Prese parte al dibattito sulla partecipazione italiana alla prima guerra mondiale su posizioni fieramente interventiste, e allo scoppio del conflitto si arruolò come volontario, meritandosi l'elogio di Francesco Saverio Nitti alla Camera e del generale Diaz e ottenendo una medaglia d'argento al valor militare.[4] A gennaio 1919 entrò a far parte del governo Orlando come sottosegretario all'Industria, Commercio e Lavoro, e tenne l'incarico sino al marzo 1920, anche sotto il governo Nitti I. Alle elezioni del novembre 1919 fu rieletto deputato per la lista radicale. Nell'effimero governo Nitti II, rimasto in carica dal 22 maggio al 10 giugno 1920, rivestì la carica di ministro delle colonie.[5]
L'opposizione al fascismo
Nettamente avverso al fascismo, Ruini avviò una coraggiosa campagna contro il regime dalle colonne del quotidiano Il Mondo. Nel novembre del 1924, pur non essendo parlamentare, si unì alle opposizioni durante la secessione dell'Aventino e aderì quindi all'Unione Nazionale di Giovanni Amendola. Nel 1927 fu estromesso dal Consiglio di Stato, costretto ad abbandonare tutte le attività politiche e privato dell'esercizio dell'avvocatura e dell'insegnamento[4], vivendo di una modesta pensione. Si dedicò allora principalmente agli studi storici.[3]
Nel 1942 fondò in clandestinità, con Ivanoe Bonomi, il partito della Democrazia del Lavoro di cui fu anche segretario. Alla caduta del fascismo fu tra i promotori del Comitato delle forze antifasciste e poi del C.L.N. in rappresentanza di Democrazia del Lavoro. Entrò a far parte della Consulta nazionale.[2]
Fu ministro senza portafoglio nel Governo Bonomi II (giugno-dicembre 1944) e ministro dei lavori pubblici nel Governo Bonomi III (dicembre 1944-giugno 1945). Fu poi ministro per la Ricostruzione nel governo Parri (giugno-dicembre 1945).
Dal gennaio del 1945 era intanto diventato presidente del Comitato interministeriale della ricostruzione (CIR) e presidente del Consiglio di Stato, che presiedette sino al raggiungimento dei limiti d'età, il 14 dicembre 1947[6]. Suo consigliere economico nonché capo di gabinetto fu il giovane economista Federico Caffè.
Deputato alla Costituente
Il 2 giugno 1946 fu eletto deputato all'Assemblea Costituente, e divenne presidente della "Commissione dei 75", incaricata di redigere il testo costituzionale.[7] Gli fu riconosciuta, da presidente della Commissione dei 75, la dote di mediatore tra le diverse istanze politiche e sociali che si manifestarono durante la stesura della Costituzione.[2]
La presidenza del Senato
In virtù della terza disposizione transitoria e finale della Costituzione, Ruini, che era stato deputato per tre legislature senza compromissioni con il fascismo, divenne senatore di diritto della I legislatura della Repubblica Italiana e aderì al gruppo misto.
«Affronto quest'opera con la stessa fermezza con la quale andai, con i capelli già grigi, sul Carso»
(Senato della Repubblica, Verbale della seduta del 25 marzo 1953)
Nei pochi giorni di presidenza - il Parlamento sarebbe stato sciolto dal presidente della Repubblica il 4 aprile - fu duramente contestato per l'atteggiamento avuto durante il dibattito sulla cosiddetta legge truffa. Poco prima che il testo di legge fosse messo ai voti senza discussione degli emendamenti - la maggioranza aveva infatti posto la questione di fiducia sul provvedimento - l'ex presidente dell'Assemblea CostituenteUmberto Terracini, membro del gruppo comunista, dichiarò nei suoi confronti:
«Mi permetto di chiederle, signor Presidente, se da questo momento ella ha annullato, con atto di autorità, il Regolamento del Senato della Repubblica. Ciò per sapere come io debba condurmi nell'esercizio del mandato per cui seggo in quest'Aula»
(Senato della Repubblica, Verbale della seduta del 26 marzo 1953, p. 40777)
L'indomani, a provvedimento approvato, se le forze della maggioranza plaudevano alla modalità con la quale il presidente del Senato aveva condotto i lavori d'aula nonostante il clima di tumulto, i gruppi parlamentari del PCI e del PSI affidarono congiuntamente alla stampa un durissimo comunicato nel quale annunciavano la volontà di denunciare Ruini per attentato contro la costituzione dello Stato (art. 283 del codice penale) e attentato contro gli organi costituzionali (art. 289).[8] L'iniziativa non ebbe seguito.
Dopo la presidenza
Nelle elezioni del 1953 Meuccio Ruini non si ricandidò in Parlamento annunciando il ritiro dalla politica attiva e l'impegno a sviluppare l'approfondimento teorico delle questioni aperte dalla nuova Costituzione repubblicana, che si tradusse nella fondazione della collana I quaderni della Costituzione.
Il 2 marzo 1963 il presidente della RepubblicaAntonio Segni lo nominò senatore a vita "per avere illustrato la Patria con altissimi meriti nel campo scientifico e sociale"[2]. Tenne l'incarico nominalmente nella III legislatura (all'atto della nomina il Parlamento era già stato sciolto e le elezioni indette per il successivo 28 aprile), e poi nella IV e nella V legislatura. Il 5 giugno 1968, nella seduta di insediamento del Senato, in qualità di senatore più anziano anagraficamente servì da presidente provvisorio sino all'elezione di Amintore Fanfani. Morì a 92 anni il 6 marzo 1970. Fu sepolto nel cimitero di Canossa, in provincia di Reggio Emilia.
Curiosità
Questa sezione contiene «curiosità» da riorganizzare.
Meuccio Ruini appartenne alla Massoneria: fu iniziato nella Loggia Rienzi di Roma il 5 maggio 1901[10][11][12]
Durante un'accesa seduta del Senato, fu colpito alla testa da un banco, divelto dal seggio da un componente dell'Assemblea. Non ne ebbe gravi conseguenze.
«Dopo aver dato per lungo tempo all'educazione morale della truppa la validissima opera sua, interrompeva la licenza non appena avuto sentore di prossime lotte cruente, alle quali partecipava nei posti più avanzati, distinguendosi per calma, energia e sprezzo del pericolo. Volontariamente, implorava ed otteneva di uscire dalla trincea in un momento dei più pericolosi, in zone percosse dalle raffiche nemiche, e riportava al comando utili e preziose notizie sulla situazione delle linee nemiche.» — Carso, quota 244, 22-23 agosto 1917.
^Meuccio Ruini, su degasperi.net, Alcide De Gasperi nella storia d'Europa. URL consultato il 24 marzo 2008 (archiviato dall'url originale il 2 marzo 2005).
^Sul contributo di Ruini alla Costituente, si veda Fondazione Lelio e Lisli Basso. La via alla politica. Lelio Basso, Ugo La Malfa, Meuccio Ruini protagonisti della Costituente, a cura di Giancarlo Monina, Milano, Franco Angeli, 1999.
^Paolo Bagnoli, L'istituzione del dialogo, Nuova antologia. luglio-settembre 2008, pp. 90-91: «Durante l’occupazione di Roma, mentre è rifugiato in San Giovanni in Laterano, per sfuggire alla cattura pensa all'Istituzione di un Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro che, nella sua proposta, si configura in maniera ben più profilata ed incisiva rispetto a come, successivamente, verrà varato. All'Assemblea costituente, quindi, Ruini porta il pensiero di una riflessione politico-giuridica che viene da lontano; un pensiero motivato dalle preoccupazioni che lo scontro sociale, come era avvenuto nell’Italia liberale dopo la Prima guerra mondiale, precipitasse di nuovo come allora era successo».
^Vittorio Gnocchini, L'Italia dei liberi muratori, Mimesis, Milano, 2005, p. 244
^Ideali e uomini della Massoneria per la Costituzione, Quaderno dei Martedì Letterari del Casinò di Sanremo, a cura di Marzia Taruffi, ed. De Ferrari, Genova, 2016.
Meuccio Ruini, su degasperi.net, Scheda dal sito Alcide De Gasperi nella storia d'Europa dell'Istituto "Luigi Sturzo". URL consultato il 26 dicembre 2007 (archiviato dall'url originale il 2 marzo 2005).
Francesco Barbieri, Grande Oriente: anche Ruini era massone, su 24emilia.com, Articolo dal quotidiano online "24Emilia.com", 16 giugno 2010. URL consultato il 10 novembre 2012 (archiviato dall'url originale il 2 ottobre 2013).