Ortigia è il toponimo dell'isola che costituisce la parte più antica della città di Siracusa.
La sua estensione è di circa 1 km² e la sua popolazione ammonta a 3889 abitanti (2020).[1]
È affiancata a est da alcuni scogli, tra cui uno più largo ma quasi interamente sommerso storicamente conosciuto come l'isola dei cani.[2]
Geografia fisica
L'isola di Ortigia è geologicamente parte dei monti Iblei[3].
Sotto la sua roccia calcarea scorre l'acqua dolce, alimentata da una profonda falda freatica iblea.
Ortigia, in tempi antichi, doveva avere una costa più prolungata, infatti dai vari studi archeologici effettuati presso il Lakkios (detto anche porto Piccolo di Siracusa), risulta visibile sott'acqua parte della banchina marmorea che contraddistingueva l'approdo siracusano.[4]
La tipologia di costa è rocciosa e frastagliata, nella sua maggior parte, eccetto qualche golfetto di sabbia.
La sua vegetazione non è estesa, poiché l'isola nel corso dei millenni è stata densamente popolata ed edificata. La flora ortigiana è composta dalle piante tipiche del clima mediterraneo, quindi soprattutto palme e ficus. Inoltre attira curiosità la presenza della pianta del Cyperus papyrus (la medesima pianta dalla quale è possibile ricavare i fogli di papiro), che cresce all'interno della fonte Aretusa.
La sua fauna, composta essenzialmente da numerose specie marine, annovera anche delle anatre e dei pesci d'acqua dolce, entrambi abitanti esclusivi della fonte Aretusa e per questo parte della cultura paesaggistica.
Dato all'isola di Siracusa dai primi coloni greci, questo termine recava con sé un significato religioso: esso appare difatti legato alla divinità olimpicaArtemide (corrispondente alla dea romana Diana), dea della Luna e gemella del dio del SoleApollo, poiché, secondo l'Inno ad Apollo (14-16), in Ortigia la titanideLeto partorì la dea. Ortigia divenne allora il suo luogo sacro.
Alcuni autori classici specificano che l'isola siracusana fu così chiamata proprio in onore di Artemide: Diodoro Siculo afferma che furono gli uomini e gli oracoli a darle il nome di Ortigia dopo che seppero della sua consacrazione alla divinità lunare;[6] mentre Ovidio, nel trattare il mito di Alfeo e Aretusa, fa dire alla ninfa nereide che l'isola di Siracusa si era chiamata Ortigia per via della sua dea, Artemide.[7]
Pindaro definisce l'Ortigia siciliana «culla di Artemide» e sede dell'Alfeioa o Alpheiaia,[8] ovvero l'Artemide Potamia, fluviale, connessa al fiume Alfeo: il poeta tebano si sofferma sulla relazione che correva tra l'Alfeo e l'Ortigia siciliana; egli nella Nemea I chiama l'isola «sacro respiro di Alfeo» (Ἄμπνευμα σεμνὸν Ἀλφεοῦ), che secondo l'antico mito giungeva in maniera carsica dal Peloponneso all'isola di Ortigia.
Per Pindaro, inoltre, Ortigia è sorella di Delo (Nemea I), l'isola sacra delle Cicladi, dove la tradizione greca finì per collocare sia la nascita di Apollo che quella di Artemide: in origine, narra il mito, anche Delo si chiamava Ortigia.
Il mito fondativo, reso noto da Pausania, parla di un responso di Apollo, il quale rivelò all'ecista Archia, recatosi presso l'oracolo di Delfi, l'esatto luogo dove doveva avvenire la sua ktisis, ovvero la fondazione di una polis:
Con l'arrivo dei Dori Ortigia viene unita tramite un terrapieno litico all'Acradina, sorta all'interno dell'antico insediamento siculo di Syraka (secondo lo scolio a Callimaco: Συρακώ e Συρακούς[11]).
Del terrapieno litico, divenuto in seguito un vero e proprio ponte, ne danno notizia uno scoliasta di Pindaro sulla prima Nemea[12] e un canto - del quale parla anche Strabone[13] - del poeta lirico di VI secolo a.C.Ibico di Reggio.[14]
L'isola diviene presto il centro religioso e politico dei nuovi coloni: nella sesta Olimpica Pindaro narra che alla fondazione della polis avevano partecipato anche dei sacerdoti giunti da Olimpia; stirpe di indovini che si diceva discendente di Iamo (il figlio di Apollo nato sulle sponde dell'Alfeo o sul monte Cillene, culla del dio Hermes); alcuni autori odierni sostengono che furono gli Iamidi di Olimpia, che presero dimora in Ortigia, a introdurvi il culto di Alfeo e Aretusa.[15] Secondo il filologo classico Luigi Lehnus, invece, Pindaro avrebbe potuto voler fare riferimento a una collaborazione tra gli Iamidi e Gelone, nel momento in cui la casata rodio-cretese dei Dinomenidi, giunta da Gela, instaura a Siracusa il suo duraturo governo.[16]
I coloni greci edificano in Ortigia alcuni dei loro templi più importanti, ma l'identificazione della divinità alla quale essi scelgono di consacrarli è rimasta per gli studiosi per diverso tempo incerta. Il tempio greco più arcaico sorge sulla parte più alta dell'isola, nell'attuale piazza del Duomo, individuato all'inizio del XX secolo dall'archeologo Paolo Orsi; costui, sceso nelle fondamenta del palazzo del Vermexio, osservando i resti del tempio che vi trovò, lo definì come «decorato secondo il gusto ionico».[17]
La presenza di un tempio ionico (uno dei rari esempi nell'Occidente greco) in una colonia di Dori ha destato curiosità, ponendo diversi interrogativi (si è supposto l'arrivo di maestranze dall'Asia Minore[N 1]). Odiernamente lo si considera un Artemísion e lo si data al VI secolo a.C.[17] In passato anche il tempio sorto nei pressi dell'entrata di terra dell'isola, stavolta eretto in stile dorico, è stato attribuito alla dea della Luna, ma il ritrovamento successivo di un'epigrafe arcaica, scolpita nei suoi gradini, ha fatto propendere per un'attribuzione al suo gemello, il dio Apollo (la parte leggibile della scritta parla di Kleomenes, che ha lavorato per Apollo).[22] L'Apollonion è datato anch'esso al VI secolo a.C. ed è il più antico tempio periptero innalzato dai Dori in Sicilia: una particolarità che ne denota l'arcaicità sono le sue colonne monolitiche.[23]
I due approdi danno a Ortigia un ruolo molto importante nella difesa della polis, difatti è nei pressi del suo porto Grande che nel 413 a.C., durante la spedizione ateniese in Sicilia (nel contesto della guerra del Peloponneso), avviene la battaglia navale tra i soldati di Atene e quelli di Siracusa: una prima battaglia vinta dagli Ateniesi e una seconda battaglia, decisiva, vinta dai Siracusani.
Ed è sempre dal porto Grande di Ortigia che il 15 agosto del 310 a.C. (la data esatta la si apprende da un'eclissi solare descritta dalle cronache) Agatocle, futuro basileus di Sicilia, forza il blocco imposto dalle navi di Cartagine - la quale assedia Siracusa dal 311 a.C. al 309 a.C. - e come diversivo strategico conduce una spedizione siracusana in Africa, che diventa la prima ad aver attaccato sul suolo natio i domini cartaginesi, facendo vacillare la potenza imperiale della capitale fenicia.
Ortigia diventa la dimora dei tiranni di Siracusa, incominciando da Dionisio I, che ne fa evacuare la popolazione, permettendo di dimorarvi solo alla sua corte e alla sua guardia del corpo, composta da numerosi mercenari dell'esercito siracusano.[25][26] Particolarmente imponente doveva essere la rocca dello stratēgos autokratōr che diede l'avvio all'età dionigiana. La costruzione (chiamata in diversi modi: Diodoro e Plutarco la definiscono tyranneia di Ortigia[27][26], ma è nota anche come cittadella e acropoli[28]) sorgeva su di un luogo alto e ben protetto da mura e da torri, piena di giardini; in una di queste aree verdi, nel 361 a.C. vi era l'abitazione del filosofo ateniese Platone,[29] il quale, nei suoi viaggi in Sicilia, frequentava assiduamente la corte dionisiana, avendo per discepolo il regnante Dionisio II.
Nella rocca, al cui interno era stata trasferita anche la zecca di Siracusa, c'era un portico adorno di statue; tra queste - in tal caso a narrare è Diogene Laerzio, che riporta un frammento di Timeo di Tauromenio - si trovava quella di Hermes (Mercurio per i Romani): sul capo che rappresentava il dio del logos, il discepolo di Platone Senocrate (futuro scolarca dell'Accademia di Atene), pose una corona d'oro che gli era stata donata da Dionisio II, avendola vinta in un gioco di corte.[30]
L'intera rocca, assaltata da Dione - zio di Dionisio II e anch'egli discepolo di Platone - nel corso della guerra civile di Siracusa del 357 a.C., viene infine rasa al suolo durante il governo del corinzio Timoleonte. Sulle ceneri della reggia dionisiana, il dinomenide Gerone II costruisce il suo palazzo.
L'epoca romana
Nel 215 a.C., nel corso delle guerre puniche, Siracusa si allea con Cartagine per cercare di contrastare la potenza della Roma repubblicana, che con i suoi eserciti era ormai giunta a controllare buona parte della Sicilia.
La mossa degli ultimi discendenti dei Dinomenidi rompe la pluridecennale pace che era stata mantenuta tra Siracusa e Roma per volere del basileus Gerone II (dopo che questi aveva avuto un iniziale scontro con i Romani, poi fatto cessare quando la polis si era vista assediata anche dalle città sicule, divenute alleate dell'urbe).
Roma, che dapprima rispetta i confini di quello che era stato il Regno di Gerone II, quando sa di questa alleanza manda il console Marco Claudio Marcello a conquistare la pentapoli. L'assedio per i Romani si rivela molto complesso, per via dell'operato di Archimede: lo scienziato siracusano - che in tempo di pace aveva vissuto alla corte di Gerone II, mettendo al servizio di costui la propria genialità - decide in tempo di guerra di condurre la difesa aretusea, dirigendo dalle mura di Ortigia incredibili macchine: tra tutte si ricordano specialmente gli specchi ustori, con i quali fa bruciare le navi romane che assediano il porto.
Rifornita di cibo dalla flotta di Cartagine e con le macchine di Archimede che non permettono ai Romani di avvicinarsi alle mura, Ortigia resiste a oltranza. Tuttavia, un comandante iberico di nome Merico, custode della porta della fonte Aretusa, alleatosi segretamente con il console Marcello, spalanca quell'ingresso alle legioni romane. È l'effetto sorpresa a determinare la caduta dell'isola nel 212 a.C.
Terminata la conquista (l'ultima parte della pentapoli ad arrendersi è l'Acradina, che si consegna a Marcello dopo aver saputo della caduta di Ortigia), il console porta le ricchezze di Siracusa a Roma (Tito Livio dirà che queste erano così tante che avrebbero trovato eguali solo se si fosse conquistata all'epoca Cartagine[31]).
Con i Romani l'isola viene nuovamente evacuata: solo il pretore romano può risiedervi.[32]
Durante le guerre arabo-bizantine l'imperatore Costante II sposta la capitale dell'Impero romano d'Oriente da Costantinopoli a Siracusa, e sebbene sia lecito supporre che la ex-pentapoli attirasse le mire imperialistiche dei Greci del Bosforo, il reale motivo di questo cambio di potere rimane incompreso e dura poco (dal 663 al 668), difatti, una congiura elimina Costante II, mentre il figlio di costui, Costantino IV, nel 669 irrompe a Siracusa con le truppe imperiali e ristabilisce la capitale nella futura Istanbul.[41]
Sempre nel 669 Siracusa subisce una prima occupazione araba; giunge da Alessandria d'Egitto, ma è comandata dal siriacocaliffato omayyade (i primi prigionieri siciliani sono condotti a Damasco già nel 665).[42] Seguono altre incursioni,[43] fino ad arrivare al decisivo assedio dell'878, stavolta condotto dall'emirato degli Aghlabidi, insediatosi in Tunisia (dove un tempo sorgeva l'impero di Cartagine). È il governatore della Palermo islamica, Giafar ibn Muhammad, a espugnare Siracusa, il mercoledì 21 maggio, dopo 9 mesi di duro assedio, durante i quali il porto di Ortigia rimane bloccato, di conseguenza la popolazione patisce la fame, impossibilitata a procurarsi il cibo sia per terra che per mare (gli assedianti, dice l'arabistaMichele Amari, erano stanchi d'essere trattenuti da una legione di spettri[44]). Infine una breccia nelle mura si rivela fatale (nessun aiuto giunse da Costantinopoli[N 5]).
In maniera analoga a quanto accaduto con l'espugnazione romana di Siracusa, anche le cronache arabe si meravigliano per le ricchezze trovate all'interno della città; il cronista mesopotamicoAli Ibn al-Athir afferma: «non essersi mai fatta sì ricca preda in altra metropoli di Cristianità».[47]
Epoca medievale
Dall'epoca normanna all'epoca aragonese
La presa araba, a differenza di quella romana, ha come conseguenze l'eccidio della popolazione, la deportazione in schiavitù dei superstiti e l'incendio dato a quella che fino all'878 era stata la capitale della Sicilia. Questo è l'evento che per Ortigia segna una svolta epocale: il nucleo abitativo di Siracusa si concentra adesso solo sull'isola.[48][N 6]
Nel 1040 approda il generale bizantino Giorgio Maniace, accompagnato da soldati Vichinghi, la cui fazione normanna finisce con il prendere il sopravvento sui Bizantini e sfida in solitaria gli Arabi di Sicilia: è nel porto Grande ortigiano che nel maggio del 1086 avviene lo scontro navale notturno tra l'ultimo emiro siciliano, Benavert, e il normanno Ruggero I di Sicilia.[52] La vittoria normanna segna anche per Siracusa la fine della dominazione islamica, della quale Ortigia non conserva le vestigia. Le moschee vengono riconvertite in chiese cristiane: l'ultima moschea a essere abolita è l'Apollonion (così come la cattedrale, anche l'antico tempio di Apollo era divenuto sede del culto islamico).[53]
Nonostante Costantinopoli abbia sempre continuato a considerare esistente la chiesa siracusana,[54] la data ufficiale del suo ripristino è il 1093.[55]
Nel luglio 1127, mentre Ruggero II mira a conquistare il Nord Africa,[N 7] in Ortigia si verifica l'ultimo assalto arabo: la popolazione riesce solo in parte a rifugiarsi sui monti Iblei, il resto di essa viene trucidato, la città è nuovamente predata e data alle fiamme.[56] Ciò sancisce, secondo diversi storici, la decisione dei Normanni di stringere alleanza con i papi e entrare a far parte delle Crociate[57] (altra conseguenza diretta è l'invasione normanna di Malta, anch'essa risalente al luglio 1127[58]).
L'isola di Ortigia, che durante il Regno di Sicilia normanno è descritta dal geografo arabo Idrisi con termini entusiastici (è definita come una ricca fortezza mercantile[N 8]), viene contesa al principio dell'epoca sveva dalle repubbliche marinare di Genova e di Pisa: i genovesi nel 1205 vincono i toscani e staccano Ortigia dalla corona siciliana, governandola come un loro feudo per più di un decennio.[60] Il predominio ligure si verifica durante l'infanzia del re siciliano Federico II di Hohenstaufen, fino al 1221, quando il sovrano svevo viene a reclamare la città, appena eletto imperatore del Sacro romano impero, e la reintegra nella corona di Sicilia.[61]
Nel 1232 Federico edifica il castello Maniace, sull'estrema punta dell'isola di Ortigia, e lo intitola allo strategos che aveva guidato la prima spedizione greca e che aveva condotto i Normanni sull'isola.
Seguono interi decenni di guerre siciliane, note come le guerre del Vespro, sorte quando la casa imperiale germanica degli Hohenstaufen viene osteggiata dal papato, il quale agli eredi del Sacro romano impero preferisce sul trono di Sicilia il principe franceseCarlo I d'Angiò, ma costui non è accettato dai siciliani. La lotta di successione si protrae fino alla metà del XIV secolo, quando il neo Regno di Trinacria entra a far parte dell'iberica corona d'Aragona.
Fin dal 1302 l'isola di Ortigia (formalmente Siracusa) diventa sede della Camera reginale, istituita dal re barcelloneseFederico III come dono di nozze per la regina consorte Eleonora d'Angiò (la Camera è una vera e propria dote[62] ed è un retaggio catalano, sostiene lo storico di diritto Giuseppe Salvioli[63]). Divenuta feudo delle regine siciliane e capoluogo di diverse altre città, appartenenti alla Camera, Siracusa si avvale di una larga autonomia e poiché la sua posizione giuridico-politica diventa sfuggente, gli storici odierni la definiscono come «uno stato dentro un altro stato».[64]
Epoca moderna
L'Impero spagnolo
Nel 1506Germana de Foix, sposa di Ferdinando II d'Aragona, eredita la Camera reginale, diventandone la decima e ultima regina: alla morte del re aragonese, nel 1516, subentra sul trono di Sicilia (su cui siede ormai da tempo un viceré) il primo re di Spagna e imperatore del Sacro romano impero Carlo V d'Asburgo. Nonostante i tumulti siciliani dovuti al nuovo cambio di potere, Germana rimane la regina dei siracusani. Tuttavia, stanche di essere parte di questo particolare sistema feudale, le città reginali ne chiedono l'abolizione.
L'imperatore germanico vede nell'isola di Ortigia un importante baluardo per i confini orientali dell'Impero spagnolo (la considera la chiave levantina del Regno di Sicilia[65]), ne dispone quindi una monumentale opera di fortificazione.
Carlo V, inoltre, demolisce il collegamento artificiale che fin dai tempi greci univa Ortigia alla Sicilia e ne fa scavare l'ingresso, rendendolo molto articolato.[66][67] Il risultato è notevole e l'isola di Ortigia, nel tempo, si guadagna la fama di impenetrabile fortezza; ciò, però, a discapito della libertà (il porto Piccolo viene fatto guastare, per non offrire ripari al nemico,[68] e il porto Grande diventa così privo di commercio che alcune fonti, erroneamente, sostengono che l'imperatore abbia fatto distruggere pure quello[69][70]).
Durante l'epoca spagnola Ortigia è colpita da diverse calamità naturali: tra gli eventi più distruttivi vi è il terremoto del 1542 (una magnitudo 7.0 che dirocca gli edifici ortigiani e forma delle «tempeste di mare» che costringono gli abitanti a cercare rifugio sulle barche[78]).
Nel 1563 dentro Ortigia si fabbrica il quartiere militare spagnolo, il quale comprende il tempio di Apollo, che viene trasformato dai soldati iberici nella loro unica e centrale dimora (è in tale occasione che l'arcaico edificio, un tempo consacrato al culto solare, subisce i maggiori danni).[79] I rapporti tra la milicia española e gli ortigiani sono spesso burrascosi.[N 10]
Nel 1608, mentre fugge dai cavalieri di Malta, approda nella fortezza il pittore milaneseCaravaggio; durante la sua permanenza dipinge per il senato siracusano la tela intitolata Seppellimento di santa Lucia.
Nel 1646 il popolo di Ortigia, afflitto da grave carestia, prega santa Lucia nella cattedrale affinché la penuria di cibo finisca; il volo di una colomba all'interno della chiesa, il 13 maggio, precede l'ingresso nel porto di navi cariche di grano (l'evento è alla base della festa ortigiana odierna nota come «santa Lucia delle quaglie»).[82]
La rivolta antispagnola di Messina fa entrare nel 1674 la Sicilia nella guerra d'Olanda: i messinesi, sperando in un cambio di potere che faccia della loro città la nuova capitale del Regno di Sicilia,[83] si alleano con il re Sole Luigi XIV di Francia (che era in lotta con spagnoli e olandesi). Le mire dei francesi si rivolgono fin da subito nel siracusano, ma non giungono ad attaccare le mura di Ortigia (francesi e messinesi conquistano Augusta e Melilli, ma si bloccano sui monti Iblei, dove sono respinti;[84] all'interno della fortezza muore l'ammiraglio olandese Michel Adriaenszoon de Ruyter[85]). Nel 1678 il re di Francia decide di firmare il trattato di pace con il giovane re di Spagna Carlo II, ponendo fine anche alla contesa siciliana.
La Spagna, come conseguenza dei fatti recenti, non fidandosi più dei siciliani, dichiara nel 1679 l'isola di Ortigia piazza d'armi, affidandola a un governatore militare (che risiede nel castello Maniace).[86]
Il terremoto del Val di Noto del 1693 (con una magnitudo 7.3) provoca ingenti danni e vittime anche in Ortigia (sebbene, sostengono le fonti, quello del 1542 fu per la fortezza più distruttivo): la ricostruzione che ne segue nella Sicilia orientale fa nascere l'arte nota come barocco siciliano.
L'epoca borbonica
L'impero spagnolo va incontro alla sua dissoluzione con la guerra di successione spagnola (sorta con la morte dell'ultimo Asburgo di Spagna, Carlo II), nella quale la corona siciliana è contesa da più sovrani: l'arciduca d'Austria, Carlo d'Asburgo, rinuncia al titolo di sovrano della Spagna e delle Americhe per essere incoronato re di Sicilia; viceversa, il nipote del re Sole e primo dinasta dei Borbone di Spagna, Filippo V, accetta il titolo spagnolo e americano ma perde quello siciliano (trattato di Utrecht, 1713). Gli spagnoli, ciononostante, impiegano le risorse monetarie che li giungono dai territori americani per allestire nel 1718 una spedizione da inviare in Sicilia, per riconquistarla.[87][88]
Anche in questo ultimo assedio la fortezza di Ortigia resiste fino alla fine, arrendendosi il 1 giugno 1735,[93] dopo un bombardamento durato quasi tutto il mese di maggio. Durante l'assalto dei cannoni alle mura, il popolo della fortezza attribuisce a santa Lucia l'avvento di un miracolo: una bomba inesplosa che determina la resa del comandante austriaco.[94]
Nel 1798, dopo un periodo di pace nel reame napoletano, naviga nelle acque aretusee la flotta di Napoleone Bonaparte (in realtà diretto a Malta e poi ad Alessandria d'Egitto); lo insegue l'ammiraglio Horatio Nelson, il quale rifornisce di viveri la propria flotta nell'isola di Ortigia, attingendo all'acqua della fonte Aretusa.[95]
Nel 1837 l'isola di Ortigia è afflitta dal colera; la crisi sanitaria provoca una crisi politica (viene diffusa la voce che funzionari borbonici abbiano avvelenato l'acqua e il cibo della fortezza[109]): non avendo accettato i siciliani la nascita del Regno delle Due Sicilie (con il quale la corona di Sicilia nel 1816, dopo la sconfitta di Napoleone Bonaparte, viene estinta e fusa in quella napoletana), la fortezza, nel caos provocato dall'epidemia, è coinvolta nei moti rivoluzionari contro i Borbone (questi portano nel 1848 alla momentanea rinascita del Regno di Sicilia, in cerca di un nuovo re[110]). L'intera Sicilia, dopo l'esperienza rivoluzionaria - riconquistata nel 1849 dai Borbone -, passa ai garibaldini nel 1860 (con la spedizione dei Mille): nel 1861 nasce il Regno d'Italia di Vittorio Emanuele II di Savoia.
Epoca contemporanea
Ortigia si presenta alla soglia dell'epoca contemporanea con una popolazione che tra le sue vetuste mura ammonta a circa 20.000 persone[111] (il susseguirsi di guerre, calamità naturali e il suo isolamento hanno notevolmente influenzato la crescita demografica aretusea[112] ). Questa cifra si mantiene per tutta la durata del primo Novecento, ma con un cambiamento di rilievo: sul finire del XIX secolo viene rasa al suolo la quasi totalità delle sue fortificazioni spagnole e viene meno il suo antico ruolo di fortezza siciliana, i suoi abitanti, quindi, sono liberi di andare a edificare altrove le proprie abitazioni.[N 13][N 14]
I tre profondi fossati,[114] attraversabili con dei ponti levatoi, che caratterizzavano il difficile ingresso dell'Ortigia-fortezza,[115] vengono quasi tutti interrati; ne rimane uno solo, che prende il nome di canale della Darsena e che rappresenta la striscia di mare che fa di Ortigia un'isola.[116] Un ponte di pietra su questo canale, chiamato ponte umbertino (dalla zona umbertina, sorta dove un tempo vi erano i forti spagnoli), collega stabilmente l'isola alla terraferma.[115]
Terminato il conflitto bellico, si avvia per il capoluogo aretuseo un periodo di sviluppo edilizio, che concentrandosi soprattutto nella parte nord di Siracusa, negli anni '60 del Novecento determina il repentino spopolamento del suo centro storico.[120]
Un secondo ponte sul canale viene costruito negli anni '60 ed è detto dei calafatari (il nome gli deriva dagli antichi costruttori navali della Darsena). Sul finire del XX secolo Ortigia appare in stato di semi-abbandono; il suo decoro viene ristabilito con un progetto dell'Unione europea, Urban, conseguito nel 1996 e attuato all'inizio del nuovo millennio.[121][122]
Nel 2004 viene inaugurato un nuovo ponte per Ortigia: il ponte Santa Lucia, parallelo all'umbertino; mentre nel 2014 viene demolito quello dei calafatari.[123]
Nel 2006 si reca in Ortigia il presidente della Repubblica italianaCarlo Azeglio Ciampi, il quale, in piazza del Duomo, scopre la targa che dichiara la città di Siracusa, congiuntamente con le necropoli rupestri di Pantalica, parte dei Patrimoni dell'umanità dell'UNESCO.[124] Nel 2009 all'interno di castel Maniace viene organizzata una sezione informale del G8 dell'Aquila: il forum del G8 Ambiente. L'odierna Ortigia ha circa 4.000 residenti[125] ed è diventata nuovamente il fulcro delle attività sociali e culturali del capoluogo siracusano: ciò ha avuto effetto anche nel suo settore commerciale; da una di ricerca di Confcommercio, la piccola isola, trainata in particolar modo dall'incremento del turismo, è risultata essere nel 2018 il centro storico più vitale d'Italia.[126]
Nel settembre 2023 il capo dello Stato italiano, il presidente Sergio Mattarella, accoglie in Ortigia il suo omologo tedesco, il presidente Frank-Walter Steinmeier, insieme eleggono al teatro comunale i vincitori del “Premio dei Presidenti” (istituito nel settembre 2020 a Milano per incentivare la cooperazione tra i comuni dei due Stati); la visita ortigiana comprende inoltre un colloquio al castello Maniace e la sosta in piazza del Duomo, alla fonte Aretusa e al museo Bellomo.[127]
Sull'isola di Ortigia si possono osservare i resti di tre antichi templi della religione dell'antica Grecia: il tempio di Artemide (solo basamento); il tempio di Apollo (basamento, minima parte delle mura e colonne superstiti); il tempio di Atena (colonne superstiti e parte della struttura interna incorporate nell'edificio di culto cristiano).
Con l'affermarsi del cristianesimo avviene la trasformazione del tempio di Atena in cattedrale, detta anche duomo di Siracusa; in seguito, con la dominazione islamica, questa diviene una moschea, così come il tempio di Apollo, tuttavia alcuna traccia architettonica è rimasta a testimonianza di quel tempo.
Successivamente, con l'arrivo dei Normanni, le moschee vengono chiuse, l'antico tempio posto sulla sommità dell'isola ridiventa la cattedrale - accanto, in epoca sveva, viene costruito il palazzo arcivescovile - e sorgono tutt'intorno a essa numerosi edifici del culto cristiano greco-romano (l'arcidiocesi di Siracusa anche durante l'epoca normanna mantiene sia il rito greco sia il rito romano[128]): chiese, monasteri e conventi.
Tra le chiese più arcaiche di Ortigia si annovera quella di San Giovannello (costruita su una preesistente basilica bizantina paleocristiana del IV secolo edificata dal vescovo Germano); essa sorge nel quartiere della Giudecca, dove si insediò fino al 1492 la comunità ebraica di Siracusa, la quale aveva eretto in quella zona la sinagoga e i miqwè ebraici.
Il più antico monastero ortigiano sorge alle spalle del duomo e risale al 1169, fondato dal re normanno Guglielmo II il Buono e dedicato a Santa Maria della Concezione; per molto tempo fu uno degli edifici religiosi più importanti dell'isola (in esso si custodivano anche le reliquie di Santa Lucia, infine trasferite nella cattedrale[130]), ma non resistette al terremoto seicentesco: di esso è rimasta la chiesa Santa Maria della Concezione (che ebbe origine nel 1300), mentre i suoi locali sono divenuti nel XIX secolo il palazzo della prefettura di Siracusa.[131][132]
Le più antiche, sopravvissute, testimonianze architettoniche civili di Ortigia risalgono al medioevo: l'Ortigia medievale sembra caratterizzarsi dall'inurbamento delle famiglie nobiliari all'interno dei suoi quartieri; ovvero queste lasciano le abitazioni di campagna per trasferirsi nella fortezza, convivendo a stretto contatto con il popolo ortigiano.[135] Il loro palazzo, con la rispettiva chiesa gentilizia, costituisce il punto di riferimento sociale per il quartiere.[135]
Dalla Catalogna giunge lo stile architettonico, gotico spagnolo, che influenza l'edilizia palaziale dell'Ortigia del basso medioevo, grazie alla presenza della Camera reginale, la quale vede la sua sede originaria in un palazzo trecentesco di cui è rimasto intatto solo il portone gotico con al centro un bassorilievo che raffigura San Michele Arcangelo (l'edificio diventa in seguito noto come palazzo del Senato o di Città[136]).[137] Di questo periodo sono giunti intatti due palazzi, nobiliari: il palazzo Mergulese-Montalto (stile gotico chiaramontano) e il palazzo Bellomo (le cui trifore rispecchiano quelle barcellonesi[137]).
A seguito della ricostruzione dovuta al sisma del 1693, sorgono in Ortigia numerosi edifici in tardo barocco siciliano; esempio ne è il palazzo del Vermexio (in cui si insedia il senato aretuseo, che lascia il medievale palazzo di Città); successivamente si predilige il rococò (evoluzione del tardo barocco) e chiari esempi ne sono i palazzi dei Beneventano del Bosco, dei Borgia del Casale, degli Impellizzeri.
I tiranni della pentapoli avevano scelto Ortigia come loro roccaforte e dimora: i resti della porta urbica, nei pressi dell'entrata di terra e quindi nei pressi del tempio di Apollo, ricordano quando l'isola fu fortificata da Dionisio I.
Con l'epoca medievale Ortigia ritorna a essere popolata da civili (come era stato alle origini, quando prima i Siculi e poi i coloni greci di Archia vi avevano abitato), ma ciò non segna il termine del suo ruolo militare, che anzi diventa ancor più accentuato, concentrandosi adesso il nome di Siracusa nella sola isola.
Interni del medievale castello Maniace, costruzione federiciana
Sul finire dell'alto medioevo, in un'epoca incerta tra quella araba e quella normanna,[143] viene costruito sull'istmo ortigiano un castello, detto castello Marieth (noto anche come Marchetti), dalla posizione molto strategica.[144] Circa due secoli più tardi, nel XIII secolo, l'imperatore degli Hohenstaufen, Fdederico II di Svevia, fa fabbricare un altro castello in Ortigia: il castello Maniace, attorniato dal mare sull'estrema punta dell'isola. Entrambi i castelli, all'occorrenza, diventavano anche dimore di re e regine.[145]
L'edificio federiciano, in stile gotico, è sopravvissuto integro (subì gravi danni nel 1704, quando un fulmine andò a colpire la sua polveriera, diroccandolo,[146] ma venne ristrutturato un secolo dopo dagli inglesi, durante l'epoca napoleonica[147]), mentre il più vetusto castello Marieth viene demolito dagli spagnoli nel Cinquecento, dopo che il terremoto del 1542 lo aveva danneggiato.[144]
La fortezza di Ortigia raggiunge l'apice del suo ruolo nel Seicento e Settecento, quando l'isola d'età spagnola, ormai colma di fortificazioni, viene definita una caserma abitata da civili[148] e si guadagna il titolo di inespugnabile piazzaforte d'Europa.[149]
Nel 1740, alle spalle del castello Maniace, viene costruito un grande edificio a pianta quadrata che viene destinato all'alloggio militare e nel tempo prende il nome di caserma Abela; dopo l'Ottocento viene ampliato e sostituisce la demolita caserma spagnola, che era stata costruita all'interno del tempio di Apollo (la caserma Abela viene dismessa sul finire del XX secolo).[150]
Dell'Ortigia fortificata odiernamente non ve ne è quasi più traccia architettonica: con l'abbattimento di fine Ottocento delle sue porte (monumentale era la porta Ligny, sul canale della Darsena), delle sue mura e dei suoi baluardi, quel che è rimasto pressoché intatto è la porta della marina e sul lato levantino dell'isola il forte San Giovannello e il forte Vigliena.
Durante il secondo conflitto bellico mondiale l'Unione nazionale protezione antiaerea predispone i lavori che trasformano in ricovero per la popolazione la cava che vi era sotto l'arcivescovado, nota come ipogeo di piazza Duomo; viene scavato un percorso che la collega al foro italico della Marina.[151]
Altro
La fonte Aretusa sgorga di fianco al mare - superata la Marina, andando incontro al castello Maniace dal Lungomare Alfeo - e da millenni riveste un ruolo culturale di primo piano nel paesaggio dell'isola di Ortigia, essendo legata al mito fondativo della città.
I secolari Ficus macrophylla del giardino Aretusa (osservati dal belvedere di Largo Aretusa)
Nel corso dei secoli le mura che l'attorniano e la separano dall'acqua di mare hanno più volte cambiato il proprio aspetto. In passato l'invaso della fonte è stato anche ben più vasto: nel Cinquecento Tommaso Fazello lo descrive come un grande lago, formato dai tanti ruscelli nei quali era stata divisa la fonte.[152]
Il belvedere architettonico da dove odiernamente la si osserva era un monticello e sotto vi era l'apertura di una grotta, dalla quale sgorgava la fonte; dietro di essa vi era quello che il viaggiatore seicentesco Pietro Della Valle definisce essere un bosco.[153] Ancora oggi lo spazio verde che precede la fonte è il più significativo dell'isola, in quanto vi si possono osservare quattro secolari esemplari di ficus macrophylla (il giardino dove questi alberi sono stati messi a dimora, all'interno del foro italico, è detto di Villetta Aretusa[154]). Un quinto esemplare di ficus macrophylla, il più anziano, sorge dentro il recinto della fonte ed è detto «ficus aretuseo».[155] Sempre dentro il recinto è visibile la scultura di Biagio Poidomani, realizzata nel 1910, la quale raffigura il dio fluviale Alfeo e la ninfa elide Aretusa.
Nel 1500, quando la fonte Aretusa viene inglobata all'interno delle mura, viene costruita alla Marina la fontana degli Schiavi, per permettere ai marinai di continuare a usare l'acqua dolce di Ortigia; Giuseppe Maria Capodieci sostiene che fosse un rivolo dell'Aretusa e che prima si chiamasse fontana dei Saccari.[156]
Nel 1878 viene edificata in Ortigia la piazza Archimede (il nome vuole ricordare lo scienziato siracusano del III secolo a.C.) e nel 1907 vi viene scolpita la fontana di Diana (opera di Mario Moschetti); il monumento richiama il mito della fonte Aretusa, adornato di elementi marini.[157]
Di più recente edificazione è la scultura bronzea che raffigura Archimede, con in mano un compasso e uno specchio ustorio: realizzata nel 2016 dallo scultore Pietro Marchese e dall'architetto Virginia Rossello, è stata posta sull'antico rivellino d'origine spagnola, attraversato dal ponte umbertino. La base della statua è uno Stomachion di pietra bianca (un gioco matematico studiato da Archimede) e su ciascuno dei suoi tasselli è inciso un simbolo che rimanda alle scoperte archimedee.[158]
Quartieri storici di Ortigia
I quartieri storici di Ortigia sono nove, i primi si sono sviluppati nel medioevo, sorti sulle antiche intersezioni delle vie greco-romane: questi sono il quartiere della Graziella (Razziedda) e della Sperduta (Spidduta) a nord-est, composto da pescatori e commercianti (data la vicinanza del porto Lakkios);[159] il quartiere dei Bottari (Buttari) a nord-ovest, animato dagli artigiani che si dedicavano alle attività portuali della Marina;[159] il quartiere della Giudecca (Jureca) a sud-est, dove si trasferirono gli ebrei giunti dall'Acradina;[159] il quartiere Duomo (Matrici) e il quartiere Castello o Maniace (Casteddu) a sud-ovest, che divennero in prevalenza sede dei palazzi nobiliari.[159]
In seguito sorsero gli altri quartieri, nelle zone periferiche di quelli già esistenti; quindi si sviluppò: durante l'epoca spagnola il quartiere Mastrarua (Masciarrò), tra la Graziella e la Sperduta, e nelle epoche successive il quartiere Maestranza (Mastranza), tra la Sperduta e la Giudecca (il nome gli derivava dalla concentrazione di abili maestri artigianali con le loro botteghe[159]), e il quartiere Turba (Tubba), tra la Giudecca e il Duomo.[159]
Nel 1925 l'Università degli Studi di Catania fonda a Siracusa la Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici; chiusa e poi riaperta nel 1961, essa dal 1974 ha sede fissa in Ortigia, nel palazzo Chiaramonte, d'origine trecentesca.[160] Nel 1996 l'ateneo catanese apre sull'isola una sede decentrata per la facoltà di architettura, la quale viene ospitata nell'area antistante la piazza Federico II di Svevia del Castello Maniace, presso la ex-caserma Abela.[161]
Ortigia ospita inoltre diverse altre realtà di formazione culturale, nazionali e internazionali; tra queste si citano:
L'Osservatorio Permanente sulla Criminalità Organizzata
Il Centro Internazionale di Studi sul Barocco
Il Sicily Center for International Education
L'Istituto internazionale del papiro
Musei
I musei di Ortigia sono:
Il museo Bellomo, il quale conserva i reperti dell'epoca medievale di Siracusa; da annoverare tra i suoi cimeli anche la preziosa tela del pittore siciliano Antonello da Messina, l'Annunciazione
Il museo del mare - Sirmuma, dedicato alla storia marinara della città; al suo interno ricostruzioni in legno della carpenteria navale, riprodotti dai maestri d'ascia, detti anche calafatari
Il museo del Cinema; è uno dei tre più grandi musei d'Italia dedicati all'arte del fare cinema; contiene moltissimi reperti cinematografici (oltre 20.000 pezzi)
Il museo del papiro, annesso all'Istituto internazionale del papiro, esso conserva antichi documenti papiracei (faraonici, ieratici, demotici, greci e copti), manufatti in papiro e anche le prime testimonianze della scoperta del papiro a Siracusa nel XVIII secolo
Ortigia è meta di cinema nota anche all'estero; ad esempio vi hanno girato delle scene del loro film Sicilia! i due cineasti francesi Straub e Danièle Huillet, o ancora qui vi è stata anche Margarethe von Trotta, vincitrice del premio Federico Fellini e del Leone d'oro al miglior film proprio con Anni di piombo, girato a Siracusa. E la fiction Ballate d'amore, diretta dal regista argentino Roberto Luis Garay, che più volte ha scelto Siracusa e provincia per le sue riprese.
Tra gli eventi annuali che la caratterizzano, il più significativo è quello che si tiene poco prima del Natale per la Santa patrona di Siracusa: la processione per la festa di Santa Lucia, che anima piazza del Duomo il 13 dicembre e il 20 dicembre.
Ortigia è inoltre la sede delle manifestazioni cinematografiche che avvengono a Siracusa, come l'Ortigia Festival e l'Ares Film Festival; e di quelle musicali: l'Ortigia Jazz Festival e l'Ortigia Sound System Festival.
L'economia ortigiana si basa quasi esclusivamente sul settore terziario: negozi di artigianato, punti ristorativi e strutture ricettive ne compongono il tessuto sociale. Molto importante anche il mercato di Ortigia, permanente e variegato, esso è stato in diverse occasioni anche meta delle telecamere nazionali che si occupano delle eccellenze alimentari del territorio e della sua biodiversità; i prodotti agroalimentari portati dai commercianti sulle bancarelle caratterizzano la cucina siracusana.
Trasporti
In passato era servita dalla stazione terminale di Siracusa Marittima. Oggi il trasporto da e per l'isolotto è solo su gomma e con il servizio comunale di bus navetta. Fino alla metà degli anni duemila vi era allocato il capolinea degli autobus urbani ed extra urbani, specificatamente in riva della Posta, poi trasferito nella terraferma nel lato opposto della ex stazione centrale.
Sport
La prima squadra di calcio ortigiana e siracusana è stata l'Ortigia Sport Club, fondata nel 1907 e con una partecipazione alla Coppa Lipton. Si è sciolta intorno al 1915. A cavallo tra gli anni novanta e gli anni duemila, è esistita un'altra società di nome Ortigia con i medesimi colori verdi e bianchi dello Sport Club, e ha disputato campionati dilettantistici.
Altri tre sodalizi sportivi hanno rappresentato e rappresentano l'isola: l'A.S.D. Canottieri Ortigia settore canottaggio, da cui è poi nato il Circolo Canottieri Ortigia di pallanuoto, e il C.C. Ortigia Siracusa di pallamano, attivo dal 1978 al 2002, con tre scudetti e due Coppe Italia in bacheca, e con tre partecipazioni in Coppa Campioni, due in Coppa delle Coppe e in diverse occasioni anche in Coppa EHF. Fiore all'occhiello del club biancoverde è stato da sempre il settore giovanile, con il quale ha vinto vari trofei a carattere regionale e nazionale.
Inoltre le sue acque, nel porto piccolo e nei pressi del ponte Umbertino, fungono da campo da gioco in occasione di gare sportive tra i canottieri. Ne sono stati un esempio le fasi finali dei campionati italiani di canoa polo, precisamente i play off della serie A maschile e femminile di questo sport, oltre che i confronti della serie B tra le cinque squadre che si sono aggiudicate i gironi del centro sud e che promuovono in A1 le prime due classificate. Ortigia è stata dunque "capitale della canoa polo italiana" per due giorni nel marzo 2013[162].
^Tra le varie ipotesi vi è quella che sostiene l'arrivo di maestranze dall'isola di Samo, nella Ionia: profughi ionici, in fuga dalla tirannide di Policrate erano stati accolti nel V sec. a.C. nella vicina Zancle (arrivando a prenderne il controllo, poiché da Zancle emisero moneta[18]); ciò unito alle similitudini che gli studiosi ritengono esserci tra il tempio ionico ortigiano e lo Heraion di Samo.[19] Tuttavia non corrispondono i tempi: i profughi giunti nel V sec. a.C. non combaciano con la costruzione del tempio nel VI sec. a.C.[20] Altri studiosi odierni vedono piuttosto delle affinità architettoniche con il tempio dell'Artemide di Efeso, polis della Ionia.[21]
^Su entrambe le pareti dell'antico tempio è incisa la seguente frase (tratta dal breve apostolico che papa Leone X inviò al vescovo Pietro Urries nel 1517, con il quale riconosceva le origini petrine della chiesa aretusea):
(LA)
«Ecclesia Syracusana prima Divi Petri filia - et prima post Antiochenam Christo dicata»
^Il protovescovo aretuseo compare nelle fonti scritte per la prima volta nel VII secolo con il nome di Marciano (Marziano),[33] che nel Sinassario di Costantinopoli diventa sia Marco che Marcello (gli attribuiscono due date e due nomi diversi, ma è sempre il medesimo, poiché lo si dice consacrato da Pietro).[34] Nel Martyrologium Hieronymianum egli sembrerebbe comparire sotto il nome di Marciae.[35]
^Ciò che dice l'agiografo di Marciano, riguardo agli ebrei stanziati nelle grotte dell'Acradina dette Pelopie, dove essi - dice l'ancomiasta - avevano una loro sinagoga,[37] ha trovato riscontri archeologici (datati però al III-IV secolo[38]): tra i reperti si segnala, tra l'altro, un'iscrizione ebraica samaritana, che ha la peculiarità di essere l'unica epigrafe samaritana rinvenuta al di fuori della Palestina,[38] il che fa supporre agli studiosi che la sinagoga siracusana potesse appartenere al ramo ebraico dei Samaritani; anche la scritta rinveuta nella sinagoga medievale di Ortigia (posta nell'attuale chiesa di San Giovanni Battista) è samaritana.[38]
^L'imperatore Basilio I il Macedone, verso la fine dell'assedio, decide di dirottare una spedizione per la Siria verso Siracusa, ma, a detta del suo ammiraglio Adriano, è troppo tardi, perché gli Arabi hanno già conquistato la città, egli quindi non arriva in Sicilia.[45] Vi è poi un'altra credenza, secondo la quale l'imperatore bizantino sarebbe stato troppo impegnato a terminare la Nea Ekklesia, da dedicare all'arcangelo Michele (nelle fonti successive, all'arcangelo Gabriele), non potendo quindi mandare truppe nell'assedio; da qui il detto della cronografia bizantina, secondo la quale la Nea Ekklesia costò all'Impero la perdita di Siracusa.[46]
^Sulla sorte ultima che spettò agli abitanti di Siracusa, compresi quelli che fino alla fine si trincerarono in Ortigia, le cronache non sono concordi: è stato scritto anche un falso codice arabo sulla Siracusa islamica (per diverso tempo ritenuto da molti veritiero), ma essa resta un fitto mistero. Secondo lo storico islamista Giovanni Battista Rampoldi, autore degli Annali musulmani, rimasero nelle carceri aretusee 4.000 abitanti, in seguito divenuti liberi cittadini in Ortigia (altrettanti, dice il Rampoldi, ne vennero liberati ad al-Qayrawan, la capitale dei conquistatori)[49]; non è d'accordo con lui l'arabista Michele Amari, che legge di una Siracusa ridotta in cenere, senza più anima viva al suo interno.[50] Più emblematica l'anglosassone Cronaca araba di Cambridge, secondo la quale i prigionieri siracusani vennero riscattati da uno sconosciuto nell'anno 885 (6393 della cronaca), nelle carceri di Palermo, senza dire quanti fossero né dove si recarono.[45][51]
^Per approfondire i primi approcci dei Normanni in Africa (che nel 1135 istituiranno il Regno normanno d'Africa), e che videro più che altro sconfitte normanne e vittorie arabe, vd. Alfredo Breccia, Rivista Processi storici e politiche di pace, n. 11-12, 2012. Per una cronaca più dettagliata su quelle spedizioni: Camillo Manfroni, Storia della marina italiana: Dalle invasioni barbariche al Trattato di Ninfeo (anni di C.400-1261), 1899, pp. 183-184.
^Le parole di Idrisi disorientano gli studiosi odierni, poiché si tratta degli anni appena successivi all'ultimo violento saccheggio arabo (Idrisi scrive tra il 1139 e il 1154[59]), inoltre stride con quanto afferma su Ortigia lo storico normanno Ugo Falcando (Liber De Regno Sicilie, XII secolo) che invece parla di una città desolata e incapace di difendersi.[59]
^Le prime incursioni turche si verificano già nel 1528;[72] nel 1550 è il corsaro Dragut a fare incursione nel siracusano,[73] seguito da Piyale Paşa, che nel 1560 assedia l'entroterra della fortezza;[74] nel 1561 sbarca nuovamente Dragut,[75] mentre nel 1573, a seguito della battaglia di Lepanto, la Sublime Porta allestisce una poderosa flotta e la fa sbarcare a Fontane Bianche; le forze del Regno di Sicilia riescono a contrastarla e farla desistere dall'invasione.[76]
^Tra il '39 e il '41, ad esempio, la fortezza è testimone di due cruenti scontri tra i soldati spagnoli e il viceré Ferrante I Gonzaga: nel primo episodio i soldati sono condannati a morte dal conte mantovano, nel secondo episodio altri soldati spagnoli, provenienti da Monastir, vogliono vendicarsi del Gonzaga e portano scompiglio tra le vie di Ortigia (in questa occasione viene distrutto l'archivio del palazzo arcivescovile). Gonzaga si rifugia al castello Maniace[80] e solo l'intervento dell'ammiraglio genovese Andrea Doria pone fine alla rivolta.[81]
^Nel 1802 gli Stati Uniti d'America spediscono la giovane marina statunitense a Siracusa, allacciando con questa città - prima tra le siciliane - rapporti politici e commerciali.[99] Nel 1803 gli americani si stabiliscono nel porto aretuseo per affrontare gli Stati africani (Tunisi, Tripoli, Algeri), che ricattano i suoi mercanti. Siracusa quindi li accoglie. La loro presenza non crea incidenti diplomatici con l'Inghilterra. Dal 1803 al 1807 la fortezza è assiduo ricovero dei soldati della marina americana.[100] Il consolato americano viene allestito nel palazzo nobiliare degli Abela.[101] Viene aperto anche un ospedale per i feriti di guerra, rivolto agli statunitensi.[102] Nel 1848 gli Stati Uniti tornano a chiedere che Siracusa diventi la loro base principale mediterranea ma ottengono un rifiuto dal comitato rivoluzionario siciliano (nel '48 l'isola di Sicilia non fa momentaneamente parte della corona borbonica).[103]
^Nel 1798 lo zarPaolo I di Russia era in stretti legami con i Regni di Napoli e Sicilia, per cui, quando la flotta francese si dirige verso le coste siciliane, egli è tra i primi a offrire alleanza ai Borbone, con i quali s'impegna, nel novembre di quell'anno, a inviare a protezione dei sudditi siciliani la flotta del Nord e vari contingenti di soldati russi.[104] La città era stata scelta come principale base russa nel Mediterraneo fin dall'anno 1788 (era stata l'imperatrice Caterina II di Russia a richiedere l'utilizzo del suo porto durante la guerra russo-turca), ma all'epoca vigeva un patto di neutralità che la città rispettava e che non consentiva all'interno del suo porto la presenza di più di tre vascelli da guerra per volta[105] (due secondo le fonti francesi;[106] numero che sarà infine platealmente violato da Nelson nel 1798[107]), le navi russe quindi non erano state accolte. Vengono invece accolte quando russi e inglesi diventano alleati contro Napoleone Bonaparte, per poi essere un'altra volta rifiutate, dal 1807, quando con la pace di TilsitAlessandro I di Russia diventa alleato di Napoleone.[108]
^Difatti, quando nella metà del Novecento viene fatto un nuovo censimento, risulta che i 23.000 abitanti di Ortigia rappresentano adesso solo il 30% della popolazione totale di Siracusa, la quale nel frattempo (sostenuta dall'immigrazione interna) ha nuovamente ripopolato gli altri suoi quartieri d'epoca greca.[113]
^Lo storico d'arte siracusano Enrico Mauceri, che ha vissuto il periodo del primo sviluppo urbano al di fuori di Ortigia, così scrive riguardo la distruzione delle fortificazioni:
«[...] mio padre sentiva in cuore suo il peso delle fortificazioni spagnole per lui simbolo di una esosa tirannide, ed anelava alla liberazione ed alla luce. E difatti gioì quando il piccone si sferrò sui baluardi ed un nuovo quartiere sorse sulla loro area, con vie larghe ed ariose. Ma nella furia demolitrice non furono ahimè risparmiate le belle porte ricche di marmi e di stemmi che nel loro primo barocco spagnolo palesavano la mano sapiente di un artista. È un rimpianto, purtroppo, che oggi ritorna spontaneo alla memoria...»
(Enrico Mauceri, Memoria dei moti del 1837 in Siracusa, 1939, p. 1059.)
^Sulla possibile estensione antica di Ortigia vd. anche Francesco Saverio Cavallari 1883, cap. 2 L'isola di Ortigia, su arachne.uni-koeln.de (archiviato dall'url originale il 26 febbraio 2022).
^Diodoro Siculo, Bib. Hist. V 3,3-4. Cfr. Anna Maria Corradini, Enna: storia e mitologia attraverso le fonti classiche, 1991, p. 20. Vd. anche Vito Teti, Storia dell'acqua, 2013, p. 48.
^Ovidio, Le metamorfosi, libro V, vv. 495-499. Cfr. Vittorio Sermonti, Le Metamorfosi di Ovidio, 2014; Letteratura, lingua e società in Sicilia: studi offerti a Carmelo Musumarra, 1989, pp. 16-19.
^Pindaro, Pitica, II, 7. Karl Otfried Müller, Prolegomeni allo studio scientifico della mitologia., 1991, p. 97.
^Vd. anche Karl Otfried Müller, Prolegomeni allo studio scientifico della mitologia., 1991, p. 97.
^Cfr. Lehnus 2004, p. 84 in Francesca Mattaliano 2012, p. 125, n. 29.
^abMarcella Pisani, La terracotta di Dionisio: Breve storia delle ricerche nell'area del tempio ionico in Per Françoise Fouilland: scritti di archeologia (a cura di), 2021, pp. 84-101.
^abCfr. Sergio Aiosa, Un palazzo dimenticato: I tyranneia di Dionisio I ad Ortigia (Quaderni di Archeologia dell’Università di Messina, 2), 2001, pp. 94-110.
^Sulla Sicilia romana vd. Giacomo Manganaro, Per una storia della Sicilia romana in Politische Geschichte, 2016, pp. 442-461.
^Vd. Amore, Marciano vescovo, col. 693; Rizzo, 2006, p. 80.
^Salvatore Pricoco, Sicilia e Italia suburbicaria tra IV e VIII secolo, 1991, p. 146.
^H. Delehaye, Problemi di metodo agiografico: le coordinate agiografiche e le narrazioni in Agiografia Altomedievale, a cura di S. Boesch Gajano, Bologna, 1976, pp. 49-56.
^Santi Luigi Agnello, Chiese siracusane del VI secolo in Archivio storico siracusano, n.s. V, 1978-79, p. 133. Cfr. in Angela Scandaliato, Nuccio Mulè, La sinagoga e il bagno rituale degli ebrei di Siracusa, 2002, p. 20.
^Giuseppe Agnello, Santi Luigi Agnello, Il Duomo di Siracusa ed i suoi restauri, 1996, p. 46.
^Rivista di studi bizantini e neoellenici, vol. 40, 2004, p. 39.
^Michele Amari, Storia dei Musulmani di Sicilia, vol. 1, 1854, pp. 405-406.
^Francesco Gabrieli, Umberto Scerrato, Paul Balog, Gli Arabi in Italia: cultura, contatti e tradizioni, 1985, p. 235; Vito Salierno, I musulmani in Italia, secoli IX-XIX, 2006, p. 35.
^Michele Amari, Storia dei Musulmani di Sicilia, vol. 1, 1854, p. 406 e n.1.
^Chronic. Cantabrig.Apud. Greg. Rer. Arabic. Script. pag. 43. 1. Cfr. S. Privitera, Storia di Siracusa, 1879, p. 601; Michele Amari, Biblioteca arabo-sicula, vol. 1, 1880, p. 279.
^Alberto Leoni, La Croce e la Mezzaluna, 2020, cap. 6; Salvatore Russo, Melo Minnella, Siracusa medioevale e moderna, 1992, p. 43.
^Giuseppe Michele Agnello, L’architettura normanna a Siracusa - La ricostruzione della diocesi di Siracusa al tempo di Ruggero il granconte in Machina Philosophorum - Testi e studi dalle culture euromediterranee (a cura di), n. 42, 2014, pp. 1-35.
^Viviana Mulè in Mauro Perani, Materia giudaica. Rivista dell'Associazione italiana per lo studio del giudaismo (2004) vol. 1-2, 2004, p. 232; Lia Pierotti Cei, Madonna Costanza: regina di Sicilia e d'Aragona, 1995, p. 270.
^Cit. Enrico Mauceri in Archivio storico per la Sicilia orientale, vol. 3, 1906, p. 419.
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^Teresa Carpinteri, Siracusa, città fortificata, 1983, p. 15.
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