Nicola Bombacci nacque in una frazione del Comune di Civitella di Romagna, in provincia di Forlì, il 24 ottobre 1879.[5] La famiglia di Bombacci viveva coltivando un terreno di proprietà della parrocchia di don Nicolò Ghini, da cui Bombacci prese di fatto il suo nome proprio. Ancora bambino, si trasferì con la famiglia a Meldola, centro di rilievo nella bassa valle del Bidente, dove concluse la scuola elementare e dove la famiglia rimarrà a vivere. Nel 1895 venne iscritto al seminario di Forlì.
A seguito dell'abbandono del seminario a causa di motivi di salute continuò gli studi all'età di ventuno anni, presso il collegio "Giosuè Carducci" di Forlimpopoli, per diventare maestro elementare. Fu iscritto alla classe III, la stessa in cui c'era Benito Mussolini, più giovane di quattro anni. Si diplomò nel 1901.[6] È in questo periodo che Bombacci si avvicinò al movimento socialista.
Il lavoro di insegnante, iniziato con piccoli incarichi nella provincia di Reggio Emilia, lo vide impegnato nel primo ruolo significativo a Villa Santina, in provincia di Udine nel 1904-1905. L'anno seguente ritornò in Emilia, a Baricella. In questo periodo sposò Erissene Focaccia, anche lei maestra. Nel 1906 la famiglia si trasferì a Cadelbosco di Sopra, in provincia di Reggio Emilia, dove trascorse un periodo di ristrettezze economiche prima di vedersi assegnati degli incarichi di supplenza prima a Villa Argine, poi a Cadelbosco di Sotto. Dal 1907 gli venne assegnata la cattedra a Monticelli d'Ongina, un comune del piacentino.
Nel 1909 abbandonò l'insegnamento per dedicarsi alla politica. Divenne attivo nel mondo sindacale in varie zone e città, operando tra Crema, Piacenza e Cesena dove, nel 1910, l'incarico di segretario della federazione socialista e la direzione del settimanale Il Cuneo, cogliendo l'opportunità di ritornare in attività vicino a Meldola, dove ancora viveva la sua famiglia. Nel 1911 fu membro del Consiglio Nazionale della Confederazione Generale del Lavoro (CGdL).
Nel maggio di quello stesso anno, Bombacci rassegnò le dimissioni dalla federazione di Cesena. Nei mesi seguenti, si ritirò dall'attività politica, per poi tornarvi nel novembre del 1911, come segretario della Camera del Lavoro di Modena.
A Modena, durante la prima guerra mondiale, ebbe il suo trampolino di lancio divenendo il leader indiscusso del socialismo locale, tanto che lo stesso Mussolini (che lo conosceva sin dai tempi del collegio a Forlimpopoli, quando entrambi erano studenti) lo definì "il Kaiser di Modena". Tra le guerre balcaniche e la rivoluzione russa fu contemporaneamente segretario della Camera del Lavoro, segretario della Federazione socialista provinciale modenese e direttore del periodico socialista Il Domani.
Nel luglio 1917 Bombacci venne nominato membro della Direzione e vicesegretario del Partito Socialista Italiano (PSI), affiancando il segretario Costantino Lazzari nella redazione delle famose circolari dirette alle sezioni del partito e il direttore del periodico socialista Giacinto Menotti Serrati nell'opera di conquista del movimento operaio da parte della corrente socialista massimalista.
Nel 1918, con gli arresti di Lazzari nel gennaio e di Serrati nel maggio, rimase praticamente solo alla guida del partito.[7] Egli stesso fu arrestato per "disfattismo" a gennaio e processato a piede libero, fino al successivo arresto del 31 ottobre 1918 e rilasciato il 20 novembre.[8] Fautore di una politica fortemente antiriformista, centralizzò e verticalizzò tutto il socialismo italiano: le federazioni provinciali del partito e il Gruppo Parlamentare Socialista (GPS) diventarono dipendenti direttamente dalla Direzione del PSI, alla quale si collegavano anche le organizzazioni sindacali e cooperativistiche rosse.[9]
Nell'ottobre 1919 redasse con Serrati, Gennari e Salvadori il programma della frazione massimalista, vincente al XVI Congresso Nazionale del Partito Socialista Italiano (Bologna, 5-8 ottobre 1919):[10] eletto segretario del Partito (11 ottobre 1919) e, il mese seguente, nelle prime elezioni politiche generali del dopoguerra (16 novembre 1919) deputato alla Camera nella circoscrizione di Bologna con oltre centomila voti fu una delle figure più potenti e visibili del socialismo massimalista nel biennio rosso.[11]
Nel gennaio 1920 presentò un progetto di costituzione dei Soviet in Italia,[12] che ottenne pochi consensi e molte critiche, contribuendo però ad aprire un acceso dibattito teorico sulla stampa di partito. La non accettazione della proposta di costituzione dei Soviet portò Bombacci, il 25 febbraio 1920, a cedere la carica di segretario del Psi a Egidio Gennari. In aprile, fu il primo socialista italiano a incontrare dei rappresentanti bolscevichi a Copenaghen,[13] mentre in estate fu uno dei membri della delegazione italiana che andò nella Russia sovietica, partecipando anche al II Congresso dell'Internazionale Comunista.
Rieletto deputato nelle elezioni politiche generali della primavera del 1921 nella circoscrizione di Trieste, Bombacci, non avendo una sua corrente nel nuovo partito, si trovò piuttosto isolato rispetto al gruppo ordinovista di Gramsci, Togliatti, Terracini e Tasca e agli astensionisti di Bordiga. Si situò nell'ala destra del PCd'I con Francesco Misiano, propenso a un riavvicinamento coi massimalisti e contrario al partito settario e ideologizzato voluto dal Bordiga.[15]
Fu presto estromesso dai centri direttivi comunisti, cominciando dal Comitato Centrale del Partito. La polemica arrivò fino alle alte sfere sovietiche nel novembre 1923, quando il Comitato Esecutivo del PCd'I ne decise unilateralmente l'espulsione senza consultare l'Internazionale Comunista. Si accusava Bombacci, allora segretario del Gruppo Parlamentare Comunista, di aver fatto riferimento a una possibile unione delle due rivoluzioni - quella bolscevica e quella fascista - in un intervento alla Camera dei deputati il 30 novembre 1923. Semplicemente, su indicazione dell'ambasciatore russo in Italia, Jordanskij, aveva prospettato un trattato economico italo-russo, fortemente voluto dal Cremlino.
Nel gennaio del 1924 Bombacci terminò il mandato parlamentare alla Camera, e fu richiamato a Mosca, dove rappresentò la delegazione italiana ai funerali di Lenin: Grigorij Zinov'ev ne decise il reintegro nel PCd'I.
Al suo ritorno in Italia, Bombacci iniziò a lavorare all'Ambasciata russa a Roma, al servizio del commercio e della diplomazia sovietica. Nel 1925 fondò la rivista L'Italo-Russa, poi un'omonima società di import-export, che ebbero entrambe vita breve.
Il suo distacco dal Partito divenne palese: nel 1927 i dirigenti comunisti in esilio ne decretarono l'espulsione definitiva. La sua espulsione fu sancita con uno scarno comunicato su un numero de l'Unità: "Nicola Bombacci è espulso dal partito comunista d'Italia per indegnità politica".
L'inattività politica e l'avvicinamento al fascismo
Negli "anni del silenzio",[16] Bombacci continuò a vivere a Roma con la famiglia, mentre la collaborazione con l'Ambasciata sovietica sembra che non si prolungò più in là del 1930. Date le gravi condizioni economiche e le gravi condizioni di salute del figlio Wladimiro, il Duce gli concesse alcune sovvenzioni in denaro per le cure del figlio e gli trovò un impiego all'Istituto internazionale per la cinematografia educativa della Società delle Nazioni a Roma.[17]
Dal 1933 Bombacci si avvicinò poco a poco sempre più chiaramente al fascismo, tanto che con il 1935 si può parlare di una vera e propria adesione. Mussolini, all'inizio del 1936, gli concesse di fondare La Verità (da Pravda), una rivista politica finanziata dal ministero della cultura popolare con una tiratura iniziale di 25 000 copie e allineata sulle posizioni del regime, che, a parte alcune interruzioni dovute all'opposizione del fascismo intransigente di gerarchi come Roberto Farinacci e Achille Starace, durò fino al luglio del 1943.
«È in atto una grandiosa rivoluzione sociale. È l'ora della collettività. (...) Oggi come ieri ci muove lo stesso ideale: il trionfo del lavoro. Per tale trionfo lottiamo da trentacinque anni. (...) Oggi la storia ci pone dinanzi agli occhi l'esperimento di Mussolini. Non è più soltanto una dottrina, è un ordine nuovo che si lancia audacemente sulla via maestra della giustizia sociale»
«Compagni! Guardatemi in faccia, compagni! Voi ora vi chiederete se io sia lo stesso agitatore socialista, il fondatore del Partito comunista, l'amico di Lenin che sono stato un tempo. Sissignori, sono sempre lo stesso! Io non ho mai rinnegato gli ideali per i quali ho lottato e per i quali lotterò sempre. Ero accanto a Lenin nei giorni radiosi della rivoluzione, credevo che il bolscevismo fosse all'avanguardia del trionfo operaio, ma poi mi sono accorto dell'inganno.»
(15 marzo 1945 a Genova, discorso rivolto alle camicie nere[19])
Dopo la caduta del regime fascista il 25 luglio 1943 e, in settembre, la liberazione di Mussolini dal Gran Sasso e la creazione della Repubblica Sociale Italiana (RSI), Bombacci decise volontariamente di recarsi a Salò, dove divenne una sorta di consigliere di Mussolini. Negli ultimi mesi di guerra (settembre 1944 - marzo 1945) non smise di sostenere la causa del fascismo come unica vera rivoluzione e realizzazione del trionfo del lavoro, dando conferenze e facendo comizi tra gli operai nelle piazze del Nord della penisola.
Da allora l'ex-fondatore del Partito Comunista d'Italia ebbe più spazio e visibilità e decise di dedicarsi anima e corpo al fascismo con la sua innata capacità oratoria e la sua vicinanza alle classi lavoratrici: pubblicò alcuni opuscoli sui pericoli del bolscevismo e la degenerazione staliniana dei principi comunisti,[20] e partecipò al Congresso di Verona. Proprio a Bombacci si attribuisce il progetto di socializzazione delle imprese e dei mezzi di produzione, notevolmente propagandato dal fascismo repubblicano e approvato dal consiglio dei ministri della RSI nel febbraio del 1944, ma boicottato (di nascosto) dagli industriali e fortemente osteggiato dai comunisti: gli operai risposero con gli scioperi.[21] Finì addirittura in farsa quando si trattò di votare per i consigli di gestione, in cui furono fatti votare nomi di personaggi celebri come Henry Ford o Greta Garbo.[22]
Bombacci, che aveva 65 anni, rimase al fianco di Mussolini fino all'ultimo momento: i partigiani lo catturarono sul lago di Como, nella stessa vettura del duce, e lo fucilarono insieme ad altri gerarchi fascisti, quali Alessandro Pavolini e Ferdinando Mezzasoma, a Dongo sulle rive del lago il 28 aprile 1945 (Mussolini morì invece a Giulino di Mezzegra). Le sue ultime parole furono, appena prima di essere fucilato: "Viva l'Italia! Viva il Socialismo!" o forse "Viva Mussolini! Viva il Socialismo!", gridate al plotone d'esecuzione; di certo, nelle due versioni, vi è il fatto che la sua ultima frase inneggiò al socialismo.[23][24] La mattina del 29 aprile lo appesero per i piedi al distributore di benzina di Piazzale Loreto, a Milano, insieme a Benito Mussolini, Claretta Petacci e alcuni gerarchi fascisti; nel documento attestante la fucilazione sotto il suo nome vi era la scritta a mano "Supertraditore".[25][26][27]
Opere
Per la Costituzione dei Soviet. Relazione presentata al Congresso Nazionale, Pistoia, Tipografia F.lli Cialdini, 1920.
Le vere memorie di Nicola Bombacci, come Frièland, Bologna, Cooperativa Grafica fra ex combattenti, 1923.
Il mio pensiero sul bolscevismo, Roma, La Verità, 1941.
I contadini nella Russia di Stalin, Roma, Novissima, 1942.
Lavoratori ascoltate. Questo è il bolscevismo, Roma, s.n., 1942.
Paradiso o inferno? Vita quotidiana nell'U.R.S.S., Roma, La Verità, 1942.
I contadini nell'Italia di Mussolini, Roma, s.n., 1943.
Dove va la Russia? (Dal comunismo al panslavismo), Padova, Minerva, 1944.
Questo è il comunismo, Venezia, Casa ed. delle Edizioni popolari, 1944.
^De Grand, Alexander J., Italian fascism: its origins & development, 3d edition (illustrated), Publisher: University of Nebraska Press, Year: 2000, ISBN 0-8032-6622-7, p. 131
^Esistono svariate informazioni biografiche in dizionari ed enciclopedie. Tra le numerose inesatte, le più attendibili sono quelle di Enzo Santarelli, Nicola Bombacci, in Dizionario biografico degli italiani, vol. XI, 1969, ad nomen, e Luciano Casali, Nicola Bombacci, in Tommaso Detti, Franco Andreucci (cur.), Il movimento operaio italiano. Dizionario biografico (1853-1943), Roma, Editori Riuniti, 1975, vol. I, ad nomen.
^Alberto e Giancarlo Mazzuca, Mussolini Bombacci. Compagni di una vita, op. cit. p. 23
^Serge Noiret, "Riformisti e massimalisti in lotta per il controllo del PSI, 1917-1918", Italia Contemporanea, n. 190, marzo 1993, pp. 65-103.
^Serge Noiret, Il partito di massa massimalista dal PSI al PCd'I, 1917-1924: la scalata alle istituzioni democratiche, in Fabio Grassi Orsini, Gaetano Quagliariello (cur.), Il Partito politico dalla grande guerra al fascismo. Crisi della rappresentanza e riforma dello Stato nell'età dei sistemi politici di massa (1918-1925), Bologna, Il Mulino, 1996, pp. 909-965.
^Serge Noiret, "Il PSI e le elezioni del 1919. La nuova legge elettorale. La conquista del Gruppo parlamentare socialista da parte dei massimalisti", Storia Contemporanea, a. XV, n. 6, 1984, pp. 1093-1146.
^Pur controllando la segreteria politica del PSI durante gran parte del 1918, Bombacci fu ufficialmente segretario politico del PSI solo tra l'11 ottobre 1919 e il 25 febbraio 1920, quando si dimise, lasciando l'incarico a Egidio Gennari e preferendo mantenere il seggio parlamentare a Montecitorio.
^Sezione Socialista di Pistoia, Per la costituzione dei Soviet. Relazione presentata al Congresso Nazionale da Nicola Bombacci, Pistoia, Tipografia F.lli Cialdini, 1920. Il progetto fu anche tradotto in spagnolo e pubblicato a Buenos Aires nello stesso 1920.
^Serge Noiret, "Le origini della ripresa delle relazioni tra Roma e Mosca. Idealismo massimalista e realismo bolscevico: la missione Bombacci-Cabrini a Copenaghen nell'aprile 1920", Storia Contemporanea, a. XIX, n. 5, ottobre 1988, pp. 797-850.
^Alberto e Giancarlo Mazzuca, Mussolini Bombacci, op. cit. pp. 89-99
^Serge Noiret, Massimalismo e crisi dello stato liberale. Nicola Bombacci (1879-1924), Milano, Franco Angeli, 1992, cap. IV.
^Guglielmo Salotti, Nicola Bombacci. Da Mosca a Salò, Roma, Bonacci, 1986, p. 87.
^Serge Noiret, "Per una biografia di Nicola Bombacci: contributo allo studio del periodo 1924-1936", Società e storia, n. 25, 1984, pp. 591-631.
^Patricia Chiantera-Stutte, Andrea Guiso, Fascismo e bolscevismo in una rivista di confine: "La Verità" di Nicola Bombacci (1936-1943), "Ventunesimo secolo", a. II, marzo 2003, pp. 145-170; Alberto Mazzuca, Luciano Foglietta, Mussolini e Nenni amici nemici, Bologna, Minerva Edizioni, 2015, pp. 380-381.
^citato in: Claudio Cabona, Nicola Bombacci. Storia e ideologia di un rivoluzionario fascio-comunista, 2012
^Nicola Bombacci, Il mio pensiero sul bolscevismo, Roma, Edizioni "La Verità", 1941; Nicola Bombacci, I contadini nella Russia di Stalin, Roma, 1942; Nicola Bombacci, I contadini nell'Italia di Mussolini, Roma, 1943; Nicola Bombacci, Questo è il comunismo, Venezia, 1944; Nicola Bombacci, Dove va la Russia? Dal comunismo al panslavismo, Padova, 1944.
^Frederick William Deakin, La brutale amicizia. Mussolini, Hitler e la caduta del fascismo italiano, Torino, Einaudi, 1990, 2 voll; Giancarlo Mazzuca, Luciano Foglietta, Sangue romagnolo. I compagni del duce, Bologna, Minerva Edizioni, 2010.
^Alberto Mazzuca, Luciano Foglietta, Mussolini e Nenni amici nemici, Bologna, Minerva Edizioni, 2015, p. 472.
Claudio Cabona, Storia e ideologia di un rivoluzionario fascio-comunista, Liberodiscrivere Edizioni
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Salotti Guglielmo, Nicola Bombacci: un comunista a Salò, Milano, Mursia, 2008. ISBN 978-88-425-3849-3