò anche Giovanni Leone e, al 18º, ci fu l'accordo tra democristiani e socialdemocratici per votare Saragat, mentre PCI e PSI continuavano a sostenere Nenni. Infine, dopo tre votazioni nelle quali i leader dei due partiti socialisti si erano affrontati in uno scontro quasi "fratricida", Nenni chiese ai parlamentari che lo supportavano di far confluire i propri voti a quelli dell'eterno "amico-rivale".
Giuseppe Saragat fu così eletto Presidente della Repubblica Italiana, il 28 dicembre 1964, al ventunesimo scrutinio, con 646 voti su 963 componenti l'assemblea (67,1%), in quella che, sino ad allora, era stata l'elezione più contrastata alla massima carica dello Stato.
Durante il mandato, Saragat, apertamente atlantista, ebbe a scontrarsi con la politica pro-araba di Amintore Fanfani, che gli era succeduto al Ministero degli Esteri. Fanfani, preoccupato dall'esigenza di evitare che i paesi arabi cercassero protezione a Mosca, stava dando l'impressione di lavorare per l'uscita dell'Italia dall'Alleanza atlantica, soprattutto allo scoppio della "Guerra dei sei giorni" (1967), nella quale gli Stati Uniti d'America avevano assunto una posizione filo-israeliana e contraria al nazionalismo arabo. Ne risultò, in politica estera, una specie di diarchia che finì per essere neutralizzata solo dalla prudenza del Presidente del ConsiglioAldo Moro[23].
Per tranquillizzare gli Stati Uniti d'America, nel settembre del 1967, fu organizzato un viaggio ufficiale del Presidente della Repubblica a Washington, nel quale Fanfani, che accompagnò Saragat, seppe rimanere dietro le quinte[24].
Nel 1966, da presidente della Repubblica, Saragat donò al Comune di Roma gran parte della spiaggia appartenente alla Tenuta presidenziale di Castelporziano, con il solo vincolo della destinazione a verde pubblico, ed essa divenne la spiaggia libera attrezzata più grande d'Europa, per una lunghezza di circa 2 km[25].
Nel frattempo, la politica di centro-sinistra e la Presidenza della Repubblica Saragat, favorirono la realizzazione di un annoso obiettivo: la riunificazione socialista.
Il 30 ottobre 1966 il PSI e il PSDI si riunificarono nel "PSI-PSDI Unificati" (soggetto noto con la denominazione Partito Socialista Unificato). La fusione fu proclamata davanti a 20-30.000 persone dalla Costituente socialista riunita al Palazzo dello Sport dell'EUR di Roma. Tale riunificazione, tuttavia, durò solo tre anni. Le elezioni politiche del 1968, infatti, risultarono una sconfitta per il Partito Socialista Unificato che, complessivamente, perse 29 seggi alla Camera[26].
Le correnti meno legate a Nenni del partito tornarono a reclamare una strategia volta a riassorbire i consensi perduti a sinistra, determinando una sempre maggior inquietudine tra gli ex-socialdemocratici. Nel luglio 1969 Nenni tentò di salvare l'unificazione, presentando una mozione "autonomista", appoggiata anche dalla componente "saragattiana" ma che fu sconfitta dalla linea più a sinistra di De Martino. Immediatamente si consumò una seconda scissione socialdemocratica.
Saragat fu assolutamente rispettoso della volontà del Parlamento: nel suo settennato, non rinviò mai un provvedimento alle Camere per riesame e conferì sempre l'incarico di formare il governo agli esponenti indicati dalla maggioranza parlamentare. Sembra che, per tale motivo, il tentativo di golpe orchestrato da Junio Valerio Borghese, per la notte tra il 7 e l'8 dicembre 1970, prevedesse la cattura e il suo rapimento, da effettuarsi a cura del maestro venerabile della Loggia P2, Licio Gelli[27].
Terminato il suo mandato, divenne di diritto senatore a vita ed ebbe anche l'occasione di ritornare alla guida del suo partito, di cui resse la carica di segretario, tra il marzo e l'ottobre del 1976.
Era coniugato con Giuseppina Bollani, da cui ebbe due figli.[31] Giovanni (1926-2007), Ernestina (1928)[32][33] A quest'ultima affidò la cura del Quirinale, durante il suo settennato, e la volle al suo fianco anche nelle uscite ufficiali[34].
Secondo i giornalisti Ferruccio Pinotti e Roberto Fabiani, aderì alla Massoneria in gioventù[35]. Stando alle testimonianze dell'epoca, abiurò questa appartenenza e si convertì negli anni '50/'60 al cattolicesimo, divenendo così un cattolico praticante, soprattutto dopo la morte della moglie Giuseppina (cattolica) (1961) e la vicinanza di padre Virginio Rotondi[36]. La sua conversione venne però smentita dallo stesso Saragat in un suo articolo pubblicato il 17 agosto 1961 sul Corriere della Sera.[37]
Pensiero politico
Socialista riformista, Saragat è considerato il padre della dottrina socialdemocratica italiana. Tuttavia, in luogo dell'aggettivo "socialdemocratico", egli preferiva usare, per descrivere sé stesso, la definizione di socialista democratico. Riformista, egli accettò l'adesione dell'Italia all'alleanza occidentale (fu favorevole al Piano Marshall e all'ingresso dell'Italia nella NATO); Saragat era convinto che la socialdemocrazia potesse essere politicamente un valore aggiunto e che avrebbe potuto avere una posizione elettoralmente egemonica, come del resto avveniva nei paesi del nord-Europa.
Onorificenze
Onorificenze italiane
Nella sua qualità di Presidente della Repubblica italiana è stato, dal 29 dicembre 1964 al 29 dicembre 1971:
^ Segretariato generale della Presidenza della Repubblica-Servizio sistemi informatici, Biografia del Presidente Giuseppe Saragat, su I Presidenti. URL consultato il 15 giugno 2023.
V. Cirillo, Giuseppe Saragat tra resistenza e centrosinistra, in R. Bonuglia (a cura di), "Economia e politica da Camaldoli a Saragat (1941-1971)", Roma, Nuova Cultura, 2007.
N. Dell'Erba, Democrazia e socialismo in Giuseppe Saragat, in "Tempo Presente", Roma, dicembre 1985, n. 60, pp. 39–45.
U. Indrio, La presidenza Saragat: cronaca politica di un settennio 1965-1971, Milano, Mondadori, 1971.
Michele Donno, Alle radici della scissione socialista. Giuseppe Saragat ambasciatore in Francia, in Ventunesimo Secolo, vol. 4, n. 8, ottobre 2005, pp. 159-204, JSTOR43611973.
V. Statera, Saragat: il coraggio delle idee, Roma, Ital, 1984.