L'attentato di Fiumicino del 1985 fu un attacco terroristico perpetrato il 27 dicembre 1985 dal gruppo estremista palestinese capeggiato da Abu Nidal, che assaltò l'aeroporto di Roma-Fiumicino, causando la morte di 13 persone, e di 3 terroristi.[1][2]
Quasi contemporaneamente venne colpito anche l'aeroporto di Vienna, dove si contarono 3 morti tra i civili ed 1 tra i terroristi; i due attacchi ebbero luogo a distanza di pochi minuti l'uno dall'altro, intorno alle 8:15. [3]
I due attacchi terroristici causarono complessivamente la morte di 20 persone.[4]
L'azione terroristica fu condotta da quattro uomini armati di bombe a mano e fucili d'assalto Kalashnikov che, dopo aver gettato le bombe a mano, aprirono il fuoco con raffiche di mitra sulle persone in coda per il check-in dei bagagli presso gli sportelli della compagnia aerea nazionale israeliana El Al e dell'americana TWA, o al bar, scegliendo le loro vittime in modo indiscriminato. [2]
Nell'attacco all'aeroporto rimasero uccise 16 persone,[A 1] tra le quali il diplomatico statunitense Wes Wessels e il generale Donato Miranda Acosta, addetto militare del Messico in Italia, tre terroristi, oltre a causare il ferimento di altre 80 persone. [2]
I terroristi che parteciparono alla strage di Fiumicino furono quattro: tre di essi furono uccisi dagli agenti di sicurezza israeliani che lavoravano presso il terminal per conto della El Al[A 2] e uno, il diciottenne capo del commando Khaled Ibrahim Mahmoud, fu catturato dalla Polizia italiana[3][6][1], e quindi condannato a 30 anni di carcere.[7][A 3]
Secondo quando riportato da un ufficiale della polizia, i documenti trovati in possesso dei terroristi, tra i quali passaporti marocchini, avrebbero dimostrato come questi fossero arrivati agli inizi di dicembre a Roma, dove avrebbero alloggiato in hotel. [8] Si scoprì inoltre, grazie alla confessione di Khaled Ibrahim Mahmoud, che le armi utilizzate per l'attacco erano state nascoste e sepolte a Villa Glori.[9]
L'attentato fu rivendicato da tre diverse organizzazioni:[10]
La regia del duplice attentato è stata attribuita al capo politico estremista e terrorista palestinese Abu Nidal,[11] che nel 1988 fu condannato all'ergastolo come mandante della strage.[12]
Secondo quanto riferisce l'ammiraglio Fulvio Martini, all'epoca dei fatti direttore del SISMI, i servizi italiani erano stati avvertiti fin dal 10 dicembre della possibilità di un attentato e poi, grazie alle informazioni ricevute dai servizi di un paese arabo amico, il 19 dicembre erano riusciti a restringere il periodo temporale in cui sarebbe avvenuto tra il 25 e il 31 dicembre e a individuare il bersaglio nell'aeroporto di Fiumicino.[13]
Secondo le ricostruzione dei fatti, sia le forze di polizia italiane sia i servizi alleati furono avvertiti. Gli stessi israeliani, dopo questo avvertimento, fecero appostare diversi tiratori scelti in difesa della postazione della compagnia El Al. Furono poi questi tiratori tra i primi ad aprire il fuoco sugli attentatori. Se si riuscì ad evitare un numero maggiore di vittime, però non si riuscì a prevenire l'attentato, e per questo 4 persone responsabili per la sicurezza in aeroporto, finirono sotto processo con l'accusa di strage colposa, da cui vennero assolte perché «il fatto non costituisce reato».[14]
L'attacco all'aeroporto di Vienna, svoltosi con modalità simili a quello di Roma, causò tre vittime, un israeliano e due austriaci, tra i passeggeri, oltre a 44 feriti.
L'attacco coinvolse tre terroristi, poi fuggiti su un'automobile rubata: uno di loro, Mongi Ben Aballah Saadaoui, venne ucciso durante l'inseguimento, gli altri due, Abdelaziz Merzaughi e Mongi Ben Ahmed Shaaouali, furono catturati alla fine dell'inseguimento[17].
Il duplice attacco ebbe forti ripercussioni sull'opinione pubblica europea rispetto alle rivendicazioni dei palestinesi, fino ad allora rappresentate soprattutto dall'OLP di Yasser Arafat, che ne risultarono complessivamente indebolite, almeno in Europa.[18]
Secondo indagini successive, suffragate dalla confessione di Khaled Ibrahim Mahmoud, i terroristi guidati da Abu Nidal avrebbero goduto dell'appoggio logistico del governo siriano, all'epoca presieduto da Hafiz al-Asad, mentre non si ebbe certezza del coinvolgimento del governo libico, guidato da Gheddafi.[18][9]
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