Era il padre della sceneggiatrice Suso Cecchi D'Amico (1914-2010) e del costumista, scenografo e pittore Dario Cecchi (1918-1992).
Biografia
Cecchi nacque a Firenze, in via San Zanobi, figlio di Cesare, che lavorava in una ditta di ferramenta, e di Marianna Sani, proprietaria d'un laboratorio di sartoria[1]. Conseguita la licenza media, nel 1894 s'iscrive ad un istituto tecnico, nonostante la sua propensione per gli studi letterari. Nel 1901, concluse le scuole tecniche, Cecchi trova un impiego presso il Credito Italiano. Nello stesso periodo legge, su impulso di Diego Garoglio, Baudelaire e Poe. Precoce è il suo esordio come critico: nel 1902, all'età di 18 anni, avvia una collaborazione con un settimanale d'arte locale, La Medusa.
L'anno successivo conosce Giovanni Papini e Giuseppe Prezzolini, suoi concittadini, che lo aiutano a farsi pubblicare su Leonardo. Nel 1904 è impiegato come copista all'Ospedale e l'anno dopo muore il fratello Guido. Si trasferisce a Roma nel 1906 e collabora ad Athena e alla Nuova Antologia. Decide di prendere un secondo diploma e, studiando da privatista, riesce a conseguire la maturità classica al Liceo Cicognini di Prato[1]. Successivamente s'iscrive alla Facoltà di Lettere dell'Istituto di Studi Superiori di Firenze; qui incontra Scipio Slataper e Carlo Michelstaedter. Non riesce però a conseguire la laurea (nel 1958, però, l'istituto gli conferirà la laurea honoris causa).
Conosce Roberto Longhi e Grazia Deledda. Dopo aver esordito nel 1912 col saggio La poesia di Giovanni Pascoli, rivolse le sue attenzioni soprattutto alla letteratura inglese, a cui dedicò diverse traduzioni e importanti scritti critici. È stato probabilmente il primo critico italiano a segnalare l'Ulisse di James Joyce, ma tra le sue scoperte c'è anche un autore italiano, Dino Campana, da lui considerato «il migliore poeta che abbiamo». Il 10 maggio 1915 viene richiamato sotto le armi; a dicembre, in licenza a Roma, conosce di persona il poeta marradese. Nel settembre 1916 è assegnato al Commissariato dell'VIII Corpo d'armata a Firenze; promosso capitano, nel settembre 1917 è in linea sull'Altopiano dei Sette Comuni.
Nel 1918 collabora a L'Astico di Piero Jahier, ha contatti con Michele Cascella, Riccardo Bacchelli, Benedetto Croce (che lo annovera tra i collaboratori de La Critica) e Gaetano Salvemini. È in missione a Londra nel settembre 1918: ivi incontra Chesterton (che contribuirà a far conoscere in Italia) e Hilaire Belloc, e lo coglie l'armistizio di novembre. Il soggiorno inglese vede la sua collaborazione col Manchester Guardian e con l'Observer. Tornato in Italia, Cecchi è nel 1919 uno dei "sette savi" fondatori e co-direttori de La Ronda, la rivista letteraria romana che propugna un ritorno alla tradizione letteraria dopo gli eccessi delle avanguardie. Lo stesso Cecchi interpreta al meglio la poetica rondista del frammento nei suoi elzeviri, vere e proprie prose d'arte di lucida perfezione formale, raccolte nei volumi Pesci rossi (1920)[2] e Corse al trotto (1936).
La sua abitazione durante gli anni di guerra viene visitata da Alberto Moravia, Elsa Morante, Leo Longanesi e Vitaliano Brancati. Dopo la Liberazione riprende i contatti con le testate per cui aveva scritto nell'anteguerra. Nel 1946 riprende la collaborazione col Corriere della Sera. Parallelamente si riannodano i rapporti internazionali (La Parisienne, Neue Zurcher Zeitung, Times Literary Supplement). Nel 1947Arrigo Benedetti lo chiama a L'Europeo. Nello stesso anno è nominato accademico dei Lincei[1]. Negli anni sessanta dirige con Natalino Sapegno la Storia della letteratura italiana, che viene pubblicata da Garzanti Editore in 10 volumi tra il 1965 ed il 1969.
Firenze, Collana Scrittori italiani e stranieri, Milano, Mondadori, 1969. - Prefazione di Pietro Citati, a cura di Luigi Mascheroni, Collana Ante Litteram, Torino, Aragno, 2017, ISBN 978-88-841-9922-5.