Questa voce raccoglie le informazioni riguardanti la Juventus Football Club nelle competizioni ufficiali della stagione 1990-1991.
Stagione
«Come la Fiat crea posti di lavoro al sud (qualche migliaio), la Juve ne crea in città (qualche decina). Da un esame del nuovo assetto juventino, mi sembra manchino: un datore di luci, un coreografo, uno chef che prepari i flan d'asparagi [...] a Montezemolo, un sociologo della comunicazione, un art director (mai capito a che serva, ma ormai ce l'hanno tutti).»
Nell'estate 1990 la Juventus provò a cambiare pelle, allontanandosi dal suo storico stile societario per andare incontro a una vera e propria «rivoluzione culturale»,[5] sulla falsariga dell'allora vittorioso Milan di stampo berlusconiano. Il «nuovo corso» bianconero, già ufficializzato nei mesi precedenti con l'avvicendamento alla presidenza tra Giampiero Boniperti e Vittorio Caissotti di Chiusano, portò così all'allontanamento anche di un altro «pupillo» bonipertiano,[5] il tecnico e bandiera juventina Dino Zoff, nonostante l'ottimo finale della precedente stagione che aveva fruttato ai torinesi un inaspettato double continentale.[5][6]
Uomo di riferimento divenne il nuovo vicepresidente esecutivo Luca Cordero di Montezemolo[5] – «non avrei mai creduto che diventasse vicepresidente un tifoso laziale», commentò causticamente Boniperti, rimarcando le differenti visioni in essere tra i due –,[7]manager nell'orbita Fiat e reduce dall'organizzazione del campionato del mondo 1990,[6] il quale varò un fastoso mercato mettendo sul piatto oltre 70 miliardi di lire,[6] una somma che portò a Torino giocatori di notevole caratura: su tutti il fantasista Roberto Baggio strappato alla Fiorentina[8] (e il cui addìo a Firenze sfociò in violente proteste di piazza da parte del tifo viola),[6][9] passando per rinforzi pesanti a centrocampo come il giovane Corini, il talentuoso Di Canio e il tedesco Häßler campione del mondo in carica, oltre allo stopper brasiliano Júlio César. I giovani difensori De Marchi e Luppi furono infine direttamente sponsorizzati dal nuovo titolare della panchina bianconera, dove sempre su spinta di Montezemolo[5] si sedette un esponente della «nouvelle vague» tecnica, Gigi Maifredi, emerso grazie ad alcune buone stagioni al Bologna e seguace tattico del calcio a zona; una scelta che tradiva l'intento juventino, tutt'altro che velato, di rispondere sul campo al «boom» milanista di Arrigo Sacchi.[6]
Anche il versante logistico segnò una rottura col passato: abbandonato dopo 57 anni il Comunale, la Juventus si trasferì nel nuovo stadio delle Alpi,[10] inaugurato poche settimane prima[11] in occasione della rassegna iridata[12] e destinato a divenire la casa bianconera per i successivi sedici anni, e lasciò anche il Campo Combi,[13] storica sede d'allenamento juventina fin dal 1943, in favore del più moderno centro Sisport di Orbassano.[14]
Nonostante i favori del pronostico derivati da questo ingente rinnovamento,[15] la squadra iniziò la stagione, il 1º settembre 1990, subendo una pesante cinquina dal Napoli di Bigon e Maradona nella finale di Supercoppa italiana al San Paolo, anche per via della difficile preparazione zonista predicata da Maifredi.[16] L'allenatore bresciano stava infatti tentando di disegnare una squadra retta da una retroguardia a quattro elementi in linea, che ripudiava il tradizionale ruolo del libero, e basata su un gioco fortemente improntato all'attacco grazie al contemporaneo utilizzo di Häßler e Baggio in appoggio a due punte, solitamente il giovane Casiraghi e Schillaci, quest'ultimo reduce dai fasti azzurri nelle notti magiche di Italia '90.[17]
I bianconeri sembrarono riprendersi nelle settimane seguenti, passando anche in autunno per il definitivo riassetto montezemoliano delle cariche societarie che vide, tra gli altri, l'arrivo del nuovo direttore generale Enrico Bendoni, altro reduce dal comitato organizzatore del mondiale italiano,[18] al posto di Pietro Giuliano, bandiera juventina dietro la scrivania nel precedente ventennio.[19] Sul versante sportivo, la squadra iniziò a ingranare in Serie A disputando un buon girone di andata concluso al secondo posto, appena dietro all'Inter di Giovanni Trapattoni; il girone di ritorno però vide crollarne il rendimento sotto tutti i punti di vista – a esclusione di Baggio – e con la pesante involuzione di Schillaci il quale, apparso il lontano parente del fromboliere ammirato nella stagione precedente, quest'anno realizzò appena 5 reti in campionato.
Si dimostrò poco azzeccata la scelta di affidarsi a una guida tecnica come quella di Maifredi,[5] il quale «forse si fidò troppo del talento dei suoi giocatori, per i quali applicò un principio della democrazia spinta all'eccesso» eccezion fatta per Baggio, cui tuttavia costruì intorno una «corazzata senza equilibrio», affiancandogli «raffinati tessitori» come Häßler e Di Canio ma incapaci di trasformarsi in «marcantoni affamati di gambe avversarie»;[5] ne derivò che quel «calcio champagne» predicato dal tecnico, nel corso della stagione offrì solo pochi sprazzi prima di sgonfiarsi fragorosamente.[6] Maifredi si dimise al termine dell'ultima partita di campionato,[20] la sconfitta di Marassi contro il Genoa del 26 maggio 1991, significante un anonimo settimo posto in classifica e, ancora peggio, una clamorosa esclusione dalle coppe europee – dopo ventotto anni di presenza ininterrotta – per l'annata seguente.[6]
Di ben altra andatura, ma alla fine ugualmente infruttuoso, fu il percorso della Vecchia Signora in Coppa delle Coppe, cui prese parte come detentrice della Coppa Italia. Dopo aver eliminato in sequenza i bulgari dello Sliven, l'Austria Vienna e i belgi del RFC Liegi, la Juventus si qualificò per le semifinali dove affrontò il Barcellona di Stoičkov e Koeman, allenato da Johan Cruijff. Nella gara di andata giocata al Camp Nou i bianconeri passarono subito in vantaggio con Casiraghi, ma nel secondo tempo i blaugrana ribaltarono il punteggio trovando per tre volte la rete e chiudendo definitivamente la gara; nella sfida di ritorno al Delle Alpi una pur volitiva Juventus trovò un unico e ininfluente gol a mezz'ora dal termine, con un calcio di punizione di Baggio, fermandosi così alle soglie della finale. Lo stesso Divin Codino, come magra consolazione personale, vinse la classifica marcatori della manifestazione segnando 9 gol.
Il fallimentare epilogo portò a defenestrare l'effimero assetto tecnico-dirigenziale del club di questa stagione, lasciando spazio nell'estate seguente a una massiccia restaurazione con il ritorno dei «grandi vecchi» Boniperti e Trapattoni, rispettivamente in società e in panchina.[6]
Divise e sponsor
Il fornitore tecnico della Juventus per la stagione 1990-1991 è Kappa, mentre lo sponsor ufficiale è UPIM.
Per la divisa casalinga viene confermato il completo introdotto nella stagione precedente, con una maglia a strisce bianconere abbinata a pantaloncini e calzettoni bianchi, mentre per le trasferte c'è la novità di un'uniforme nera con bordini bianchi, ispirata a una tra le soluzioni più iconiche relative alle divise di cortesia della squadra e storicamente assente in casa bianconera dai primi anni 60.
Casa
Trasferta
Terza divisa
Anche per le divise utilizzate dai portieri vennero riconfermati i modelli della stagione precedente, realizzati da Uhlsport ma con sovrapposti i loghi Kappa e UPIM. Tutte le casacche recano all'altezza del cuore la cosiddetta «scatolina» dorata inglobante le due stelle fin lì conquistate dal club; sotto a essa, la coccarda tricolore simboleggiante la vittoria in Coppa Italia nella precedente stagione.
^abCeduto nella sessione autunnale di calciomercato.
^Aggregato dalla squadra Primavera; cfr. Nicola Zanini, su juworld.net. URL consultato il 21 marzo 2022.
^Partita in programma il 9 dicembre 1990, ore 14:30, rinviata per impraticabilità del campo causa neve; cfr. Bruno Perucca, Scandalo: la neve sommerge il derby, in Stampa Sera, 10 dicembre 1990, p. 29. URL consultato il 10 dicembre 2020.
^Il 9 marzo 1991, tra le due gare dei quarti di finale di Coppa delle Coppe UEFA contro la Juventus, il RFC Liegi cambiò denominazione in RC Liégeois («Royal Club Liégeois»), con autorizzazione straordinaria del comitato esecutivo dell'URBSFA; cfr. Bruno Dubois et al., Royal Football Club de Liège, su foot100.be, Dictionnaire des Clubs affiliés à l'U.R.B.S.F.A. depuis 1895. URL consultato il 26 marzo 2021 (archiviato dall'url originale il 29 novembre 2021).
Bibliografia
AA.VV., Calciatori 1990-91, edizione speciale per "La Gazzetta dello Sport", Modena, Franco Cosimo Panini Editore, 2005.