Lo ius exclusivae (dalla lingua latina, diritto di esclusiva, traducibile in italiano con diritto di veto) era l'antico privilegio di alcuni sovranicattolici europei di proibire l'elezione a pontefice di una determinata persona.
Nel corso del tempo è stato nominato anche come ius exclusionis, ius excludendi, exclusiva formalis, droit d’exclusion, veto civile, droit de veto e diritto di veto.[1]
La formula con cui veniva annunciato il veto da parte di un monarca aveva come parole iniziali, in latino, «Honori mihi duco...» (in italiano “Mi faccio onore di...”).[2]
Storia
Lo ius exclusivae, da parte del sovrano, consisteva nell'ordinare al cosiddetto cardinale della corona di far sapere all'assemblea cardinalizia riunita nel conclave che un determinato candidato non era gradito al sovrano stesso, rendendo così difficilissima, se non impossibile, la sua elezione. Tale diritto sembra essersi imposto stabilmente nel corso del XVII secolo, anche se precedentemente si ebbero delle azioni simili.
La Spagna oppose il veto contro un cardinale per la prima volta nel 1605. Nel 1644, nel conclave che elesse papa Innocenzo X Pamphilj, la Spagna pose il veto contro il cardinale Giulio Cesare Sacchetti. Il cardinale Giulio Mazzarino arrivò troppo tardi per annunciare il veto della Francia contro Pamphilj, poiché era già stato eletto papa.
Posizione della Chiesa
Il diritto di esclusiva non è mai stato formalmente riconosciuto dal papato, anche se molti conclavi hanno ritenuto opportuno riconoscere tale obiezione nei confronti di alcuni papabili, accettando così l'interferenza laica. Con la bolla In eligendis del 9 ottobre 1562, papa Pio IV ordinò ai cardinali di eleggere il papa senza alcun rispetto per il potere laico. La bolla Aeterni Patris Filius del 15 novembre 1621 vietava ai cardinali di cospirare contro un candidato. Questi documenti, tuttavia, non condannano il diritto di esclusiva. Nella costituzione In hac sublimi del 23 agosto 1871, papa Pio IX vietò qualsiasi tipo di interferenza laica nelle elezioni papali.
Il più recente, e ultimo, utilizzo del veto si ebbe nel conclave del 1903, quando il cardinale della corona Jan Puzyna, a votazioni iniziate, si alzò in piedi e annunciò che l'imperatore Francesco Giuseppe I d'Austria non gradiva, a causa delle sue posizioni troppo filo-francesi e anti-austriache, il cardinale Mariano Rampolla del Tindaro:
(LA)
«Honori mihi duco, ad hoc officium jussu altissimo vocatus, humillime rogare vestram Eminentiam, prout Decanum Sacri Collegii Eminentissimorum Sacrae Ecclesiae Cardinalium et Camerarium S. R. E. ut ad notitiam suam percipiat idque notificare et declarare modo officioso velit; nomine et auctoritate Suae Maiestatis Apostolicae Francisci Josephi imperatoris Austriae et regis Hungariae, jure et privilegio antiquo uti volentis, veto exclusionis contra Eminentissimum dominum meum Cardinalem Marianum Rompolla del Tindaro[3]»
(IT)
«Mi faccio onore, essendo stato chiamato a questo ufficio da un ordine altissimo, di pregare umilissimamente Vostra Eminenza, come Decano del Sacro Collegio degli Eminentissimi Cardinali di Santa Romana Chiesa e Camerlengo di Santa Romana Chiesa, di voler apprendere per sua propria informazione e per poterlo riferire e dichiarare ufficialmente, in nome e per l'autorità di Francesco Giuseppe, Imperatore d'Austria e Re d'Ungheria che, Sua Maestà Apostolica, intendendo di usare di un diritto e di un antico privilegio, pronuncia il veto d'esclusione contro l'Eminentissimo Signor Cardinale Mariano Rampolla del Tindaro[4]»
I cardinali rimasero stupiti («Un episodio disgustoso» commentò il cardinale Andrea Carlo Ferrari; «La cosa in sé stessa, e il modo, recò stupore e indignazione al Sacro Collegio. Grande e penosa l'impressione di tutti», disse il cardinale Domenico Ferrata),[4] ma accettarono l'interferenza imperiale e Rampolla, il quale era molto vicino all'elezione, perse i propri voti in favore del cardinale Giuseppe Sarto, eletto papa col nome di Pio X il 4 agosto 1903.
Il nuovo papa, a seguito di questo episodio, istituì una commissione per abolire lo ius exclusivae, a cui prese parte anche un giovane Eugenio Pacelli con l'incarico di studiare il caso. Egli constatò che questo diritto dei poteri laici sulla Chiesa cattolica era stato soltanto presunto, mai concesso dalle autorità ecclesiastiche; l'accettazione da parte del collegio cardinalizio di questa interferenza fu interpretata come prudenza, poiché il papato ha per secoli rappresentato un potere politico oltre che spirituale. Tuttavia, con l'annessione dello Stato pontificio al Regno d'Italia, tale potere venne a mancare, e con esso la necessità di una prudenza nell'elezione del nuovo pontefice.[1][2]
«Pertanto, in virtù della santa obbedienza, sotto la minaccia del giudizio divino e la pena della scomunicalatae sententiae, Noi vietiamo ai Cardinali di Santa Romana Chiesa, tutti e singoli, così come al segretario del Sacro Collegio dei Cardinali, e tutti gli altri che prendono parte al conclave, di ricevere anche sotto forma di un semplice desiderio l'ufficio di proporre il veto, in qualsiasi modo, sia per iscritto o con la parola di bocca. E la Nostra volontà è che tale divieto sia esteso a tutte le intercessioni [omissis] con le quali i poteri laici possono adoperarsi per invadere in sede di elezione un pontefice»
Nessun potere laico ha più cercato di esercitare il diritto di esclusiva dopo il 1903, anche grazie alla caduta delle grandi monarchie europee a seguito della prima guerra mondiale.
Alberto Melloni, Il conclave, Bologna, Edizioni Il Mulino, 2001, ISBN88-15-08159-3.
Ambrogio Piazzoni, Storia delle elezioni pontificie, Bologna, Edizioni Piemme, 2003, ISBN978-88-384-1060-4.
Luciano Trinca, Conclave e potere politico, il veto a Rampolla nel sistema delle potenze europee (1887-1904), Roma, Edizioni Studium, 2004, ISBN978-88-382-3949-6.
Giancarlo Zizola, Il conclave, storia e segreti, Roma, Newton & Compton, 2005, ISBN978-88-541-0393-1.