Ente erede dell'omonima provincia del Regno delle Due Sicilie, dopo il 1860 continuò a costituire un'unità amministrativa di primo livello anche nel nuovo Stato unitario, finché nel 1927 fu soppressa per volontà del regime fascista.[2]
Durante il ventennio fascista nel 1927, nel quadro di un generale riordinamento delle circoscrizioni provinciali secondo i voleri del regime fascista, si decise di procedere alla soppressione della provincia, il cui territorio fu diviso tra le province confinanti con particolare riguardo verso quella di Napoli.[4] La scelta del governo fu accolta con incredulità e scontento da parte della popolazione locale per un'unità amministrativa storica che all'epoca era tra le più estese del regno (192 comuni, 5.258 km² di territorio e una popolazione di 868.000 abitanti). La decisione fu sicuramente impopolare e ritenuta penalizzante da ampi strati della popolazione, che tuttavia la subì in silenzio.
Benito Mussolini, con un telegramma al prefetto di Caserta, motivò che tale scelta era dettata dalla precisa volontà di dare a Napoli il necessario respiro territoriale,[5][6] spiegando che la Terra di Lavoro era “un'assurda eredità medievale”, per cui Caserta, sviluppatasi attorno alla reggia borbonica, per sua natura e vocazione doveva esercitare il ruolo della Versailles di Napoli.[7] Napoli era in effetti la penultima provincia del Regno per estensione territoriale; ma l'idea di farne una città di respiro mediterraneo si dimostrò sin dal primo momento un progetto solo ed esclusivamente propagandistico del regime, che non sortì alcun effetto sulla città.[8]
All'atto della soppressione della provincia di Terra di Lavoro, i suoi 192 comuni furono così ripartiti:
Nel 1932 fu inaugurata, in Agro Pontino in provincia di Roma, la città di Littoria (l'attuale Latina), resa comune nel 1933. Nel 1934 fu istituita una nuova provincia con capoluogo Littoria, città simbolo delle bonifichefasciste: al nuovo ente passarono tutti i comuni che la provincia di Terra di Lavoro aveva ceduto a Roma nel 1927,[N 11] compreso dunque il comune insulare di Ponza: alla nuova provincia passò anche Ventotene, in precedenza in provincia di Napoli, riunendo così i due comuni delle Isole Ponziane all'interno di un'unica provincia.
Dopo la seconda guerra mondiale, con decreto luogotenenziale 11 giugno 1945, n. 373[10] il governo Bonomi ricostituiva l'attuale provincia di Caserta, benché su basi ridotte rispetto alla storica provincia di Terra di Lavoro: all'incirca la metà, sia per numero di comuni, sia per estensione.
La provincia fu ricostituita con pressoché l'intera metà meridionale della provincia di Terra di Lavoro;[N 12] essa riottenne 100 comuni:
tutti i comuni dell'ex-circondario di Caserta, ceduti a Napoli;[N 13]
tutti i 23 comuni dell'ex-circondario di Piedimonte d'Alife, ceduti a Benevento e Campobasso;
8 dei 9 comuni dell'ex-circondario di Gaeta che erano passati a Napoli.[N 14]
Rimasero dunque inalterate le province di Frosinone e di Littoria, capoluogo che di lì a poco fu ribattezzato "Latina".
Quando nel 1970 furono istituite le regioni in applicazione del titolo V della costituzione repubblicana, le province di Latina e di Frosinone rientrarono nel Lazio, mentre la provincia di Caserta nella Campania.
All'indomani dell'unità d'Italia, la provincia di Terra di Lavoro era una delle più vaste del regno.[11][12] Il territorio della provincia si estendeva in tre regioni storico-geografiche: comprendeva parte del Lazio propriamente detto[13], della Campania e del Sannio. In rapporto ai confini delle province attuali, essa comprendeva l'intero territorio della provincia di Caserta, la metà meridionale delle due province di Frosinone e Latina, e l'area nolana nella città metropolitana di Napoli. Immediatamente dopo l'unità, poi, ne furono distaccati comuni oggi nelle province di Benevento, Avellino ed Isernia.
A seguito dell'unità d'Italia, la suddivisione in circondari fu estesa a tutte le province del nuovo regno. Così nel 1860 la provincia di Terra di Lavoro venne suddivisa in quarantuno mandamenti raggruppati in cinque circondari:
Il simbolo con cui storicamente è stata designata la Terra di Lavoro è costituito da due cornucopie, allegoria di abbondanza ma anche di benessere economico e sociale. Il termine deriva da cornu copia, ovvero corno dell'abbondanza. Attualmente sono presenti negli stemmi della provincia di Frosinone e provincia di Caserta.
Nel 1928, allorché fu istituita la provincia di Frosinone, nell'araldo vennero recuperati come simboli della soppressa provincia di Terra di Lavoro le cornucopie, a significare l'inserimento del circondario di Sora nel territorio della nuova provincia. Nello stemma sono poste su sfondo azzurro, ai piedi di un leone dorato con in mano un gladio (tratto dallo stemma della città di Frosinone).
Nel 1951, quando fu ricostituita la provincia di Caserta, per designarne il territorio venne adottato il gonfalone di Terra di Lavoro: oggi consiste in due cornucopie su sfondo azzurro ricolme una di spighe di grano, l'altra di frutti vari, unite alla base dal cerchio di una corona dorata.
^Calati da 15 a 12: il comune di Elena era stato riunito con Gaeta già nel febbraio 1927; Castellonorato e Maranola erano stati uniti a Formia nel 1928.
^Ad eccezione dei 23 comuni dell'ex-circondario di Nola, che rimasero in provincia di Napoli.
^Calati da 70 a 69: il comune di San Leucio era stato unito a Caserta nel 1928.
^Con la sola eccezione di Ponza, nel 1934 passata da Napoli alla nuova provincia di Littoria.
Fonti e riferimenti
^abAnche in contesti ufficiali, vigeva pure la denominazione alternativa di provincia di Caserta.
^ Costantino Jadecola, Nascita di una provincia, Roccasecca, Le Tre Torri, 2003, ISBN non esistente.
^ Giuseppe Capobianco, Dal fascismo alla repubblica in Terra di Lavoro, in Felice Corvese e Giuseppe Tescione (a cura di), Per una storia di Caserta dal medioevo all'età contemporanea, Napoli, Edizioni Athena, 1993, pp. 230-231, ISBN non esistente.
^abCommissione Reale per la liquidazione dell'Amministrazione provinciale di Terra di Lavoro.
^abcdefghijklm Piera Menichini, I presidenti delle Province dall'Unità alla Grande guerra: repertorio analitico, in Storia Amministrazione Costituzione, n. 13, 2005, pp. 239–240.