Regista prolifico, Bragaglia portò nel cinema italiano l'amore per il nonsense e il surreale e moduli di lavoro di tipo efficientista, già comuni negli altri paesi ma ancora sconosciuti in Italia, dove il cinema continuava ad avere connotazioni artigianali.
Terzogenito di Francesco Bragaglia (direttore generale della Casa di produzione Cines) e della nobildonna romana Maria Tassi-Visconti, il nome che gli venne imposto, Carlo Ludovico, era quello di un illustre zio di sua madre, Carlo Ludovico Visconti, esponente della famiglia romana di archeologi e artisti (tra questi anche Ennio Quirino, archeologo e letterato, esponente del Neoclassicismo e console della Repubblica Romana negli anni 1798-99). Frequentò le scuole elementari a Frosinone, poi si trasferì con tutta la famiglia paterna a Roma, in via di Ripetta; frequentò con gran profitto gli studi classici, ginnasio e liceo, ed anche alcuni anni all'Università degli Studi di Roma La Sapienza per la facoltà di giurisprudenza, negli anni immediatamente precedenti la prima guerra mondiale. Quindi come sottotenente d'artiglieria partecipò alla Grande Guerra, il 12 luglio 1916 sul monte Cum fu gravemente ferito e fu decorato con la Medaglia di Bronzo al Valor Militare. Per aver riportato la frattura delle costole, fu a lungo ricoverato all'ospedale militare del Celio, venendo riconosciuto "Grande Mutilato di seconda categoria", e nominato, in seguito, cavaliere di Vittorio Veneto.
Nel 1918 con il fratello Anton Giulio fondò la Casa d'arte Bragaglia, punto d'incontro di pittori, scultori e cineasti. Quattro anni dopo, sempre con il fratello, fondò il Teatro degli Indipendenti, dedicato all'avanguardia e alla sperimentazione, dove tra il 1922 e il 1930 firmò oltre venti regie teatrali. A partire dal 1930 si dedicò al cinema, che proprio in quel periodo passò dal muto al sonoro. Entrò alla Cines come fotografo: passò quindi al montaggio, alla sceneggiatura ed ai documentari. Esordì come regista nel 1933 con O la borsa o la vita, tratto dall'omonima commedia radiofonica, nel quale fuse come espressione artistica audaci esperimenti di contaminazione di diversi moduli dell'avanguardia. In seguito, a Bragaglia venne consentito di realizzare unicamente opere commerciali, cui diede però la sua esperienza e la sua sicura mano di regista.
Divenne maestro del filone dei telefoni bianchi specializzandosi particolarmente nel genere comico. Ma la rilevanza, se non altro commerciale, dei suoi film, è documentata dal fatto che egli si trovò a dirigere negli anni trenta gli attori più importanti dell'epoca. Conservò inalterata la capacità di evadere dalle catene commerciali con La fossa degli angeli definito dal Filmlexicon il suo capolavoro.
Negli anni cinquanta diresse anche qualche commedia televisiva negli studi della Rai di Roma. Fu il patrigno del produttore Gianni Buffardi, che finanziò le ultime tre pellicole dirette dal regista.
Ultimi anni
Abbandonò il cinema negli anni sessanta, dopo aver firmato 64 film in 30 anni di attività; nell'ultima parte della sua vita si dedicò soprattutto alla poesia.
Nel 1994, in occasione del suo centesimo compleanno, presenziò alla retrospettiva che gli fu dedicata dal Festival di Locarno. La sua ultima fatica fu un documentario sull'isola di Capri, che amò particolarmente.
Morì il 3 gennaio 1998, all'età di 103 anni. È sepolto nel cimitero del Verano di Roma.
Leonardo Bragaglia, Carlo Ludovico Bragaglia. I suoi film, i suoi fratelli, la sua vita, Persiani Editore, 2009, ISBN9788890200397.
Orio Caldiron, Matilde Hochkofler, Buona la prima, il cinema di Carlo Ludovico Bragaglia, Edizioni Sabinae / Centro Sperimentale di Cinematografia, 2022, ISBN 9791280023384