Sull'origine del nome esistono diverse tesi. Secondo il Ventimiglia, il nome Prignano deriverebbe dall'abbondanza di alberi di pero nel territorio circostante[5]. Tale interpretazione sarebbe confermata dal frequente ricorrere di elementi naturali in toponimi di località vicine (Melito, Ogliastro, Cicerale). Una seconda tesi ritiene che l'attuale nome derivi dal latino praedium, ovvero “fondo” o “podere”[6]. Sulla base della medesima radice praedium, vi è anche chi ha sostenuto che il nome Prignano derivi dal latino Pliniarum, ovvero “fondo di Plinio”. L'accertata presenza di Plinio il Vecchio in Campania ha fatto così congetturare che egli possedesse un podere proprio nel territorio oggi denominato Prignano.[7]
Secondo quanto riportato da Pietro Ebner, la prima notizia che si ha del villaggio è contenuta in un atto di vendita del 1070, conservato presso l'Archivio dell'Abbazia di Cava. Prignano è poi ricompreso tra i territori restituiti nel 1276 da Carlo II d'Angiò alla famiglia Sanseverino. Successivamente, il feudo venne ceduto da quest'ultima ad Antonello Prignano, il cui nipote Fabio lo alienò nel 1458 a Prospero Lanara. A seguito di altri passaggi, il feudo, comprensivo dei villaggi di Melito e di Poglisi (oggi scomparso), venne acquistato nel 1564 dal poeta napoletano Bernardino Rota. Nel 1649 passò a Pietro Brandolino, che nel 1701 lo cedette a Tommaso Cardone, di origine spagnola, che vi ebbe il titolo di marchese[8]. La famiglia Cardone risulta infatti iscritta nel Libro d'oro della nobiltà italiana (1933) col titolo di Marchese di Melito e del Predicato di Prignano[9].
Dal 1811 al 1860 ha fatto parte del circondario di Torchiara, appartenente al Distretto di Vallo del Regno delle Due Sicilie. Dal 1860 al 1927, durante il Regno d'Italia ha fatto parte del mandamento di Torchiara, appartenente al Circondario di Vallo della Lucania.
La Chiesa madre di Prignano è dedicata a San Nicola di Bari; risulta edificata prima del XIII secolo, anche se la struttura attuale è frutto di vari rimaneggiamenti e restauri succedutisi nei secoli[10]. In corrispondenza della navata di sinistra si eleva la robusta torre campanaria in pietra locale, a tre piani con archi a tutto sesto. La facciata è a capanna, con due portali ed un dipinto nel timpano raffigurante il Santo. L'interno è a tre navate, con l'aula centrale separata dalla zona absidale da un arco a tutto sesto. La volta è a botte, ripartita in riquadri dipinti, con al centro un affresco che rappresenta un miracolo del Santo. In testa alle navate laterali sono collocate alcune tele, tra cui un “Mistico sposalizio di Santa Caterina con Gesù” (XVII secolo), proveniente dalla cappella di Melito[11].
Le altre chiese del Comune si trovano nelle frazioni. A Melito è la Cappella di Santa Caterina d'Alessandria; a San Giuliano la Cappella dedicata a San Biagio;nel centro storico c'è quella dedicata a Sant'Antonio da Padova, infine, all'interno del cimitero è la Chiesa dei Santi Cosma e Damiano.
L'Oasi del Fiume Alento è un'area protetta istituita allo scopo di salvaguardare le aree naturali, gli habitat e le tipologie forestali del bacino del Fiume Alento. Rientra tra le aree SIC, in quanto Sito di interesse comunitario. Nel 1994 è stata ultimata la diga, che regola il corso del fiume e che è sita all'interno dell'oasi. La Diga Alento appartiene alla tipologia delle dighe in terra, cioè costruite in materiali sciolti, con un paramento bituminoso a monte che impedisce la filtrazione dell'acqua trattenuta nell'invaso. Il paramento di valle è ricoperto da una coltre erbosa che mitiga l'impatto ambientale favorendo l'inserimento dell'opera ingegneristica nel territorio circostante. Il complesso della diga, inoltre, ospita una serie di strutture collegate, tra le quali una centrale idroelettrica, un impianto di potabilizzazione e un centro per il monitoraggio delle dighe tramite rilevamento satellitare[14].
Palazzo marchesale Cardone
Situato in Piazza del Plebiscito, di fronte alla Chiesa di San Nicola di Bari, è di proprietà dei Marchesi Cardone, ultimi feudatari di Prignano (dal 1701 fino all'abolizione del regime feudale)[15]. È costituito da quattro ali intorno ad un cortile centrale. La facciata è caratterizzata da una robusta torre cilindrica merlata, elemento di sicura originalità, in quanto non rinvenibile in altri palazzi coevi che costellano il territorio del Cilento. Il palazzo è di proprietà privata e non è visitabile. È ancora oggi nel libro d'oro della nobiltà Italiana come Marchese di Prignano Cilento.
Si tratta di una rappresentazione teatrale in costume, divisa in due atti, che rievoca due miracoli attribuiti a San Nicola di Bari dall'agiografia ufficiale. La manifestazione si svolge in Piazza del Plebiscito il Lunedì dell'Angelo. Nel primo atto viene ricordato il miracoloso salvataggio di Diodato, un adolescente cristiano rapito dai Saraceni e da questi ridotto in schiavitù. Il giovane viene liberato dal Santo, che, impietosito dalla sua miserevole condizione, invia un angelo in suo soccorso. Nella rappresentazione l'angelo è un bambino vestito di bianco, che, appeso con un robusto gancio ad una carrucola che scorre su una fune, “vola” letteralmente dal campanile della Chiesa madre fino al palco dove si trova la tavolata dei Turchi. Diodato si aggrappa all'angelo e viene portato via. Nella seconda scena San Nicola si reca presso un'osteria per rifocillarsi dopo un lungo viaggio. L'oste è un orco senza scrupoli, che dà in pasto ai suoi avventori carne di bambini rapiti ed uccisi. Nicola, però, consapevole dell'abominevole inganno, ordina all'oste di mostrargli il tino dove viene conservata la carne. Non appena la botte viene scoperchiata, quattro bambini escono fuori, vivi e vegeti, ringraziando Nicola, che li aveva resuscitati con la forza della preghiera. La rappresentazione si conclude con la condanna a morte del criminale, portato via dal capitano delle guardie e fucilato[17][18].
Il villaggio, oggi scomparso, si trovava nell'area ove è sito il moderno cimitero. Di esso rimane solamente la Chiesa dei Santi Cosma e Damiano, edificata prima del XIV secolo[19]. Non si conoscono con esattezza le ragioni per le quali il villaggio è stato progressivamente abbandonato, fino a scomparire. Ad avviso di Pietro Ebner, che ne attesta l'esistenza almeno fino al 1583, il casale potrebbe essere stato abbandonato a causa dei frequenti attacchi dei Turchi. Risulta infatti documentato che nel 1563 gli abitanti di Poglisi accorsero in aiuto della popolazione di Torchiara proprio per respingere gli invasori[20].
San Giuliano
La frazione è situata sulla strada che porta ad Ogliastro Cilento. Avendo perso la sua antica fisionomia, oggi è di fatto unita al capoluogo. Qui si trova la Cappella dedicata a San Biagio, la cui presenza è attestata già nel XIV secolo[21].
^Michele del Verme, Storia e origine di Prignano Cilento e dei suoi casali Melito e Poglisi, 1980, p. 17.
^Pietro Ebner, Chiesa, baroni e popolo nel Cilento, 1982, pp. 381-383.
^Michele del Verme, Storia e origine di Prignano Cilento e dei suoi casali Melito e Poglisi, 1980, p. 20.
^Sito del Comune di Prignano Cilento., su comune.prignanocilento.sa.gov.it. URL consultato il 24 maggio 2014 (archiviato dall'url originale il 24 maggio 2014).
^Le informazioni sono tratte dal sito ufficiale dell'Oasi, disponibile all'indirizzo internet http://www.oasialento.it/.
^Pietro Ebner, Chiesa, baroni e popolo nel Cilento, 1982, p. 379.
^Sito del Comune di Prignano Cilento., su comune.prignanocilento.sa.gov.it. URL consultato il 23 maggio 2014 (archiviato dall'url originale il 24 maggio 2014).
^Michele del Verme, Storia e origine di Prignano Cilento e dei suoi casali Melito e Poglisi, 1980, pp. 95-96.
^Pietro Ebner, Chiesa, baroni e popolo nel Cilento, 1982, pp. 384-385.
^Michele del Verme, Prignano Cilento. I casali di Melito, Poglisi e San Giuliano, 1996, pp. 38-39.