Nato a Barlassina dalla sarta Luigia Meroni e dal garibaldino e maniscalco Matteo Longoni, quartogenito di dodici figli, vive un'infanzia complicata dalle pessime condizioni economiche della famiglia, che costringono Emilio a essere avviato a Milano al lavoro di garzone sin dalla tenera età.
Nel 1880 aderisce alla Famiglia artistica milanese ed esordisce alle mostre della Promotrice di Brera con opere di stile accademico (Interno di una stalla, Studio dal vero e Paesaggio) che riscuotono tiepidi consensi; la precarietà economica, pertanto, costringe Longoni a lavorare come decoratore e tappezziere.
Dopo a una breve esperienza presso l'Accademia di belle arti di Napoli, dove frequenta l'ambito di Antonio Mancini, nel 1882 l'amico Segantini lo presenta ai fratelli Alberto e Vittore Grubicy[3], titolari di una importante galleria d'arte attiva nella promozione di giovani artisti; i due colleghi avviano quindi un periodo di collaborazione artistica svolto in Brianza, tra i laghi di Pusiano e Segrino, dove condividono soggetti e abitazione[4].
Il sodalizio si conclude malamente nel 1884[5][6].
L'anno successivo si trasferisce a Villa Ada, sul Lago Maggiore, dove frequenta il nucleo di artisti scapigliati che gravitano nell'area del Verbano, come Daniele Ranzoni, Leonardo Bazzaro e Luigi Conconi; nel 1886 ritorna a Milano e avvia l'attività ritrattistica su commissione di aristocratici e borghesi, come i banchieri Lazzaro Donati e Giovanni Torelli, il collezionista Giuseppe Treves e l'industriale Pietro Curletti.
«Con uno stoico disprezzo degli effetti stabiliti il Longoni dipinse il suo Oratore dello sciopero, dove volle cavare sopra i cielo e sulla folla una energica figura di operaio ribelle. Questo quadro, che prova una incrollabile onestà artistica, urtò molto i nervi del giurì per l'accettazione. E' una seria promessa di opere più forti. Le discussioni che ha già provocato sono indizio del suo valore»
(Pompeo Bettini in Cronaca dell'Esposizione di Belle Arti, Ermanno Loescher, Milano, 1891)
Riflessioni di un affamato, esposta alla Triennale di Brera del 1894, segna il momento più alto dell'impegno umanitario e sociale nella pittura di Longoni: il dipinto viene subito adottato dalla propaganda socialista come simbolo epocl dell'ingiustizia di classe, fatto che causa a Longoni una denuncia per istigazione all'odio di classe[8].
Nel 1900 partecipa all'Esposizione di Brera con Sola!, acquistata dalla regina Margherita, mentre nel 1904 si aggiudica una medaglia d'argento all'Esposizione universale di Saint-Louis con La voce del ruscello .
Nel 1906 Curletti gli concede un vitalizio che lo libera dalle preoccupazioni economiche[9] e, a partire dagli anni Dieci, abbandona le tematiche sociali sviluppando un crescente contatto con la natura e avvicinandosi al Buddismo; trascorre lunghi periodi di lavoro solitario in baite e alpeggi tra il Massiccio del Bernina e la Valtellina dove, a stretto contatto con la natura e gli abitanti del luogo, esegue molti dipinti dal vero.
Tra questi Ghiacciaio, che nel 1906 si aggiudica il premio Principe Umberto rifiutato da Longoni, in polemica con le commissioni accademiche[10].
Dopo la prima guerra mondiale si assenta dalla scena espositiva, limitando la produzione alle commissioni; nel 1928 sposa la compagna Fiorenza de Gaspari, insegnante di origine valtellinese conosciuta in casa dell'avvocato Majno.
L'amicizia con Gustavo Macchi (1862-1935), critico e scrittore, lo indirizza verso la lettura dei testi di Karl Marx e Arthur Schopenhauer e del poeta operaio Pompeo Bettini, con il quale avvia una collaborazione come illustratore per i periodici socialisti Lotta di classe e Almanacco socialista[2].
In questo periodo Longoni frequenta, unitamente ad altri intellettuali quali Ada Negri e Filippo Turati, il circolo culturale socialista che fa riferimento all'avvocato Luigi Majno e alla moglie Ersilia Bronzini.
Longoni viene coinvolto nei tumulti milanesi del 1898 e nella censura poliziesca che segue alla sanguinosa repressione del generale Fiorenzo Bava Beccaris, lamentando nelle sue memorie di aver subito per anni accaniti controlli da parte della polizia.
Stile
Tra i protagonisti del Divisionismo italiano[12], Longoni viene identificato come promotore, nella fase centrale della sua attività (tra il 1887 e il 1897), di dipinti utilizzati come strumenti di comunicazione politica, che affrontano temi di forte denuncia delle disparità sociali (il cosiddetto Verismo sociale), dello sfruttamento e della miseria delle classi subalterne milanesi.
Dopo gli esordi caratterizzati dalla produzione di paesaggi e ritratti di famiglia di stampo scapigliato, il viaggio a Napoli del 1883 al fianco di Domenico Morelli lo conduce a un'evoluzione stilistica, che si focalizza su ritratti di intensa espressività.
A cavallo tra i due secoli si verifica una svolta artistica e intellettuale di Longoni che, chiuso il periodo dedicato ai temi sociali e all'impegno politico, si focalizza su una dimensione poetica e spirituale influenzata dalla filosofia di Arthur Schopenhauer e dal Buddismo, con dipinti di stampo prettamente divisionista.
Nella fase tardiva della sua attività, Longoni si rivolge a una pittura simbolista con oggetto i temi del paesaggio d'alta montagna resi con accentuati effetti atmosferici e luminosi, raramente accompagnati dalla presenza di figure umane.
Frequente l'utilizzo della tecnica della trasponitura[13], di norma utilizzata nel restauro, per ottenere una fusione del colore tramite l'applicazione di una fonte di calore sul retro della superficie del dipinto, al fine di esaltare gli effetti luce.
^Vittore Grubicy si è riservato il diritto di firmare le opere di Segantini e Longoni apponendo, in alcuni casi, le iniziali del più quotato trentino su alcune opere del lombardo (come in Le capinere); Longoni non accetta queste condizioni e pone bruscamente fine al rapporto
^Brera 1891. L'Esposizione che rivoluzionò l'arte moderna Elisabetta Staudacher, Gallerie Maspes, Milano, 2016