Dopo aver lasciato l'Espresso sera, Fava si trasferì a Roma, dove condusse Voi e io, una trasmissione radiofonica su Radiorai. Continuò a scrivere collaborando con Il Tempo e il Corriere della Sera e, soprattutto, scrivendo la sceneggiatura di Palermo or Wolfsburg, film di Werner Schroeter tratto dal suo romanzo Passione di Michele. Nel 1980 il film vinse l'Orso d'Oro. Continuava anche l'attività teatrale, iniziata anni prima e culminata con alcune rappresentazioni delle sue opere[3].
Direttore del Giornale del Sud
Nella primavera del 1980 gli venne affidata la direzione del Giornale del Sud. Inizialmente accolto con scetticismo, Fava creò un gruppo redazionale ex novo, affidandosi a giovani ed inesperti cronisti improvvisati. Tra di essi figuravano il figlio Claudio, Elena Brancati, Rosario Lanza, Riccardo Orioles, Michele Gambino, Antonio Roccuzzo, Fabio Tracuzzi[5] che l'avrebbero seguito nella successiva esperienza lavorativa. A Franco La Magna venne affidato l'incarico di curare le pagine culturali, il c.d. "Paginone".
Pippo Fava fece del Giornale del Sud un quotidiano coraggioso. L'11 ottobre 1981 pubblicò Lo spirito di un giornale, un articolo in cui chiariva le linee guida che faceva seguire alla sua redazione: basarsi sulla verità per «realizzare giustizia e difendere la libertà»[6]. Fu in quel periodo che si riuscì a denunciare le attività di Cosa nostra, attiva nel capoluogo etneo soprattutto nel traffico della droga.
Per un anno il Giornale del Sud continuò senza soste il suo lavoro. Il tramonto della gestione Fava fu segnato da tre avvenimenti: la sua avversione all'installazione di una base missilistica a Comiso (poi effettivamente realizzata), la sua presa di posizione a favore dell'arresto del boss Alfio Ferlito e l'arrivo di una nuova cordata di imprenditori al giornale. I nomi dei nuovi editori dicevano poco: Salvatore Lo Turco, Gaetano Graci, Giuseppe Aleppo, Salvatore Costa. Si trattava di «tipi ambiziosi, astuti, pragmatici», come il figlio Claudio spiegava ne La mafia comanda a Catania. Poi si scoprì che Lo Turco frequentava il boss Nitto Santapaola, e che Graci andava a caccia con il boss.
Inoltre erano iniziati gli atti di forza contro la rivista. Venne organizzato un attentato, a cui scampò, con una bomba contenente un chilo di tritolo. In seguito, la prima pagina del Giornale del Sud che denunciava alcune attività di Ferlito fu sequestrata prima della stampa e censurata, mentre il direttore era fuori[2].
Di lì a poco Fava venne licenziato. I giovani giornalisti occuparono la redazione, ma a nulla valsero le loro proteste. Per una settimana rimasero chiusi nella sede, ricevendo pochi attestati di solidarietà. Dopo un intervento del sindacato, l'occupazione cessò. Poco tempo dopo, il Giornale del Sud avrebbe chiuso i battenti per volontà degli stessi editori[3].
Direttore de I Siciliani
«Qualche volta mi devi spiegare chi ce lo fa fare, perdìo. Tanto, lo sai come finisce una volta o l'altra: mezzo milione a un ragazzotto qualunque e quello ti aspetta sotto casa…[7]»
(Pippo Fava)
Rimasto senza lavoro, Fava si rimbocca le maniche e con i suoi collaboratori fonda una cooperativa, Radar, per poter finanziare un nuovo progetto editoriale. Praticamente senza mezzi operativi (solo due rotative Roland di seconda mano acquistate grazie alle cambiali) ma con molte idee, il gruppo riesce a pubblicare il primo numero della rivista nel novembre 1982. La nuova rivista, con cadenza mensile, si chiama I Siciliani.
Nell'anno successivo, Rendo, Salvo Andò e Graci cercarono di comprare il giornale per poterlo controllare, ottenendo solo rifiuti. I Siciliani continuò ad essere una testata indipendente. Continuò a mostrare le foto di Santapaola con politici, imprenditori e questori. Immagini conosciute dalle forze di polizia ma non usate contro i collusi[3].
Il 28 dicembre 1983 rilascia la sua ultima intervista a Enzo Biagi nella trasmissione Film Story in onda sulla Televisione della Svizzera Italiana, sette giorni prima del suo assassinio. Raccontava Fava[9]:
«Mi rendo conto che c'è un'enorme confusione che si fa sul problema della mafia.[...] I mafiosi stanno in Parlamento, i mafiosi a volte sono ministri, i mafiosi sono banchieri, i mafiosi sono quelli che in questo momento sono ai vertici della nazione. [...] Non si può definire mafioso il piccolo delinquente che arriva e ti impone la taglia sulla tua piccola attività commerciale, questa è roba da piccola criminalità, che credo abiti in tutte le città italiane, in tutte le città europee. Il problema della mafia è molto più tragico e più importante, è un problema di vertice nella gestione della nazione ed è un problema che rischia di portare alla rovina, al decadimento culturale e definitivo l'Italia.[10]»
("I mafiosi stanno in Parlamento")
L'omicidio e i funerali
Alle ore 21:30 del 5 gennaio 1984 Giuseppe Fava si trovava in via dello Stadio e stava andando a prendere la nipote che recitava in Pensaci, Giacomino! al teatro Verga. Aveva appena lasciato la redazione del suo giornale. Non ebbe il tempo di scendere dalla sua Renault 5 che fu ucciso da cinque proiettili calibro 7,65 alla nuca[11]. Inizialmente, l'omicidio fu etichettato come delitto passionale, sia dalla stampa sia dalla polizia. Si disse che la pistola utilizzata non fosse tra quelle solitamente impiegate in delitti a stampo mafioso. Si iniziò anche a cercare tra le carte de I Siciliani, in cerca di prove: un'altra ipotesi era il movente economico, per le difficoltà in cui versava la rivista[12].
Anche le istituzioni, in primis il sindacoAngelo Munzone, diedero peso a questa tesi, tanto da evitare di organizzare una cerimonia pubblica con la presenza delle cariche cittadine[13]. L'onorevole Nino Drago chiese una chiusura rapida delle indagini perché «altrimenti i cavalieri potrebbero decidere di trasferire le loro fabbriche al nord». Il sindaco ribadì che la mafia a Catania non esisteva. A ciò ribatté l'alto commissarioEmanuele De Francesco, che confermò che «la mafia è arrivata a Catania» con certezza, e il questore Agostino Conigliaro, sostenitore della pista del delitto di mafia[12].
Il funerale si tenne nella piccola chiesa di Santa Maria della Guardia e poche persone diedero l'ultimo saluto al giornalista[14]: furono soprattutto giovani e operai ad accompagnare la bara. Inoltre, ci fu chi fece notare che spesso Fava scriveva dei funerali di stato organizzati per altre vittime della mafia, a cui erano presenti ministri e alte cariche pubbliche: il suo, invece, fu disertato da molti, gli unici presenti erano il questore, alcuni membri del PCI e il presidente della regioneSanti Nicita[12].
Una seconda cerimonia funebre con il feretro e grande partecipazione popolare e delle locali autorità venne celebrata presso la Basilica di San Paolo nel paese natale, ove venne infine seppellito nella cappella di famiglia nel locale cimitero monumentale.
Le indagini e i processi
Successivamente, l'evidenza delle accuse lanciate da Fava sulle collusioni tra la mafia e i cavalieri del lavoro catanesi viene rivalutata dalla magistratura, che avvia vari procedimenti giudiziari. L'attacco frontale che la mafia aveva messo in atto nei confronti delle istituzioni non poté passare inosservato[15]. Un anno dopo il delitto, il giudice istruttore Sebastiano Cacciatore firmò un mandato di cattura nei confronti di un ragazzo detenuto nel carcere di Piazza Lanza, Domenico Lo Faro[16], che confessò l'omicidio in una lettera alla fidanzata e ad un sacerdote ma non venne creduto e l'indagine archiviata[17][18]. Qualche mese dopo, nel luglio 1984 un detenuto catanese nel carcere di Belluno, Luciano Grasso, confessò il delitto ma risultò pure lui un mitomane[19]. L'anno successivo, un rapinatore catanese di mezza tacca detenuto nel carcere di Torino, Francesco Vanaria, rese ai magistrati dichiarazioni sul caso Fava, accusando il boss Marcello D'Agata (uno dei fedelissimi di Santapaola) di essere l'assassino ma nemmeno lui venne considerato attendibile[20]. Dopo un primo stop nel 1985, per la sostituzione del sostituto procuratore aggiunto per "incompatibilità ambientale"[11], nel 1989 arrivarono le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Giuseppe Pellegriti, ex mafioso di Adrano, il quale affermava di aver incaricato un suo uomo di assassinare Fava per fare un favore a Santapaola[21]; tuttavia Pellegriti venne denunciato per calunnia dal giudice Giovanni Falcone poiché le sue dichiarazioni si rivelarono inventate[22].
Le indagini ripresero a pieno ritmo solo nel 1993, a seguito delle accuse del collaboratore di giustizia Claudio Severino Samperi, che condussero al maxi-blitz con 156 arresti contro il clan Santapaola denominato "Orsa Maggiore" e consentirono di incriminare Nitto Santapaola e il nipote Aldo Ercolano rispettivamente come mandante ed esecutore materiale dell'omicidio Fava[23]. L'anno successivo si aggiunsero anche le dichiarazioni di Maurizio Avola, il quale si autoaccusò di aver avuto un ruolo operativo nel delitto e indicò i nomi degli altri assassini[24]. Nel 1998 si è concluso a Catania il processo denominato "Orsa Maggiore 3" dove per l'omicidio di Giuseppe Fava sono stati condannati all'ergastolo il boss mafioso Nitto Santapaola, ritenuto il mandante, Marcello D'Agata e Francesco Giammuso come organizzatori, e Aldo Ercolano come esecutore assieme al reo confessoMaurizio Avola. Nel 2001 le condanne all'ergastolo sono state confermate dalla Corte d'appello di Catania per Nitto Santapaola e Aldo Ercolano, accusati di essere stati i mandanti dell'omicidio, mentre sono stati assolti Marcello D'Agata e Franco Giammuso che in primo grado erano stati condannati all'ergastolo come esecutori dell'omicidio. L'ultimo processo si è concluso nel 2003 con la sentenza della Corte di cassazione che ha condannato Santapaola ed Ercolano all'ergastolo e Avola a sette anni patteggiati.
Sono stati due i pentiti protagonisti del processo: Luciano Grasso e Maurizio Avola. Entrambi sono stati presi di mira da La Sicilia, che ha annunciato il pentimento di Grasso prima ancora che avesse potuto testimoniare contro gli assassini di Fava (poi effettivamente l'avrebbe fatto, ma ad un altro inquirente) e che ha cercato più volte di screditare Avola tramite Tony Zermo. Avola, in particolare, spiegò che Santapaola organizzò l'omicidio per conto di alcuni «imprenditori catanesi» e di Luciano Liggio: nessuno di questi però è stato condannato come mandante[11].
Stile
Fava giornalista
«Io ho un concetto etico del giornalismo. Ritengo infatti che in una società democratica e libera quale dovrebbe essere quella italiana, il giornalismo rappresenti la forza essenziale della società. Un giornalismo fatto di verità impedisce molte corruzioni, frena la violenza della criminalità, accelera le opere pubbliche indispensabili, pretende il funzionamento dei servizi sociali, tiene continuamente allerta le forze dell'ordine, sollecita la costante attenzione della giustizia, impone ai politici il buon governo.»
(Pippo Fava. Lo spirito di un giornale[25]. 11 ottobre 1981)
«Non era Fava a firmare le inchieste di mafia che comparivano sui Siciliani. Quelle inchieste le firmavamo io, Gambino, o altri colleghi, nessuno dei quali è stato ammazzato. Noi riuscivamo a illuminare un pezzo, a mostrare una porzione di verità che veniva subito riassorbita. Fava era di più. Lui sapeva descrivere come nessun altro al mondo, puntava la luce sulla normalità. Uno così non si poteva lasciare vivere. E la normalità è quella di cui oggi non ci si occupa.»
Giuseppe Fava era uno strenuo sostenitore della verità. L'articolo Lo spirito di un giornale fu il suo manifesto programmatico, in cui sottolineò l'importanza di denunciare attraverso la stampa per sminuire il potere della criminalità e per «realizzare giustizia e difendere la libertà». Il giornalista si dedicò soprattutto alla denuncia della mafia, il male che attanagliava la sua terra, e delle sue collusioni con la politica. Fu anche accostato a Pier Paolo Pasolini per le sue critiche alla classe dirigente[27]. D'altro canto, l'intellettuale palazzolese fu anche apprezzato per i suoi lavori riguardanti lo sport e la cultura, a cui si dedicò per tutto l'arco della sua carriera.
Fava scrittore
Riccardo Orioles, uno dei suoi più stretti collaboratori, lo pone tra le massime espressioni della letteratura italiana in Sicilia. Lo definisce uno scrittore minore e dimenticato, ma anche uno che, a differenza dei grandi come Luigi Pirandello o Giovanni Verga, non ha abbandonato i suoi ideali giovanili per diventare un reazionario.
Orioles definisce il suo stile popolare, il suo linguaggio denso e forte, il suo stile semplice. I suoi personaggi erano tutti ben connotati psicologicamente, ma solitamente erano ben schierati tra potenti ed oppressi. Il suo capolavoro è stato Passione di Michele, pubblicato nel 1980[28].
L'eredità
«Essere siciliani vuol dire, tra l'altro, vivere nell'antica ed eterna contraddizione tra infelicità e speranza.»
(Trasmissione Blitz di Gianni Minà (1983).)
I Siciliani
L'omicidio di Giuseppe Fava non impedì alla sua rivista, I Siciliani, di continuare ad uscire. Il giorno dopo la sua morte la redazione riaprì come se nulla fosse successo. Anzi, la sua morte servì a trovare nuova gente che collaborasse. Orioles raccontò che quel giorno si presentò un gruppo di giovani di Sant'Agata li Battiati iscritti alla FGCI pronti a distribuire il giornale. Per tre anni la rivista portò avanti la sua campagna antimafia, malgrado le crescenti difficoltà, e contribuì ad animare varie manifestazioni a cui partecipavano persone di qualsiasi schieramento politico[28].
Fondazione Fava
L'attività antimafia di Pippo Fava e de I Siciliani è stata portata avanti anche dalla fondazione Fava. Scopo principale della Fondazione, che non riceve finanziamenti dallo Stato, è quello di stimolare varie attività contro la delinquenza, tra cui la creazione di centri di aggregazione, l'organizzazione di convegni ed eventi culturali rivolti soprattutto alla scuola, la pubblicazione di libri e la messa in scena di opere teatrali[29].
Dal gennaio 2007 è stato istituito un Premio Nazionale "nient'altro che la verità: scritture e immagini contro le mafie" riservato a chi già è affermato nel campo giornalistico, che si svolge ogni 5 gennaio a Catania, e un Premio Giovani riservato a coloro i quali si muovono nei circuiti meno noti e alternativi dell'informazione, che si svolge ogni 4 gennaio a Palazzolo Acreide, organizzato dal Coordinamento Giuseppe Fava[30]. È possibile sottoporre le proprie opere all'attenzione del coordinamento o della fondazione inviando il materiale entro il 30 novembre di ogni anno.
Dal gennaio 2010 è stato istituito su iniziativa del Coordinamento Giuseppe Fava di Palazzolo Acreide[31], in collaborazione con Fondazione Fava, Libera (Siracusa) - Associazioni, Nomi e Numeri contro le Mafie e Associazione Palazzolese Antiracket, un premio riservato alle scuole primarie e secondarie di primo e secondo grado, che vede impegnati gli studenti con diverse tipologie di lavori contro le mafie.
2011: giornalisti minacciati dalla 'ndrangheta [36] (sezione Nazionale) e In memoria di Pippo Fava[37] (sezione Nazionale) e Gaetano Alessi[38] (sezione Giovani).
Nel 2011 Antonio Roccuzzo scrive Mentre l'orchestrina suonava Gelosia... Crescere e ribellarsi in una tranquilla città di mafia, un racconto autobiografico, in cui l'autore descrive e racconta la sua vita personale e quella lavorativa: l'inizio e l'excursus della sua carriera, l'incontro con Pippo Fava e l'esperienza giornalistica e umana vissuta con questo grande giornalista.
Nel 2012 viene realizzato il cortometraggio La ricotta e il caffe', prodotto da Corrado Azzollini per la Draka production, con la regia di Sebastiano Rizzo, tra gli attori Luca Ward e Barbara Tabita.
Il 5 gennaio 2014, in prima visione su Rai 3, è andato in onda il film-documentarioI ragazzi di Pippo Fava. Inizialmente esso doveva andare in onda in seconda serata ma la sua programmazione è stata anticipata, a seguito dei risultati di una petizione indetta dagli autori del progetto WikiMafia.[42]
Sempre nel 2014 Edizioni Bietti ha pubblicato A che serve essere vivi[43], il primo dei tre volumi della raccolta dei testi teatrali di Giuseppe Fava, opera a cura dello scrittore Massimiliano Scuriatti.
Il 23 maggio 2018, in occasione della giornata della legalità, va in onda su Rai Uno la fiction Prima che la notte, dedicata a Giuseppe Fava.
A maggio 2020 per la collana a fumetti "Chiedi chi erano gli eroi" esce il terzo volume dedicato a Giuseppe Fava intitolato: "Pippo Fava - Lo spirito di un giornale".[44][45][46]
^ab Vincenzo Musacchio, Angeli contro le mafie, su youblisher.com, Scuola di Legalità "Don Giuseppe Diana" di Roma e del Molise, 50-53. URL consultato il 5 gennaio 2017 (archiviato il 12 maggio 2016).
^abcde Sebastiano Gulisano, Giuseppe "Pippo" Fava, su reti-invisibili.net, Reti invisibili (da Polizia e Democrazia), 6 ottobre 2007. URL consultato il 5 gennaio 2018 (archiviato dall'url originale il 6 ottobre 2007).
^Giuseppe Fava, su girodivite.it. URL consultato il 5 gennaio 2020 (archiviato il 29 aprile 2009).
^ Giuseppe Fava, I quattro cavalieri dell’apocalisse mafiosa, su girodivite.it, Girodivite, 4 gennaio 2004. URL consultato il 9 gennaio 2020 (archiviato dall'url originale il 5 giugno 2006).
^ Giuseppe Fava, Lo spirito di un giornale, su girodivite.it, Girodivite - Segnali dalle città invisibili, 11 ottobre 1981. URL consultato il 23 maggio 2018 (archiviato il 25 aprile 2017).
^ Paola Roccella, Fava, antieroe contro la mafia, su catania.meridionews.it, MeridioNews, 8 gennaio 2011. URL consultato il 23 maggio 2018 (archiviato il 23 maggio 2018).
^ab Riccardo Orioles, Cinque Gennaio, su girodivite.it, Girodivite - Segnali dalle città invisibili, 5 aprile 2006. URL consultato il 9 gennaio 2020 (archiviato il 7 giugno 2006).
^ Pina La Villa, Giuseppe Fava: Un anno, su girodivite.it, Girodivite, 6 gennaio 2004. URL consultato il 9 gennaio 2020 (archiviato dall'url originale l'11 maggio 2006).
Claudio Fava, La mafia comanda a Catania 1960-1991. Roma-Bari, Laterza, 1992. ISBN 88-420-3811-3
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Franco La Magna, Lo schermo trema.Letteratura siciliana e cinema, Città del Sole Edizioni, Reggio Calabria, 2010, ISBN 978-88-7351-353-7
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