Figura balcanica più rappresentativa del XV secolo, fu principe albanese e re d'Epiro. Abile condottiero, stratega e diplomatico di nobile lignaggio, unì i principati d'Albania, animando la resistenza degli Albanesi e bloccando per due decenni l'avanzata dell'Impero ottomano verso l'Europa[3]. Per tale motivo, a seguito delle eroiche imprese conseguite nelle strenua difesa dell'Europa cristiana dall'invasione islamica, ottenne da papa Callisto III l'appellativo di Athleta Christi et Defensor Fidei (Atleta di Cristo e Difensore della Fede)[4] e da papa Pio II quello di "nuovo Alessandro" (con riferimento ad Alessandro Magno)[5]. La sua figura divenne ben presto simbolo della libertà tanto agognata dal popolo albanese. Le sue gesta ispirarono in generale nei secoli la letteratura, le arti e il senso identitario del popolo albanese, soprattutto quello della diaspora in Italia, influendo altresì sulla civiltà romantica europea.
Biografia
Origini e gioventù
Giorgio Castriota nacque da Giovanni I Castriota (Gjon I Kastrioti), signore di due villaggi, Sinë e Gardi-Bassa, sulle pendici ad ovest del fiume Drin nella regione di Dibër-Mat[6][7], nel nord-est dell'odierna Albania[8][9], e da Voisava (indicata da Giovanni Musachi come Voisava Tripalda, con cognome probabilmente derivato dal popolo "dei Triballi", come gli storici bizantini erano soliti indicare i serbi[10].
Tra la fine del XIV secolo e i primi decenni del XV secolo l'Albania fu occupata dalle forze ottomane, le quali dovettero subito
reprimere le rivolte dei principi albanesi. Il primo progetto di una coalizione balcanica anti-ottomana risale al 1359, appena cinque anni dopo l'arrivo degli ottomani in Europa. I principi albanesi, insieme a quelli bosniaci e bulgari, risposero alla richiesta di aiuto dei serbi contro i conquistatori ottomani.[11] Il 15 giugno 1389 la coalizione balcanica (albanesi, bosniaci, bulgari, valacchi, serbi, ungheresi e dalmati) fu sconfitta nella battaglia della Piana dei Merli da Murad I, sultano dell'Impero ottomano. Giovanni I Castriota combatté al fianco di suo padre Pal, che morì in battaglia. Successivamente, gli ottomani si stabilirono nei Balcani centrali (Macedonia e Bulgaria). I principi albanesi Giovanni I Castriota, Giorgio II Balsha e Teodoro II Muzaka si ritirarono all'interno dei loro confini, dove riuscirono a resistere agli ottomani e fondarono un'entità cristiana albanese che si estendeva dal confine meridionale di Ragusa al golfo di Patrasso.[12] Giovanni I, come molti altri signori albanesi, divenne vassallo ottomano; doveva quindi rendere omaggio al Sultano e sostenere le guerre dello stesso nei Balcani con un suo esercito.[13] Nel 1402 Giovanni sostenne il sultano Bayezid I nella battaglia di Angora (l'odierna Ankara), una battaglia tra gli ottomani e i timuridi nella quale questi ultimi vinsero.[14]
Per poter sfuggire alla crescente pressione degli ottomani, Giovanni aveva stabilito buoni rapporti con la Repubblica di Venezia; nel 1406 fu registrato negli archivi veneziani come “dominus partium Albanie”[15] e nel 1409 come ”magnifici domini Johannis Castrioti”[16] e, per ottenere protezione contro gli ottomani, Giovanni era diventato vassallo della Repubblica di Venezia, l'unico paese cattolico a lui vicino. Giovanni Castriota condusse la sua guerra contro gli ottomani senza sosta dal 1407 al 1430, restandone sconfitto almeno quattro volte, nel 1410, 1416, 1428 e 1430.[17] Quando Giovanni nel 1410 subì la prima sconfitta per mano degli ottomani, comunicò a Venezia di essere stato costretto, come pegno per la sua fedeltà, a consegnare al nemico un figlio come ostaggio. Non dice quale: probabilmente sarà stato Stanisha, che com'è noto sposerà una turca dalla quale avrà un figlio con il nome di Hamza Castriota.[17] Nel 1413, nei documenti veneziani, Giovanni viene citato come "dominus partis Bosine".[18] Nel 1415 Giovanni, che aveva ceduto Kruja agli ottomani, dovette riconoscere il sultano come suo Signore, pagandogli un tributo, e il figlio Stanisha, dato in ostaggio agli ottomani nel 1410, poté fare ritorno in patria.[19]
Nel 1420 il territorio di Giovanni si era esteso a est quasi fino a Prizren, nell'odierno Kosovo, e a ovest fino ad Alessio, nell'odierna Albania.[20] Il 28 gennaio 1423 "Juannus Castrioti" divenne "unus ex dominis Albanie"[21] e il 25 febbraio 1420 Giovanni Castriota, con tutti e quattro i suoi figli maschi (Stanisha, Reposh, Costantino e Giorgio) firmò un accordo commerciale con la Repubblica di Ragusa, con il quale furono definite le imposte doganali che i mercanti ragusei dovevano pagare quando attraversavano le terre dei Castriota, da Shufada, a sud di Alessio, e fino a Prizren.[19] Nel 1422 Giovanni Castriota voltò le spalle a Venezia e si alleò con Stefano Lazarević del Despotato di Serbia, al quale mandò uno dei suoi figli, forse ancora Stanisha, con un esercito di albanesi per combattere contro Scutari, allora veneziana.[19]
Nel 1426 Giovanni, con i quattro figli Stanisha, Reposh, Costantino e Giorgio, sottoscrisse un documento in cui la famiglia faceva dono al monastero di Hilandar, a Monte Athos, delle rendite di due villaggi, Rostusha e Trebishtë, nell'odierna Macedonia del Nord. Forse nello stesso anno, o poco più tardi, Giovanni, Reposh, Costantino e Giorgio comprarono la torre di san Giorgio (detta anche torre albanese) dal suddetto monastero. Dall'assenza di Stanisha nel documento, si deduce che è lui, e non Giorgio, il figlio che Giovanni inviava periodicamente con le sue armate, alleate di volta in volta del sultano o del despota di Serbia.[19]
Nel 1428 Giovanni venne sconfitto nuovamente dagli ottomani e fu costretto a fare pace col sultano: "scrive a Venezia pregandola, […], di non volergliene se il figlio, convertito alla fede musulmana, occupa territori veneziani insieme con l’esercito turco. Da Venezia gli si risponde che lui, come padre, deve servirsi
della sua influenza sul figlio e impedirgli di dar noie alla Repubblica." Non viene detto, neanche in questo caso, di quale figlio si stesse parlando, ma dovrebbe trattarsi di Stanisha. Comunque, sembra verosimile che questo figlio prendesse ordini più dal padre che non dal sultano.[22]
Infine, Giovanni divenne nuovamente alleato di Venezia nella battaglia di Tessalonica (1430), che, dal 1423, apparteneva a Venezia. Giovanni, come i veneziani, fu sconfitto dagli ottomani e le condizioni di pace, questa volta, divennero più pesanti: quattro suoi castelli furono rasi al suolo e due convertiti per alloggiare delle guarnigioni ottomane;[23] le sue terre, in gran parte, vennero poste sotto l'amministrazione ottomana, così che Giovanni si dovette ritirare nella stretta zona montuosa che, come vassallo, gli era stata lasciata. Inoltre, Giovanni doveva pagare al sultano un tributo annuale e lo doveva servire col proprio esercito ovunque sarebbe stato chiamato. A parte Reposh, che, nel frattempo, si era fatto monaco, i suoi tre figli (Stanisha, Costantino e Giorgio) servivano nell’esercito ottomano come alleati; in realtà questa sorta di servizio militare coatto veniva svolto non lontano dai confini albanesi, dove ritornavano appena terminava una missione. Sempre dopo la sconfitta nella battaglia di Tessalonica (1430), Giovanni e i suoi tre figli si convertirono all'Islam, ma, secondo Fan Noli, solo in apparenza. Secondo la testimonianza di papa Pio II e del cronista di Ragusa, Pietro Luccari, lo stesso Giovanni prese il nome musulmano di "Hamza"[22] e i figli Stanisha e Giorgio rispettivamente quello di Karagus[24] e İskender (Alessandro, con riferimento ad Alessandro Magno).[25]
Intorno al 1436 Scanderbeg doveva essere stato un timariota[26] a Dibër, oppure nei possedimenti di Dhimitër Jonima, alle dipendenze del sanjak-bey di Ocrida perché si presentò davanti a quest’ultimo per chiedergli un certificato di benevolenza (şefkatname), in modo da ottenere il feudo di Misia rimasto vacante e che in precedenza aveva fatto parte dei possedimenti del padre. Fino a quel momento Giorgio Castriota compare col solo nome di İskender; successivamente, tra il 1436 e il 1438, quando il governo ottomano lo nominò subashi (in turco: subaşı) della circoscrizione amministrativa di Kruja[27][28], acquisì anche il titolo di Beg, necessario per il nuovo ruolo, divenendo così Skënderbeg(u), forma moderna albanese Skënderbej/beu "Scanderbeg".[29]
Secondo Frashëri, tre cronisti ottomani (Hoca Sadeddin Efendi, Sollak zade e Munecim Başi) affermano che Scanderbeg, nella primavera del 1438, avrebbe organizzato una ribellione che non ebbe successo, costringendolo a chiedere "perdono" al sultano; ritornò quindi ad essere vassallo ottomano.[30] Questo fatto viene confermato dai documenti catastali dove, alla fine del 1438, risulta subashi a Kruja non più Scanderbeg ma un certo Hızır beg,[31] anche se si può supporre che Skanderbeg abbia mantenuto la carica di subashi in qualche altro distretto e che, in questa qualità, abbia preso parte alla maggior parte delle campagne ottomane del periodo, quali la conquista della Serbia e della sua capitale Smederevo nel 1439, il fallito assedio di Belgrado nel 1440 e l'offensiva a nord del Danubio nei pressi dell'attuale Sibiu (Hermannstadt) del 1442, dove le truppe ottomane furono annientate dal capitano generale ungherese Giovanni Hunyadi.[32]
Nel 1438 Giovanni I Castriota e i suoi figli, ritornarono a essere cittadini onorari[33] di Venezia. Nel luglio del 1439 ritornarono ad esserlo anche di Ragusa, ma, con decisione del Senato raguseo, il nome di Giorgio Castriota venne prima scritto e poi depennato.[34] Fan Noli sostiene che "fra i turchi, in tempo di guerre e spedizioni, Giorgio Castriota adottò il soprannome di Scanderbeg; tornando a casa, per un armistizio o un periodo di pace, riprendeva il suo nome cristiano. Fu per questo che i veneziani, sapendolo cristiano, lo riconobbero loro alleato e cittadino onorario nel 1438; e fu per questo che nello stesso anno i ragusei, credendolo musulmano, lo rifiutarono."[35]
Alla morte di Giovanni I Castriota nel 1442, Giorgio ereditò il principato paterno senza fortezze e divenne vassallo e "alleato" del sultano Murad II a cui versava un tributo annuo di 6.000 ducati.[36]
La lotta per l'indipendenza albanese
Sempre dopo la vittoria conseguita nella battaglia di Tessalonica (1430), il sultano Murad II fu in grado di esercitare il suo potere nella regione albanese quasi senza ostacoli, con un'amministrazione che calcolava le tasse e gli altri oneri dovuti dagli agricoltori e dai proprietari terrieri, suscitando l'ira della popolazione, tanto che tra il 1432 e il 1436, nell'Albania centrale e meridionale, nella valle del fiume Shkumbin e nell'area di Argirocastro, ci fu una serie di rivolte armate anti-ottomane dei contadini.[37]
Quando Andrea II Thopia, nel 1432, sconfisse una piccola forza ottomana nell'Albania centrale, incoraggiò gli altri capi e la rivolta si diffuse in tutto il territorio albanese.[38] Tra il 1433 e il 1436, i ribelli (Giorgio Arianiti, Andrea II Thopia, Thopia Zenevisi, Nicola II Ducagini) sconfissero tre grandi offensive ottomane; Giorgio Arianiti, futuro suocero di Scanderbeg, prese il comando della resistenza contro gli ottomani, ai quali inflisse una prima sconfitta nel Kurvelesh nel 1433; dopo di che papa Eugenio IV, Alfonso V d'Aragona e l'imperatore Sigismondo lo misero sotto la loro protezione. Nel 1434 Giorgio Arianiti sconfisse nuovamente un esercito ottomano nelle strette valli del fiume Shkumbin, mentre Nicola II Dukagjini approfittava della rivolta per riconquistare i territori del principato pre-ottomano di famiglia nell'Albania settentrionale, assediando e conquistando Dagno nel 1435.[39]
Successivamente le forze ottomane del generale Turakhan Bey repressero la rivolta attraversando i territori albanesi, perpetrando massacri diffusi di civili.[38] Nel 1438/39 ci furono di nuovo combattimenti contro gli ottomani, per cui Giorgio Arianiti dovette fuggire nella zona di Skrapar, nella valle del monte Tomorr, dove continuò la sua guerriglia. Alla fine Murad II gli concesse tacitamente l'area tra i fiumi Shkumbin e Voiussa come suo dominio; tuttavia fu una pace a breve termine, perché nel 1443/44 Giorgio Arianiti attaccò nuovamente gli ottomani nell'area di Elbasan, Tepelenë e Vokopolë.[40]
Per confermare l'autorità ottomana, Murad II nominò gli albanesi Scanderbeg e Yakup Bey Muzaka, rispettivamente come subashi di Kruja e sanjak-bey del Sangiaccato d’Albania. Ai Signori albanesi che accettarono la sovranità ottomana furono concessi i loro possedimenti pre-ottomani e i beni di confine, nonché un certo grado di autonomia, mentre gli altri furono esiliati o continuarono a fare la guerriglia.[41]
Nel febbraio del 1442, per riconquistare il proprio Stato il despota di Serbia, Đurađ Branković, chiese l'appoggio di papa Eugenio IV,[36] che inviò Giuliano Cesarini, legato pontificio, da Ladislao III, re di Polonia e d'Ungheria, e da Giovanni Hunyadi, capitano generale ungherese, per promuovere una crociata contro gli ottomani. Sempre di più si era diffuso l'opinione che "lo scudo contro i miscredenti" non fosse l'Impero bizantino bensì l'Ungheria.[42] Quasi contemporaneamente al Cesarini, nel marzo del 1442, il papa Eugenio IV inviò Cristoforo Garatone (Garatoni) per propagandare la crociata in Ungheria, Lituania, Moldavia, Valacchia e Albania.[43][44] Successivamente, con la bolla del 1º gennaio 1443, papa Eugenio IV proclamò la crociata, chiamando tutti i cristiani, per liberare l’Europa dagli ottomani.[43][45]
Secondo lo storicobizantinoLaonico Calcondila, dopo la sconfitta degli ottomani nella battaglia di Niš del novembre 1443 da parte dell'esercito cristiano guidato da Giovanni Hunyadi, gli ex signori albanesi si affrettarono a riprendere possesso dei territori dei loro padri.[46] Uno di loro fu Giorgio Castriota Scanderbeg, il quale abbandonò l'esercito ottomano insieme a suo nipote Hamza Castriota e il suo esercito composto da 300 albanesi, e riprese il castello di Kruja, iniziando così una lotta di 25 anni contro l'Impero ottomano.[47][48][49]
Secondo lo scrittore Marinus Barletius, dopo il ritorno di Scanderbeg a Kruja trovò radunati molti signori, soprattutto i suoi "cugini" con i loro vassalli, circa 12 000 uomini armati; tra i quali erano: Musacchio, soprannominato Angelino, figlio della sorella Angjelina con Vladino Golem Comneno Arianiti; i fratelli Gojco e Giorgio [sic! Ivan] Stresi, figli della sorella Gjela con Paolo Balšić; Ghin Musachio, il primo marito della sorella Vlajka; Ghin, suo padre; Musachio Tophia; Stefan Crnojević, marito della sorella Mara.[50]
Il 6 giugno 1444 Murad II scrisse a Scanderbeg, informandolo che non aveva potuto reintegrarlo nel possesso di Kruja a causa della sua "ribellione sconsiderata"; sebbene la sua condotta fosse condannabile, gli permise di tenere lo Stato paterno a condizione che gli restituisse la parte dell'Albania regolarmente acquisita da suo padre, proposta che Scanderbeg rifiutò il 14 luglio 1444, dichiarando guerra al sultano a meno che, quest'ultimo, si fosse convertito al cristianesimo e più specificatamente al cattolicesimo.[51]
Nel 1444 Scanderbeg unì i signori albanesi per un incontro nella città veneziana di Alessio. Lo scopo era di formare una coalizione anti-ottomana; ma di questa riunione, fino ai giorni nostri, non sono pervenuti resoconti contemporanei.[52]
Fu solo una settantina d'anni dopo, all'inizio del XVI secolo, che Marinus Barletius, Demetrio Franco e Giovanni Musachio, biografi di Scanderbeg, descrissero l’assemblea di Alessio. Oliver Jens Schmitt, professore di storia dell'Europa sud-orientale all'Università di Vienna, sostiene che, sebbene non vi sia motivo di dubitare che l'assemblea si sia effettivamente svolta, sarebbe necessario esercitare cautela nell'esaminarne il contenuto politico perché si può presumere che i tre scrittori ne descrivessero meno gli eventi reali che la memoria del passato eroico.[52]
Sia Marinus Barletius[53] che Giovanni Musachio[54] e Demetrio Franco[55], contemporanei di Scanderbeg, ci forniscono un elenco di partecipanti all'assemblea e il luogo, ma non la data dell'incontro.
Secondo Barletius i partecipanti all'assemblea erano: "Ariannites Thopia Golemus; Andreas Thopia con i suoi figli Comnino e Musachio e il nipote Tanusio; Georg Stresius; i fratelli Nicolaus e Paulus Ducaginus; Lucas Zacharias."[56]
Giovanni Musachio riferisce che all'assemblea erano presenti: "Arainiti Comnino, Coico Bassa, Nicolo e Paulo Ducaguino, Ginno Mosachi mio padre, Andrea Thopia, Pietro Spani."[57]
Demetrio Franco sostiene che all'assemblea erano presenti "Aranith Connino, Andrea Thopia, Paolo e Nicolò Ducagino, Pietro Spano, Lech Dismano, Lech, Zacharia e i rettori della Serenissima."[58]
Il primo a sostenere che l'assemblea si sarebbe tenuta il "due di Marzo 1444" era Giovanni Maria Biemmi che presentò la sua biografia su Scanderbeg due secoli più tardi nel 1742;[59] ma nel 1931 e nel 1933 il Biemmi venne dichiarato "falsario" dallo storico e orientalista Franz Babinger e dal bibliotecario Kurt Ohly.[60]
Per quanto riguarda il luogo dell'assemblea Barletius[61], Musachio[62] e Franco[63], biografi di Scanderbeg, riportano la città veneziana di Alessio che "si trova a 30000 passi da Kruja".[64] Il Biemmi oltre a confermare la città di Alessio aggiunge "dentro la Chiesa principale della città".[65]
Scanderbeg, invincibile sovrano degli albanesi,[64] fu eletto all'unanimità comandante in capo dell'esercito della "Santissima Lega".[66] Ogni membro della Lega poteva liberamente determinare l'ammontare dell'assistenza finanziaria e militare.[67]
Le entrate annue di Scanderbeg erano stimate all'incirca in 200 000 ducati d’oro[68][69] ed erano costituite dalle contribuzioni dei signori della Lega, dalle entrate del suo principato e dalle saline di campo Episcopo presso San Nicola della Pietra a nord di Durazzo.[70]
Intanto il sultano Murad II, furioso per il tradimento del suo protetto, inviò contro gli albanesi un potente esercito guidato da Alì Pascià, alla testa, si disse, di 100 000 o addirittura 150 000 uomini. Lo scontro con le forze notevolmente inferiori di Scanderbeg avvenne, quali che fossero le consistenze numeriche, il 29 giugno 1444, nella piana di Torvioll. I turchi riportarono una netta sconfitta. Il successo di Scanderbeg ebbe vasta risonanza oltre il confine albanese e arrivò fino alle orecchie di Papa Eugenio IV, il quale ipotizzò addirittura una nuova crociata contro l'Islam, guidata da Scanderbeg[71][72][73].
Con la delibera del 12 febbraio 1445, i veneziani confermarono a Scanderbeg e suo fratello Staniša vari privilegi e un sussidio annuo di 200 ducati che, precedentemente, era stato concesso al padre Giovanni I.[74]
Battaglia di Mokra (1445)
L'esito dello scontro nella battaglia di Torvioll rese ancora più furibondo il sultano, che ordinò a Firuz Pascià di distruggere Scanderbeg e gli albanesi; così, il comandante ottomano partì alla testa di 15 000 cavalieri. Il Castriota lo attese alle gole di Prizren il 10 ottobre 1445 e ancora una volta uscì vincitore. Le azioni di Scanderbeg divennero celebri in tutto l'Occidente; delegazioni del papa e di Alfonso d'Aragona giunsero in Albania per celebrare la straordinaria impresa.
Ma Murad II non si rassegnava. Allora dispose, agli ordini di Mustafà Pascià, due eserciti per un complessivo di 25 000 uomini, di cui una metà era di cavalieri, che si scontrarono con gli albanesi il 27 settembre 1446; l'esito fu disastroso, 5 000 soldati ottomani furono uccisi e 300 furono fatti prigionieri: a stento si salvò Mustafà Pascià.
Assedio di Svetigrad (1448)
Le imprese di Scanderbeg preoccupavano la Repubblica di Venezia che riconosceva la sovranità del sultano su tutta la regione e, almeno per quanto riguardava Scutari ed Alessio, gli pagava un tributo. Nel dicembre del 1447, il Senato, preoccupato della possibilità che le operazioni di Scanderbeg si estendessero anche a Durazzo e cosciente del fatto che il desiderio veneziano di mettere mani sul ducato di Milano[75] rendevano impossibile una reazione militare adeguata, era sul punto di inviare un'ambasciata da Scanderbeg, ma poi non se ne fece nulla. Da due delibere del 4 maggio 1448 si evince che, nella prima veniva data via libera ad un progetto di assassinio di Scanderbeg, affidato ad un ignoto suddito veneziano, probabilmente albanese, "persona bone reputationis et pratica et sagax", che si era offerto di eseguirlo;[76] mentre la seconda delibera prevedeva dei passi diplomatici verso il sultano con lo scopo di scatenare la potenza ottomana contro Scanderbeg.[75]
La battaglia del 3 luglio 1448 vide la sconfitta dei veneziani, che si vendicarono radendo al suolo la fortezza dei Balšići.
Successivamente, il 4 ottobre 1448 Scanderbeg firmò un trattato di pace con i veneziani, anche perché intenzionato ad unirsi con il principe reggente di Ungheria, Giovanni Hunyadi, il quale con il suo esercito stava avanzando in Kosovo e invitava Skanderbeg a unirsi nella lotta contro il sultano. Ma Scanderbeg non riuscì a partecipare effettivamente al confronto, perché impedito dal re serbo Đurađ Branković, il quale si era alleato con il sultano Murad II.[77][78][79][80]. A causa di ciò, Scanderbeg si vendicò, distruggendo villaggi serbi lungo il suo cammino, per essergli stato impedito di unirsi alla causa cristiana[77][81]. Quando Scanderbeg riuscì a raggiungere Hunyadi, questi era stato già sconfitto dai turchi nella seconda battaglia della Piana dei Merli[82].
Assedio di Croia (1450)
Nel giugno del 1450, Murad II in persona intervenne contro l'Albania alla testa di 150 000 soldati, assediando il castello di Croia. I turchi persero metà dell'esercito e il comandante Firuz Pascià venne ucciso da Scanderbeg. Ma, anche se le straordinarie vittorie avevano inferto profonde ferite alle forze e all'orgoglio turco, avevano pure indebolito le forze albanesi; allora il Castriota decise di chiedere aiuto ad Alfonso d'Aragona, che si rese disponibile, riconoscendo a Scanderbeg il merito di essersi fatto carico di una durissima lotta contro i turchi, che inquietavano molto la corona napoletana.
Maometto II, successore di Murad, si rese conto delle gravi conseguenze che l'alleanza degli albanesi con il Regno di Napoli poteva far nascere; decise quindi di mandare due armate contro l'Albania: una comandata da Hamza Bey, l'altra da Dalip Pascià. Nel luglio del 1452 queste due armate furono annientate e, mentre Hamza Bey fu catturato, Dalip Pascià morì in battaglia.
Altre incursioni turche si tramutarono in sconfitte: Skopje il 22 aprile 1453, Oranik nel 1456, valle del fiume Mati il 7 settembre 1457. Infine, nel corso del 1458, in una serie di scontri scaturiti da offensive portate questa volta da Scanderbeg, altre tre armate turche furono sbaragliate. La fama di Scanderbeg fu incontenibile, anche per il fatto che gli uomini a sua disposizione non furono mai più di 20 000. Al sultano turco non rimase altro che chiedere di trattare la pace, ma il Castriota rifiutò ogni accordo e continuò la sua battaglia[83]. Scanderbeg si guadagnò i titoli di "Atleta di Cristo"[4] e il "nuovo Alessandro".[5] In alcune pubblicazioni italo-albanesi viene definito come "strenuo difensore della fede cattolica e indomito guerriero".[84]
Nel 1459 si recò in Italia per aiutare Ferdinando I, re di Napoli, figlio del suo amico e protettore Alfonso d'Aragona, nella lotta contro il rivale Giovanni d'Angiò ed il suo esercito. Nel 1461 riconquistò Trani che era stata presa da Jacopo Piccinino per conto degli angioini.[85] La battaglia decisiva fu combattuta tra Orsara e Troia il 18 agosto 1462, quando l'esercito italo-francese fu battuto. Il duca Giovanni d'Angiò a stento riuscì a riparare in Francia. Ferdinando I, in segno di riconoscimento per l'aiuto ricevuto da Scanderbeg, lo avrebbe nominato nel 1464 "Generale della Casa d'Aragona"[86] e gli avrebbe concesso i feudi di Monte Sant'Angelo, Trani[87] e San Giovanni Rotondo.[88]
Intanto, però, altre due armate turche, comandate da Hussein Bey e Sinan Bey, nel febbraio del 1462 avevano mosso contro gli albanesi, costringendo Scanderbeg a rientrare in tutta fretta in patria, per guidare il suo esercito. Dopo che le due armate erano state sconfitte, una furiosa battaglia ebbe luogo presso Skopjë contro un terzo esercito condotto da Karaza Bey e si concluse anch'essa con la sconfitta dei turchi. L'atto finale fu un trattato di pace firmato il 27 aprile 1463 tra Maometto II e il Castriota.[89]
Intanto, la morte di papa Pio II ad Ancona, il 14 agosto 1464, determinò il fallimento di una crociata che il Pontefice aveva in mente e che teneva in grande apprensione il sultano. Quest'ultimo, dopo aver fatto costruire nel giugno-luglio 1466 la fortezza di Elbasan, "avamposto che resistette a tutti gli attacchi degli albanesi",[90] nel settembre del 1464 incaricò Sceremet bey di muovere contro gli albanesi; ma i turchi furono nuovamente sconfitti. Il figlio di Sceremet bey fu catturato e rilasciato a fronte di un grosso riscatto.
L'anno dopo, scongiurato il pericolo della crociata, il sultano mise insieme un poderoso esercito, affidandolo a un traditore albanese, che era stato cresciuto allo stesso modo di Scanderbeg, Ballaban Pascià. Ma anche quest'impresa fallì: l'esercito turco, in prossimità di Ocrida, fu messo in fuga dalle forze albanesi.
Ancora una volta, nella primavera del 1466, Maometto II, riunite forze imponenti, mosse contro gli albanesi e cinse d'assedio Croia; una serie di scontri furiosi, durante la quale Ballaban Pascià fu ucciso, portò Scanderbeg a un'ennesima e straordinaria vittoria. Maometto II, ostinatissimo nella sua lotta contro il Castriota, riorganizzò nuovamente il suo esercito e, nell'estate del 1467, pose di nuovo l'assedio a Croia, ma, dopo innumerevoli tentativi di attacco alla città, dovette rassegnarsi a sgombrare il campo.
La ostinazione di Maometto II si spiega facilmente col fatto che l'Albania non poteva essere aggirata; lasciarsi alle spalle intatta l'Albania di Scanderbeg sarebbe stato un errore strategico notevole: qualunque avanzata dell'esercito ottomano verso l'Europa cristiana lo avrebbe esposto al sicuro attacco alle spalle da parte di Scanderbeg e Maometto II si sarebbe trovato tra due fronti; per di più, Scanderbeg era divenuto un vero esperto in agguati e contrattacchi e conosceva a perfezione le debolezze dell'esercito ottomano.
Scanderbeg difese l'Albania dall'Impero ottomano fino alla sua morte, probabilmente di malaria, avvenuta nel gennaio del 1468[91][92] ad Alessio, dove fu sepolto nella chiesa di San Nicola.[93]
La notizia della morte di Scanderbeg raggiunse Venezia prima del 13 febbraio 1468, come si evince da una delibera del Senato del 13 febbraio 1468 (stile veneziano 1467) che conferma la morte di Scanderbeg: "[…] mortuus est magnificus quondam Scandarbegus […]".[94] Il 14 febbraio del 1468, l'ambasciatore milanese a Venezia, Gerardo de Collis scrisse al duca di Milano, Galeazzo Maria Sforza: "[…] Scanderbeg he passato de questa vita, havea la febre et essendo corsi certi turchi nel paese, volsi montar a cavalo, e mori in tre giorni; […]"[95] Il 23 febbraio 1468, re Ferdinando I di Napoli scrisse alla "uxori Scannaribechi" Andronica: "La [sua] morte ad nui è dispiaciuta".[96]
Le fonti storiche
La prima biografia di Giorgio Castriota è opera di Marinus Barletius (Marin Barleti in albanese, Marino Barlezio in italiano), un sacerdote cattolico di Scutari, che alla morte di Scanderbeg aveva 18 anni. Egli si basò su testimonianze di alcuni dei condottieri al seguito del "primo cavaliere" e su documenti ufficiali dell'archivio di Venezia, dove Barletius si era rifugiato dopo la caduta di Scutari (1479) sotto il dominio ottomano. Scritta in latino, la Historia de vita et gestis Scanderbegi, Epirotarum principis venne pubblicata a Roma all'inizio del XVI secolo (1508-1510).[97] Oliver Jens Schmitt, professore di storia dell'Europa sud-orientale all'Università di Vienna, sostiene che è indubbio che l'intera tradizione di Scanderbeg, sia nell'occidente che nei Balcani, sia riconducibile a Barletius; ma, dopo secoli di accettazione pedissequa dal lavoro di quest'ultimo, la ricerca scientifica del XX secolo ha preso le distanze da esso.[98]
Una seconda biografia libro con il titolo Commentario de le cose de Turchi e del S[ignor] Georgio Scanderbeg, principe di Epyrro, con la sua vita et le vittorie per lui fatte con l'aiuto de l'altissimo Dio et le inestimabili forze et virtu di quello, degne di memoria venne pubblicata a Venezia nel 1539. Nuove edizioni con insignificanti modifiche, apparvero con lo stesso titolo nel 1541 e nel 1545. Secondo Francisc Pall, l'opera fu attribuita "falsamente" a Paolo Giovio.[99]
Un terzo libro biografico su Scanderbeg venne pubblicato dal chierico cattolico Demetrio Franco, proveniente da Drivasto, dominio veneziano in Albania, ed esule albanese a Venezia. Contrariamente a Barletius, Demetrio Franco visse per qualche tempo presso Scanderbeg, dove pare abbia servito nella sua cancelleria come funzionario alle finanze, quindi un testimone oculare. La sua opera, originariamente in latino, fu pubblicata postuma senza il nome dell'autore, tradotta in italiano a Venezia nel 1584 col titolo: Gli illustri et gloriosi gesti, et vittoriose imprese, fatte contra Turchi, dal sign. D. Giorgio Castriotto, detto Scanderbeg, prencipe d'Epirro.[100]
Un'altra testimonianza sulla vita di Castriota fu quella di Giovanni Musachi (in albanese Gjin Muzaka), appartenente alla famiglia feudale che governava la città di Berat. Giovanni Musachi combatté accanto a Scanderbeg e visse in Albania ancora per undici anni dopo la morte del condottiero; più tardi si trasferì a Napoli dove, nel 1515, scrisse il libro Historia e Genealogia della casa Musachia, nel quale narra le vicende di cui fu testimone diretto.[101]
Nel 1742, ca. due secoli più tardi il prete bresciano Giovanni Maria Biemmi presentò una biografia di Scanderbeg sostenendo di averla estratta da un incunabolo del 1480, scritto da un autore anonimo che Biemmi chiama Antivarino e che venne battezzato "il Tivarese" da Fan Stilian Noli. Il manoscritto originale dell'opera dell'Antivarino sarebbe andato perduto: lo si conosce soltanto da riferimenti e citazioni del libro di Biemmi intitolato Istoria di Giorgio Castrioto Scander-Begh. L'Antivarino descrive criticamente tutti gli episodi, non mancando di fornire accuratamente nomi, regioni e date delle battaglie, con una precisione temporale raramente verificabile in Barletius. A duecento anni dalla "scoperta" del Biemmi, lo storico e orientalista tedesco Franz Babinger (1931) e il bibliotecario tedesco Kurt Ohly (1933) denunciarono il Biemmi come autore di un "magistrale falso storico" come aveva già fatto in altre sue opere.[102] Intanto nel XIX e all'inizio del XX secolo, numerosi storici si erano serviti del Biemmi come fonte; tra questi troviamo gli albanesi Fan Noli (1921) e Athanase Gegaj (1938) nonché l'italiano Alessandro Cutolo (1940), i quali contribuirono in modo significativo alla diffusione delle falsità del Biemmi. Se l'atteggiamento degli innanzi citati era inconsapevole, caratteristico è quello di Kristo Frashëri[103] (2002), il quale, pur sapendo della contraffazione, ne fa comunque uso, perché contenente elementi essenziali di una tradizione caratteristica di parti importanti della ricerca albanese. L'unico che si era opposto era Kasem Biçoku, che nella sua bibliografia "Gjergj Kastrioti Skenderbeu" del 1997 parlava chiaramente di un falso e non prendeva in considerazione il Biemmi.[104]
Nel XIX secolo studiosi di nazionalità diverse, accantonando le tante opere dei due secoli precedenti, si sono occupati delle fonti originali conservate negli archivi del Vaticano, di Venezia, di Ragusa e di Istanbul. La scoperta di questi documenti ha posto sotto una luce diversa la vita e l'opera di Scanderbeg. Il primo studio su Scanderbeg avente pretese scientifiche era il bizantinista tirolese Jakob Philipp Fallmerayer, che tra il 1857 e il 1866 pubblico nove volumi sul "Das Albanische Element in Griechenland";[105] gli seguì, nel 1873, lo storico e bizantinista tedesco Karl Hopf,[106] che collaborava col fondatore dell'albanologia moderna, Johann Georg von Hahn, console austriaco a Giannina.[107] Altri studiosi, come l'americano Clement Clarke Moore (1850)[108], il francese Camille Paganel (1855)[109], l'austriaco Julius Pisko (1894)[110], hanno scritto lunghe biografie sul Castriota.
Dopo la prima guerra mondiale padre Fan Stilian Noli, prete ortodosso, filosofo, storico e scrittore albanese, pubblicò nel 1921 l'opera Historia e Skënderbeut (La storia di Skanderbeg), riscuotendo ben presto una straordinaria popolarità, al punto d'essere quasi imparata a memoria da tutti gli studenti delle scuole dell'Albania libera. Dopo la seconda guerra mondiale pubblicò un altro libro sulla storia di Castriota in lingua inglese, un'analisi scientifica e critica delle opere di tutti i precedenti autori che avevano scritto la biografia dello Scanderbeg[111]. In questo lavoro del 1947 Noli cercò di distinguere i fatti storici dalle leggende e dai pregiudizi, interpretando e ponendo Castriota allo stesso livello di un comandante di guerriglia dei tempi più moderni.
Discendenza
Nel 1451 Skanderbeg sposò Andronica "Donica" Arianiti-Comneniata[112] (* Canina 1428; † Valencia, tra l'8 marzo 1505 e l'inizio di settembre del 1506[113]), figlia del principe di Kanina, Gjergj Arianiti Comneni e di Maria Muzaka, figlia di Andrea III Muzaka e Chiranna Zenevissi.[114] Nel 1456 nacque il suo unico figlio e discendente Giovanni II Castriota (in albanese: Gjon).
Hamzà (o Bernardo), figlio del fratello Staniša, che aveva sperato di ereditare il principato dei Castrioti, lo stesso giorno della nascita dell'erede (1456) si recò con la sua famiglia ad Adrianopoli[115].
Ferrante (? -1561), 2º conte di Soleto e 2º duca di San Pietro in Galatina, sposò Adriana Acquaviva d'Aragona dei duchi di Nardò[117]. La figlia Erina (? -1565), 3ª contessa di Soleto e 3ª duchessa di San Pietro in Galatina, sposò il principe Pierantonio Sanseverino di Bisignano[117].
Durante una furente battaglia contro i turchi che si prolungò oltre il tramonto, Scanderbeg ordinò ad alcuni suoi soldati di recuperare un gregge di capre, fece legare delle torce accese alle loro corna e le liberò in direzione delle file dei soldati turchi a notte inoltrata. I turchi, credendo di essere assaliti da preponderanti forze nemiche, batterono in ritirata. Per l'importante servigio reso dall'animale, Scanderbeg decise di assumerlo come suo emblema e raffigurarlo sul suo elmo.
Nel suo letto di morte, Scanderbeg ordinò, fra tutte le persone riunite accanto a lui, a un bambino di andare fuori, raccogliere tanti pezzetti di legno e di questi farne un mazzo. Al suo ritorno, Scanderbeg sfidò i presenti a spezzare questo mazzo, ma nessuno di essi riuscì nell'impresa. Fu così che il principe disse allora al giovane di disfare il mazzo e romperli uno per volta. Concluse dicendo: "Con questo gesto, io, vi volevo dimostrare che se restate tutti uniti nessuno potrà mai spezzarvi, ma dividendovi anche un solo bambino potrà condurvi alla morte". Detto questo, spirò.
Appena diffusasi la notizia della morte di Scanderbeg, i turchi decisero di assalire le forze albanesi in virtù del basso morale che l'avvenimento aveva generato. I luogotenenti albanesi allora decisero di ricorrere a un singolare stratagemma: presero dal letto di morte il corpo esanime del loro condottiero e lo issarono sul suo cavallo, spronandolo in battaglia con dietro tutto il suo esercito. I turchi, sentitisi ingannati dalla falsa notizia circa la sua morte, batterono in ritirata.
Arte, musica e letteratura
Monumenti
Numerosissimi sono i monumenti (statue equestri, busti, lapidi celebrative) in Albania e Kosovo, così come nelle zone albanesi della Macedonia, del Montenegro e, in misura minore, in Grecia.
In Italia:
Il palazzo a Roma dove risiedette Scanderbeg negli anni 1465-1466 porta ancora il suo nome e la sua immagine è affrescata nel medaglione sopra il portone principale d'entrata[118][119], sebbene non offra testimonianze delle sue gesta. Oltre alla Piazza antistante, è intitolato a Scanderbeg il vicolo che arriva all'omonimo palazzo. In piazza Albania una statua equestre gli è dedicata, opera dello scultore Romano Romanelli del 1940.
A Firenze, nella Galleria degli Uffizi, c'è uno storico dipinto (1552 - 1568) di Giorgio Castriota, probabilmente uno dei più antichi, opera dell'artista Cristofano dell'Altissimo[120]. Nella Galleria Romanelli vi è la statua equestre originale in gesso di Scanderbeg, opera dell'omonimo scultore. A Palazzo Pitti l'artista Bernardino Poccetti ha rappresentato la caduta della città albanese di Prevesa (Epiro, oggi Grecia) sotto mano del turco, facendo cenno alle imprese guerriere di Scanderbeg nella resistenza.
Il Palazzo Castriota o Palazzo del Tufo, ubicato a Napoli, è uno dei principali palazzi monumentali della città. Si trova in via Santa Maria di Costantinopoli e costituisce un bell'esempio di architettura rinascimentale e barocca. L'edificio, che appartenne ai Castriota Scanderbeg, presenta una facciata ornata mediante un semplice parametro in mattoni con alto basamento sul quale si apre il portale a conci alterni in marmo.
A Fermo nella Sala dei Ritratti al Palazzo dei Priori si trova un ritratto di Scanderbeg che fa parte d'una collezione donata ai Priori di Fermo, si presume nel XVI secolo, da papa Sisto V. Con l'iniziativa del Consigliere Comunale Granit Muçaj nel 28 maggio 2005 per celebrare 600 anni dalla sua nascita è stata inaugurata una piazza intitolata "Giorgio Castriota Scanderbeg Eroe Albanese". Due anni dopo, al 25 novembre 2007, per l'occasione della festa Nazionale Albanese 95º anniversario d'indipendenza, con il contributo del imprenditore Nebi Muçaj e dell'Associazione Skanderbeg a Fermo, è stato inaugurato il busto dell'eroe (l'opera è dello scultore Artan Peqini ed è fusa in bronzo). Sei anni dopo in questa piazza a Fermo, è stato costruito il Monumento dell'Eroe Nazionale Albanese, che consiste in un piazzale pavimentato di circa 200 metri quadri opera dell'Arch. Francesco Alocco, inaugurato il 24 novembre 2013 con la partecipazione del Presidente del Parlamento Albanese on. Ilir Meta.
Ad Auletta (SA) è presente il Castello Marchesale della famiglia Maioli Castriota Scanderbech. Durante la prima metà del Novecento il Castello ha accolto come ospiti anche l’ultimo Re d’Italia, Umberto II di Savoia, e sua moglie Maria José.
In Umbria, secondo il sito web del Castello di Castelleone[121], un'antica fortezza feudale di origini medioevali nei pressi di Deruta (Perugia), sulla cima della cosiddetta Torre Longobarda, è presente una presunta statua equestre di Giorgio Castriota Scanderbeg. Pur trascurando le differenze minori (elmo, barba, spada) non si può non evidenziare che lo stemma rappresentato sullo scudo non è l’aquila bicipite dei Castriota. Si narra che Giorgio Castriota sia passato da quelle parti e abbia fatto tappa a Castelleone incaricato da Papa Pio II di richiamare alle armi i perugini contro gli ottomani.[122]
Nella città di Palermo, nella zona in stile liberty tra piazza Croci e il Teatro Politeama Garibaldi, gli è dedicata una via (Via Giorgio Castriota). Sempre nella città di Palermo, nella parrocchia italo-albanese di rito bizantinoSan Nicolò dei Greci alla Martorana, in pieno centro storico, una lapide marmorea posta nel 1968 (periodo in cui nelle comunità albanesi di Sicilia vi erano grandi festeggiamenti in onore dell'eroe d'Albania) dai papàdes/sacerdoti dell'Eparchia di Piana degli Albanesi (tra cui - per volere di - papàs Matteo Sciambra, papàs Ignazio Parrino, l'eparca Giuseppe Perniciaro) e da intellettuali, albanologi e studiosi quali ad esempio Ernest Koliqi, padre Giuseppe Zef Valentini, Rosolino Petrotta, Giuseppe Schirò Clesi, onora e ricorda le solenni celebrazioni del cinquecentenario della morte di Scanderbeg a Palermo.
Un busto di Castriota è presente nel centro storico di Cosenza, realizzato da Odhise Paskali, il più importante artista e scultore albanese del XX secolo. Fu donato dalla Repubblica Popolare Socialista d'Albania alla città di Cosenza nel 1968 e sistemato nel 1978, su richiesta dell'on. Mario Brunetti, nella piazza XXV Luglio (vicino a piazza Cappello), poi nel 1988, su richiesta di papàs Antonio Bellusci, primo parroco della chiesa italo-albanese del Santissimo Salvatore, fu spostato nella sede attuale, in Corso Plebiscito, nei pressi della parrocchia di rito bizantino per solennizzare il decimo anniversario dell'erezione della parrocchia “personale” per gli albanesi ivi residenti a Cosenza.
Nel comune arbëresh di San Basile, in Calabria, è stato inaugurato nel 2024 il monumento più grande in Italia dedicato al condottiero albanese. Esso consiste di una statua equestre in bronzo, alta all'incirca 4 metri, raffigurante il Castriota in sella al suo cavallo rampante durante una battaglia.[123]
Un'antica epigrafe (1502) in latino, misto al dialetto volgare locale, è presente al monastero della Trinitat di Valencia, in Spagna.
Un monumento[124] a Scanderbeg è stato inaugurato nel 1968 a Bruxelles, in Belgio, dagli immigrati albanesi per celebrare i 500 anni dalla sua morte.
A Parigi, in Francia, in occasione del cinquecentenario nel 1968, con la presenza di varie comunità albanesi d'Italia, di Grecia, di Albania, Kosovo, Montenegro e Macedonia, è stata inaugurata la piazza Giorgio Castriota Scanderbeg.
A Ginevra, in Svizzera, è stata eretta una statua il 1º novembre 1997.
A Londra, in Inghilterra, è stata inaugurata nel 2012, in occasione del Centenario dell'indipendenza dell'Albania dai turchi, un busto e così intitolatagli la piazza omonima.
Nel 1937 Athanase Gegaj presentò una tesi in francese, nell'Università belga di Louvain, intitolata L'Albanie et l'invasion au XVe siècle.
All'eroe nazionale dell'Albania e alla sua epopea sono riferite decine di leggende e tradizioni locali, e dedicate numerose opere di narrativa: tra queste meritano di essere ricordati il George Kastioti Scanderbeg del 1962 di Naim Frashëri, considerato il fondatore della letteratura nazionale albanese, il romanzo Kështjella ("I Tamburi della Pioggia", lett. "La Fortezza") del 1970, del più noto scrittore contemporaneo albanese, Ismail Kadare. La presenza di Scanderbeg in Italia è stata raccontata nel romanzo storico Skenderbeg - La campagna d'Italia di Alban Kraja. Gli atti eroici di Scanderbeg, di suo figlio Giovanni e di suo nipote "Giorgio Castriota i Ri" sono raccontati sotto forma romanzata nel libro Il mosaico del tempo grande di Carmine Abate.[125]
Nel 2009, Oliver Jens Schmitt pubblicò in tedesco la sua opera "Skanderbeg. Der neue Alexander auf dem Balkan" (Scanderbeg. Il nuovo Alessandro nei Balcani).[126]
Particolare della statua equestre di Castriota a Skopje, Macedonia.
Piedistallo del monumento a Giorgio Castriota, "Impavido difensore della civiltà occidentale", in piazza Albania, a Roma.
La morte di Scanderbeg, affresco di Niko Progri (1982), Museo di Scanderbeg, a Kruja.
L'effigie di Scanderbeg sulla banconota da 5.000 lek albanesi.
Note
^Il luogo di nascita non è documentato con certezza, ma, secondo Kristo Frashëri, va probabilmente fissato nel villaggio di Sinë (Distretto di Mat), uno dei due possedimenti del nonno di Scanderbeg (Gjergj Kastrioti Skënderbeu: jeta dhe vepra (1405-1468), pp. 62-66). La data di nascita è calcolata tenendo conto che Scanderbeg è morto nel 1468 all'età di 63 anni.
«La data del 17 gennaio la danno gli Anonimi, l'anno 1468Frantza, l. IV. c. 22, p. 430: "Mense Januario ejusdem anni (6976 anno bizantino, cioè 1468) Albanitarum princeps Scantares morbo obiit".»
^L'ardua resistenza ai tentativi di conquista dell'Impero ottomano consentì nel frattempo agli stati europei di organizzare l'esercito, che sconfisse successivamente a Lepanto e alle porte di Vienna le falangi turche e fermò definitivamente i loro avanzare in Europa.
«Secondo Barlezio, nacque nel 1403 e fu dato come ostaggio nel 1412; secondo Lavardin, Bienimi e Pisko, nacque nel 1404 e fu dato come ostaggio nel 1413; secondo l'Anonimo Veneto (ed. 1539), nacque nel 1410 e fu dato come ostaggio nel 1418; secondo l'Anonimo del Sansovino e di Demetrio Franco, nacque nel 1407 e fu dato come ostaggio nel 1415; secondo l'Hahn e l'Hopf, nacque nel 1403 e fu dato come ostaggio nel 1410; secondo l'Hammer-Purgstall, il Paganel ed il Fallmerayer, nacque nel 1414 e fu dato come ostaggio nel 1423. Secondo il Biemmi, il Pisko, l'Hahn e l'Hopf fu preso ostaggio dal sultano Maometto I; secondo tutti gli altri, fra i quali tutti gli antichi, fu preso come ostaggio dal sultano Murad II. In breve, la sua nascita ha avuto luogo fra il 1403 e il 1414 e la data del suo ostaggio cade fra il 1410 e il 1423.»
^John Musachi, Brief Chronicle on the Descendants of our Musachi Dynasty, p. 54.
«You should know that the grandfather of Lord Scanderbeg was called Lord Paul Castriota. He ruled over no more than two villages, called Signa (Sina) and Gardi Ipostesi. To this Lord Paul was born Lord John Castriota who became Lord of Mat. And to him was born Lord Scanderbeg. The mother of the said Lord Scanderbeg, i. e. the wife of the said Lord John, was called Lady Voisava Tribalda who was of a noble family.»
^Della madre di Giorgio Castriota sono giunti solo due riferimenti coevi (Marino Barlezio, alias Marin Barleti, e Giovanni Musachi, alias Gjon Muzaka) che indicano la origine nobile e l'eponimico ("pater nobilissimus Triballorum princeps", scrive Barlezio), ma non esattamente la sua famiglia di appartenenza. La nobildonna è stata, col tempo, accreditata come appartenente alla famiglia dei Branković (cfr. Schmitt, 2009, pp. 44-45), come originaria arbër-epirota (cfr. (SQ) Pirro Prifti, Përse Vojsava Tribalda – Nëna e Skënderbeut ishte me origjinë Arbër, Bota Sot, 22 luglio 2017.) o della valle di Polog (cfr. (SQ) Ilmi Veliu, Nëna e Skënderbeut, Vjosava Tribalda ishte e pastër shqiptare, nga Pollogu i Iliridës, in Tema, 5 dicembre 2018.). A quest'ultimo proposito, Fan Stilian Noli specifica che Voisava era la figlia del principe di Pollogu (secondo la denominazione albanese), nei pressi di Tetova, una regione che faceva parte del principato dei Balsha e rientrava nell'area di influenza dei Castriota, e che fa oggi capo alla regione statistica di Polog della Macedonia del Nord. Gli abitanti di tale area erano di stirpe bulgara, ma i suoi prìncipi erano albanesi dall'epoca dei Balsha o comunque si erano albanesizzati tramite legami matrimoniali (Fan Stilian Noli, 1993, p. 26). Per una disamina particolareggiata delle problematiche riguardanti la madre di Scanderbeg, si veda anche Voisava Kastrioti, su Albanian Studies. URL consultato il 22 maggio 2024.
^Franco Demarchi, Minoranze linguistiche tra storia e politica, p. 175
^Irvin Faniko, L’evoluzione storico-giuridico della Carta Fondamentale Albanese, p. 29
^(HR) Povijesno društro Hrvatske: Historijski zbornik, Volumi 41-42, 1989, p. 24
^(EN) John Van Antwerp Fine, The Late Medieval Balkans, p. 422
^Agostino Pertusi, Martino Segono di Novo Brdo, p. 292
^Janko Šafařík, Acta archivi Veneti spectantia ad historiam Serborum et reliquorum Slavorum meridionalium, p. 447
«L'organizzazione ottomana era ben diversa da quella, classica, dell'Europa medioevale, caratterizzata da una lunga catena di obblighi feudali, che legava i vassalli di rango più basso a quelli di rango superiore, questi a quelli del rango successivo e così via sempre più su fino al sovrano; i vassalli ottomani ricevevano i loro feudi, chiamati timar, direttamente dal sultano e direttamente a lui erano tenuti a fornire in cambio prestazioni militari accuratamente definite, come numero di uomini ed equipaggiamento, cui non potevano venir meno senza gravi rischi; inoltre i feudi timar erano piuttosto piccoli, dato che ognuno di essi poteva fornire, mediamente, 4-5 cavalieri (spahis) equipaggiati, e quindi il "potere contrattuale" di ogni singolo feudatario nei confronti del sultano era praticamente nullo; infine i feudi non erano ereditari ed anzi il sultano non aveva alcuna remora a privarne il vassallo che fosse incorso nella sua disapprovazione o ad effettuare delle rotazioni ogni volta che lo ritenesse opportuno.»
«Dai documenti catastali ottomani risulta che, nei primi anni '30, un certo Hızır beg era subaš di Kruja. Nel 1438 risulta Scanderbeg come subashi di Kruja, alla fine dello stesso anno, a Krujë era di nuovo subaş Hızır beg cui, nel 1440, successe Gazi oğlu Umur beg; quanto al grado successivo di sanjaq beg, è per lo meno dubbio che egli vi sia mai pervenuto, poiché il suo nome non figura nella lista di capi turchi, che presumibilmente comprende tutti i sanjaq beg presenti, inclusa nella lettera inviata da Huniady al suo collega Újlaki all'indomani della battaglia di Niš.»
«Balaban paşa […]. Anciennement au service du père de Skanderbeg, il évolua vite dans l’armée ottomane. Appelé le «petit» (küçük), il servit, comme Hızır, en 1423 dans le château de Kruja […].»
«Hızır bey était un concurrent de Skanderbeg; commandant ottoman de Kruja, il fut destitué et remplacé par Skanderbeg; quand ce dernier tomba en disgrâce et fut éloigné de l’Albanie, Hızır reprit le poste à Kruja;[…].»
«[…] Nicolaus V. kam, soviel er konnte, allen seinen christlichen Untertanen zu Hilfe. Gleich seinen Vorgängern unterstützte er das kleine Königreich Cypern, den Johanniterorden von Rhodos, Bosnien, auch Skanderbeg in Albanien. Im Interesse des Türkenkrieges opferte der Papst reiche Summen für die Kriegsflotte des Aragoners, Alfons V. von Neapel. Seinen besondern Schutz liess er Ungarn zukommen. Denn mehr und mehr verbreitete sich die Auffassung, dass nicht das griechische Reich, sondern Ungarn «der Schild gegen die Ungläubigen» sei, nachdem die Griechen keine Hand gerührt hatten zur Unterstützung der Lateiner in den schweren Kämpfen von Nicopolis und Varna. Daraus erklärt sich, wenigstens zum Teil, der geringe Eifer der Lateiner zur Rettung Konstantinopels. […].»
«Comme nous le dit Chalcocondy- las après la retraite des Ottomans dans les Balkans en 1443 devant l'Hunyade, les anciens seigneurs se dépêchèrent de tous les côtés à rentrer en possession des domaines de leurs pères […].»
«Posle bitke kod Pirota, Skenderbeg zajedno sa sinovcem Hamzom, sinom svog starijeg brata Staniše (prešavši u hrišćanstvo Hamza će uzeti ime Branilo po svom čukundedi) i 300 vernih Albanaca, napušta turske redove […]»
«[…] Dann es kamen zu jm vil fast edler fürsten/besonder seine Vettern mit einer dapffern vile der Knecht/Under andern Musachius/genannt Angeline/vo Angelina seiner Schwester/ein Encklen Goicus und Gerogus Streij/bezde gebrüder/seiner Schwester Jella Sön/Ginus Musachius ein Mann von Vlaice. Dann Joannes sein Vatter […]/Musachio Topie […]. Es ist auch vom Stephan Cernovichio/der Maram zum Weib […]/ das der Hauf jetzt bey zwölf tausent gewappneter Menner übertraf.[…]»
^Marinus Barletius visse dal 1450 al 1513 e pubblicò la prima biografia su Scanderbeg tra il 1508 e il 1510.
^Giovanni Musacchio venne nel Regno di Napoli verso il 1480 e morì dopo il 1510, data della pubblicazione della sua “Breve memoria de li discendenti della nostra casa Musachi”.
«[…] Di Statt Lyssum oder Allesium/wenig mer dann zwey und dreyssig tausent schritt von Croia ligende/zwischen jr und Scodram gelegten […] umb der Herrschaft wille der Venediger […] Dann diese Statt was under jr Herrschafft und gebiete. […].»
«Nel 1447 morì senza eredi il duca di Milano, Filippo Maria Visconti, un evento che offriva a Venezia la possibilità di mettere le mani sulla Lombardia, unificare pressoché totalmente l’Italia settentrionale sotto il suo dominio e stabilire così un'indiscutibile egemonia su tutta la penisola.»
«La cosa in sé non deve troppo stupirci, perché l’assassinio politico era tutt’altro che raro nell’Europa del Quattrocento (e non è ignoto neanche nella nostra epoca) e Venezia non faceva eccezione; c’è da dire, semmai, che, a differenza di quanto poteva avvenire per altri potentati, la natura collegiale del governo veneto faceva sì che decisioni del genere dovessero essere verbalizzate e votate, cosicché era inevitabile che ne rimanesse traccia negli archivi.»
«Scanderbeg intended to go "personalmente" with an army to assist Hunyadi, but was prevented from doing so by Branković, whose lands he ravaged as punishment for the Serbian desertion of the Christian cause.»
«La data di 17 Gennaio ce la danno gli Anonimi, l'anno 1468 Giorgio Sphrantzes, 1. IV . c. 22. p. 430: "Mense Ianuario eiusdem anni 6976 (secondo il calendario bizantino, cioè 1468) Albanitarum princeps Scantares morbo obiit".»
«The wrong year of 1466, given by Barleti, […] has been copied by Ghin Musachi […]. The equally wrong year of 1467, given by Franco […] and by Biemmi […] has been copied by Lavardin, Rinaldi, Spondano, Sagredo, Duponcet, Rodota, Farlati, Sismondi, Hammer, Zinkeisen, Paganel, Moore, Tajani, Pisko, Galanti, Cuniberti, Barbarich, Baldacci, Villari, Chekrezi, Stavron, Swire, Giuliani, and others.»
«[…] Skanderbeg starb 1468, an 63 Jahre alt, in der venezianischen Stadt Alessio und wurde dort in der Kirche des heiligen Nikolaus begraben; als die Türken den Ort später eroberten, erbrachen sie sein Grab und verschleppten seine Gebeine als Talismane. […]»
«Unzweifelhaft ist, dass sich die gesamte Skanderbegtradition im Abendland und auf dem Balkan auf Barletius zurückführt, weshalb die Frage nach seinem Quellenwert von entscheidender Bedeutung ist. Nach Jahrhunderten unbedenklicher Übernahme seines Werks hat sich die wissenschaftliche Forschung des 20. Jahrhunderts dem Skutariner Priester gegenüber reserviert gezeigt.»
«Nel 1933, Kurt Ohly, un esperto indagatore di incunaboli, nel suo lavoro "Eine Geschäftliche Radolt Inkunabel", dichiarò che durante le ricerche effettuate nei fondi dell'archivio della stamperia di Erhard Ratdolt a Venezia non era emersa nessuna traccia riguardo a una pubblicazione del presunto Antivarino nel 1480, inoltre, neanche in seguito si è riusciti a trovare una copia dell’opera in questione. Ohly, quindi, dedusse che la biografia dell’Anonimo Antivarino fosse, in realtà, un'opera inventata da Biemmi. Un'invenzione tra le più raffinate e meglio riuscite del suo tempo. Con riferimento a questa tesi, ancora un anno più tardi, quindi nel 1934, Babinger pubblicò a Berlino l’opera dal titolo "Ein erdichtetes Werk über Skanderbeg".»
«Intanto aumentavano le voci critiche nei confronti di Barlezio. Considerato retorico; con spirito panegirista; autore che nelle descrizioni imita Plutarco e Tucidide fin nei particolari; che attribuisce a Scanderbeg lunghissimi discorsi inventati, prima e dopo le battaglie; che riferisce episodi con inesattezze cronologiche; che tace su dati e avvenimenti importanti; che esagera le perdite ottomane e minimizza quelle di Scanderbeg: in breve, Barlezio è considerato più uno "scrittore fantasioso" che un vero storico.»
^ Fan S. Noli, George Castrioti Scanderbeg (1405–1468), New York, International Universities Press, 1947.
Edizione in italiano: Scanderbeg, traduzione di Alessandro Laporta e Halil Myrto, Lecce, Argo, 1993.
^Dal testamento della regina Giovanna III emerge che Donica fu seppellita nella chiesa della Santissima Trinità di Valencia. Inoltre espresse la volontà che il corpo di Andronica venisse traslato a Napoli, in una cappella dell'erigenda chiesa del monastero di Santa Maria della Concezione. Non sembra che la volontà di Giovanna III sia mai stata eseguita, ed è dunque probabile che Andronica sia ancora sepolta a Valencia.( Giovanni Antonio Summonte, Historia della città e regno di Napoli, Tomo V, Napoli, R. Gessari, 1749, p. 103.
^(EN) Arshi Pipa, Sami Repishti, Studies on Kosova in: East European Monographs, New York City, Columbia University Press, 1984, p. 14, ISBN978-0-88033-047-3.
^Giggi Zanazzo, Usi, costumi e pregiudizi del popolo di Roma, Torino, 1908, gli dedica la nota 236, come segue:
«Veramente li romaneschi lo chiameno Scannabbécchi: ma è llo stesso.
Guasi da piede a la salita de Montecavallo, a ddritta de cchi la scénne, prima de svortà' pper annà' a Ssant'Anastasio e Ttrèvi, c'è un vicoletto che ddà ssopre a 'na piazzetta chiamata Scannabbécchi (Scanderbeg).
Mbè' llì, ssempre a mmano ddritta, c'è una casa indove sur portone c'è un ritratto d'un vecchio co' ttanto de bbarba e un tòrcolo in testa.
Que' ritratto sarebbe 'sto Scannabbécchi in persona, che ttanto tempo fa, scappato da la Turchia pe' nun morì' impalato, se rifuggiò a Roma, se comprò quela casa, ciabbitò ttanto tempo e cce morì.
Chi ddice che sii stato un re, chi un gran generale, chi una cosa e cchi ll'antra.
Er fatto sta, e è, cche pprima de morì', sse fece fa' quer ritratto sur portone, e passò quela casa a l'eredi cor patto che tutte le vorte che er su' ritratto se fussi scassato o ruvinato, je l'avesseno fatto aridipigne de bber nôvo.
Quer tale de l'eredi che nun avessi mantienuto er patto, aveva da perde la casa.
Infatti, doppo tanto tempo, si cce fate caso, è ritratto se mantiè' ssempre nôvo, perché li padroni de la casa a' l'effìggia de Scannabbécchi ogni tanto je ce danno una ritoccata.»
Deuxième Conférence des études albanologiques à l'occasion du 5e centenaire de la mort de Georges Kastriote Skanderbeg (Tirana, 12-18 gennaio 1968), Tirana 1969-1970.
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2 أس 3 أكتسيا (SO-152) 2 أس 3 أكتسيا النوع مدفع ذاتي الحركة بلد الأصل الاتحاد السوفيتي فترة الاستخدام 1971 إلى الوقت الحاضر الحروب الغزو السوفييتي لأفغانستان، والتدخل العسكري الروسي في أوكرانيا[1] تاريخ الصنع المصمم مكتب تصميم بتروف صمم 1967 صنع 1967-1993 المواصفات الوزن 28 ط
This article is about the Lebanese village in Aley. For the Lebanese village in Keserwan, see Aramoun, Keserwan. Village in Mount Lebanon Governorate, LebanonAramoun, Aley عرمونVillageAramoun, AleyCoordinates: 33°45′35″N 35°31′15″E / 33.75972°N 35.52083°E / 33.75972; 35.52083Country LebanonGovernorateMount Lebanon GovernorateDistrictAley DistrictArea[1] • Total11.68 km2 (4.51 sq mi)Elevation[1]500 m ...
MinaMina, durante un'esibizione nel programma televisivo della Rai Teatro 10 nel 1972 Nazionalità Italia Svizzera GenerePop[1][2]Musica leggera[3][4][5] Periodo di attività musicale1958 – in attività EtichettaItaldisc, Ri-Fi, PDU Album pubblicati116 Studio74 Live3 Colonne sonore1 Raccolte40 Sito ufficiale Modifica dati su Wikidata · Manuale Mina, pseudonimo di Mina Anna Maria Mazzini[6] (Busto Arsizio, 25 ...
селище Тойда Тойда Країна Росія Суб'єкт Російської Федерації Воронезька область Муніципальний район Панінський район Поселення Октябрське сільське поселення Код ЗКАТУ: 20235848004 Код ЗКТМО: 20635436141 Основні дані Населення ▼ 277 (2010)[1] Поштовий індекс 396172 Географічні ко...
Mesa servida com Smörgåsbord Almôndegas Pão estaladiço (knäckebröd) Arenque com batata cozida Pastel de queijo Sopa de arando Salsicha de Falun O bolo de chocolate kladdkaka. A culinária da Suécia baseia-se nas carnes e laticínios, peixe,[1] bagas silvestres, como o mirtilo e o arando-vermelho, com as quais se fazem compotas que, muitas vezes acompanham a comida. As batatas são o acompanhamento normal da comida sueca, cozidas ou em puré,[2] embora também se usem outros vegetais c...
У Вікіпедії є статті про інші значення цього терміна: Струтинка. село Струтинка Країна Україна Область Одеська область Район Подільський район Громада Савранська селищна громада Код КАТОТТГ UA51120210200061388 Облікова картка Струтинка (Савранська селищна громада) Ос...
Esta página cita fontes, mas que não cobrem todo o conteúdo. Ajude a inserir referências. Conteúdo não verificável pode ser removido.—Encontre fontes: ABW • CAPES • Google (N • L • A) (Outubro de 2020) Secretário de Estado e Comandante Geral da Polícia Militar do Rio de Janeiro Brasão da PMERJ No cargoCoronel PM Luiz Henrique Marinho Piresdesde 27 de agosto de 2021 Residência Quartel-General da Polícia Militar ...
Finno-Ugric language of Russia Komi languageкоми кывkomi kyvNative toRussiaRegionKomi Republic, Nenetsia, Permyakia, Yamalia, Yugra, elsewhere in RussiaNative speakers99,609 (2020 census)[1]Language familyUralic Finno-UgricPermicKomi languageWriting systemCyrillic, Old Permic (formerly)Official statusOfficial language in Russia Komi Republic Language codesISO 639-1kvISO 639-3kpvGlottologkomi1268Komi is classified as Definitely Endangered by the UNESCO ...
Diplomatic missions of Bahrain This is a list of diplomatic missions of Bahrain, excluding honorary consulates. Africa Algeria Algiers (Embassy) Egypt Cairo (Embassy) Morocco Rabat (Embassy) Laayoune (Consulate-General) Sudan Khartoum (Embassy) Tunisia Tunis (Embassy) Americas Brazil Brasília (Embassy) United States Washington D.C. (Embassy) Asia China Beijing (Embassy) India New Delhi (Embassy) Mumbai (Consulate-General) Indonesia ...
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