I Magnani, di origine imolese si stabilirono in Valdinievole alla fine del XVIII secolo, ove grazie alla loro capacità mercantile e imprenditoriale, rilanciarono l'antica attività manifatturiera della carta, divenendo in breve una delle famiglie più visibili e facoltose della Toscana.
Il primo della famiglia è indicato come Ramberto di Ruggero, proveniente da Casola Valsenio e ammesso alla cittadinanza di Imola nel 1240[1]. Il padre di Ruggero, Pietro, fra l'altro diede origine al celebre ramo Magnani di Bologna[2].
La discendenza di Ramberto fu molto numerosa e fin dalle origini fu dedita alla mercatura. Due dei suoi figli Bertolotto e Ruggero, compaiono rispettivamente, come artigiano l'uno, componente della "Società dei Fabbri" e l'altro componente della Società dei Beccai. Quest'ultimo, nel 1274 fu ascritto alla classe dei nobili della città di Imola[3].
Oltre la mercatura, molti componenti della famiglia, parteciparono nei secoli successivi al governo della città. Si contano tra l'altro molti notai, giureconsulti, diplomatici ed ecclesiastici. Antonio nel 1478 fu nominato da Girolamo Riario, procuratore dei notai della Città. Suo figlio Giacomo, fu, nel 1482 governatore di Forlì, successivamente vescovo di Imola e nel 1495, governatore di Cesena[4]. Antonio fu nel 1536 Gonfaloniere di Giustizia, nel 1537 ambasciatore a Bologna e nel 1544 entrò a far parte della magistratura di Balìa. Francesco, nel 1609, già canonico, divenne vicario del cardinale Pietro Aldobrandini[5].
Gli ultimi cittadini di Imola furono il notaio Lorenzo (morto nel 1730), con il figlio del quale si estinse il ramo imolese, e Giuseppe che per motivi di mercatura si trasferì a Voltri (Genova), negli ultimi anni del XVII secolo[6].
Di quest'ultimo e del figlio Bernardo non si hanno molte notizie. In Liguria strinsero forti legami economici e di amicizia con la famiglia Ansaldi, accumulando una discreta fortuna con il commercio della seta. Nel 1730 i Magnani si trasferirono nel territorio Lucchese[7].
Giorgio, figlio di Bernardo, nel 1760, da Lucca si trasferì a Pescia, ove acquistò, una prima cartiera, già di proprietà Cheli, e successivamente un'altra denominata "La Torre"[8]. Queste aziende, ormai obsolete, erano attive fin dagli inizi del XV secolo[9] e furono completamente ristrutturate. Più tardi nel 1783, insieme all'imprenditore pesciatino Antonio Arrigoni, costruì una nuova cartiera concepita con criteri più moderni e molto più grande delle precedenti, denominata "Al Masso"[10]. L'alveo del torrente Pescia, che scorre vorticoso, nella zona conosciuta come Valleriana, costituiva il luogo ideale per l'insediamento di opifici manifatturieri.
La portata del torrente infatti forniva un'ottima spinta per ruote e turbine, necessarie alla produzione industriale[11]. Il Magnani alla fine del Settecento sciolse la società con l'Arrigoni riscattando le cartiere esistenti ed insieme ai suoi quattro figli e con l'impiego di ingenti capitali, diede inizio ad un'opera di ristrutturazioni e nuove costruzioni tale da inaugurare una stagione eccezionale. Infatti da un censimento effettuato nel 1811, delle ventuno fabbriche che si dispiegavano lungo il pendio del torrente, ben sette, tra le più moderne, appartenevano alla famiglia[10]. Nel corso degli anni successivi, grazie all'operatività e il dinamismo dei proprietari, molti, se non tutti gli opifici, furono dotati di moderni impianti a vapore[12], atti a subentrare nella produzione, durante i periodi di magra del fiume. Grazie a tutte queste iniziative, i Magnani giunsero ad ottenere il sostanziale primato del settore. La notorietà venne incrementata ed assunta a livello internazionale, durante l'Ottocento, quando l'azienda cominciò a produrre carta per banconote e carte valori, nonché carte per artisti e stampatori di grande fama. Non a caso il 1º aprile 1810, Napoleone Bonaparte scelse questa carta pregiata, per la sua partecipazione di matrimonio con Maria Luisa d'Austria. Ciò diede, indubbiamente, un forte segnale di eccellenza. Fu, però, grazie all'abile politica commerciale ed alla fine diplomazia dei componenti della famiglia, che le loro aziende riuscirono a divenire i primi fornitori di carta moneta di molte Banche Centrali, in Europa ed in molti paesi nel mondo. Fra le altre ovviamente ci furono anche le banche emittenti dei paesi italiani preunitari, prima, e la Banca d'Italia[13], poi.
Va segnalato, inoltre, che, in quell'epoca, i Magnani si impegnarono anche nel settore della produzione serica, ottenendo un buon successo commerciale sia in patria che all'estero. La seta tuttavia, non sopravanzò mai, il settore cartaceo.
Il capostipite pesciatino Giorgio, di Bernardo, morì nel 1804, non prima di aver ottenuto per sé e la sua famiglia, l'ascrizione al ceto nobile anche nella città di Pescia, avvenuta nel 1803[14]. Fu tumulato nella cappella di San Giorgio, da lui fondata nella sua residenza di Ricciano. Giunto in toscana, poco più di trent'anni prima, indubbiamente già dotato di beni di fortuna, lasciò ai figli un patrimonio di inusitata grandezza.
Villa Magnani di Ricciano[21][22], alle porte di Pescia e i palazzi di Agostino, di Bernardo, di Lorenzo (entrambi, questi ultimi, figli di Domenico), e di Isabella figlia di Antonio. Né, d'altra parte, va trascurato l'imponente patrimonio fondiario, che non mancò di dar loro il primato anche in questo settore.
In quel periodo di grande fermento innovativo, la zona della Valdinievole sentiva sempre di più la necessità di un collegamento ferroviario che la congiungesse, da una parte, al Mar Tirreno e, dall'altra, ad un centro commerciale importante come Firenze[27].
Alcuni esponenti di spicco nelle zone di Lucca e di Pistoia richiesero a Carlo Ludovico di Borbone, Duca di Lucca, il permesso di realizzare un collegamento ferroviario tra Lucca e Pistoia. Autorizzazione che fu concessa con motuproprio il 18 dicembre del 1844[27]. I promotori dell'iniziativa costituirono così una società anonima di cui facevano parte Pasquale Berghini, presidente, ed altri sette consiglieri, tra cui il pesciatino Lorenzo Magnani. Quest'ultimo, si adoperò, ovviamente, per inserire la città di Pescia nel progetto[27]. Per la completa realizzazione della iniziativa occorreva però, anche l'autorizzazione di Leopoldo II di Toscana. Pistoia infatti sorgeva sul suolo granducale. Il Magnani, che ormai da lungo tempo si divideva tra la Pescia, Lucca e Firenze, interpose i suoi buoni uffici presso l'esecutivo leopoldino, ottenendo il 4 aprile 1845 l'autorizzazione a proseguire la strada ferrata fino Pistoia dove la Ferrovia Maria Antonia, avrebbe assicurato i collegamenti con Firenze[28]. Era previsto per l'iniziativa un capitale sociale di otto milioni di lire lucchesi, cifra iperbolica, per quei tempi, se si tiene conto che la paga di un operaio era di una lira giornaliera. Il Magnani e gli altri soci fondatori parteciparono con una quota minima di trenta azioni da mille lire ciascuno[28]. Era previsto che la società, si accollasse tutti gli oneri derivanti dalla spese, rischi e pericoli della costruzione, per ottenere in cambio il diritto a percepire per i cento anni successivi tutti i proventi "dei trasporti e dei transiti" secondo le tariffe concordate con i rispettivi governi. Così dopo un breve periodo di intensi lavori, nel 1848 fu inaugurata, tra l'entusiasmo generale, la stazione di Pescia[29]. Evento che gratificò enormemente il Magnani. Egli, però, non riuscì a vedere né il completamento dell'opera, né l'auspicato collegamento con Firenze, a causa della immatura scomparsa che lo vide morire il 16 settembre del 1856. L'opera fu conclusa, infatti, il 3 febbraio 1859.
Le consuetudini del tempo, non vedevano con favore, l'impegno dei nobili, nelle attività mercantili, anzi veniva considerato un segno di decadenza. Ciononostante, i Magnani non furono mai emarginati e, secondo la loro tradizione, non smisero mai di contrarre matrimoni con famiglie di antico e comprovato blasone. Nella nuova patria toscana, mancava loro, però, l'imprimatur dei ranghi più elevati della società, di cui, gli esponenti, più in vista, vivevano nel capoluogo fiorentino, al cospetto della corte granducale.
Le nuove generazioni si affacciarono con forza in questa nuova dimensione, cercando di penetrare un mondo, in molti casi, difficile, infido e pieno di pregiudizi.
Anche in questo caso non mancarono di centrare il loro obiettivo. Per dirla con lo Spreti[14] "...contrassero alleanze con famiglie nobilissime, come i Guicciardini, i Mozzi del Garbo, gli Strozzi Alamanni, i Gerini, gli Amerighi..." ai quali, aggiungeremmo anche i Bombicci, nei rami Pomi e Pontelli.
Per approfondire vedi Armoriale dei matrimoni Magnani
Inoltre in occasione dei lavori ultimativi della facciata del Duomo di Firenze, avvenuti tra il 1871 e il 1887[33], volle essere presente tra i finanziatori del progetto, lasciando, in ricordo, lo stemma rappresentante le insegne sue, partite con quelle del marito, che si può scorgere a sinistra del portone di ingresso.
In questo modo ebbero termine i rami fiorentini della famiglia Magnani.
In questo contesto di irresistibile ascesa, l'attività imprenditoriale raggiunse il suo apogeo nella prima metà del XX secolo, quando le cartiere Magnani divennero fornitori principali della Banca d'Italia. Successivamente con la nascita, nel 1928 del Poligrafico dello Stato, e l'acquisizione della Cartiere Miliani di Fabriano da parte dello stesso[13], il primato dei Magnani, nella produzione della carta valori, andò declinando.
Anche nel novecento non mancarono uomini illustri nella famiglia, tra i quali primeggia per tutti:
Negli anni '80 del XX secolo, quasi tutte le attività del settore cartario vennero dismesse o vendute al Poligrafico dello Stato[13].
La discendenza della famiglia continua nei rami derivanti da Bernardo, Lorenzo ed Ernesto.
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