«Io ho infatti la ferma convinzione che, come Reinach afferma, Platone sia il "più grande filosofo in assoluto" comparso sulla terra, e che il compito di chi lo vuole comprendere e fare comprendere agli altri, pur avvicinandosi sempre di più alla Verità, non può mai avere fine.»
(Giovanni Reale, Platone. Alla ricerca della sapienza segreta, 1998, p. 12)
Morì il 15 ottobre 2014, a 83 anni, nella sua casa di Luino.[3]
Pensiero
La sua tesi di fondo è la seguente: la filosofia greca ha creato quelle categorie e quel peculiare modo di pensare che hanno consentito la nascita e lo sviluppo della scienza e della tecnica dell'Occidente.
I suoi interessi scientifici spaziano lungo tutto l'arco del pensiero anticopagano e cristiano, e i suoi contributi di maggior rilievo hanno toccato via via Aristotele, Platone, Plotino, Socrate e Agostino. Reale ha studiato ognuno di questi autori andando, in un certo senso, 'contro-corrente' e inaugurandone, secondo l'opinione di Cornelia de Vogel, una lettura nuova.[4]
La rilettura che ha dato di Aristotele contesta l'interpretazione di Werner Jaeger, secondo il quale gli scritti aristotelici seguirebbero positivisticamente un andamento storico-genetico che partirebbe dalla teologia, passerebbe per la metafisica, per approdare infine alla scienza; Reale ha sostenuto invece la fondamentale unità del pensiero metafisico dello Stagirita.[5]
Ne La Filosofia antica, mette in evidenza come il pensiero di Teofrasto si diffuse per l'aspetto scientifico con un'ampiezza del tutto paragonabile a quella del maestro Aristotele, rivelando però uno scarso spessore nella speculazione filosofica. Da Stratone in poi, ciò provocò un ripiegamento della scuola peripatetica verso l'ambito della fisica e delle scienze empiriche.[6]
Per quel che riguarda Platone, Reale, importando in Italia gli studi della scuola platonica di Tubinga,[7] ha messo in crisi l'interpretazione romantica di Platone stesso, che risale a Friedrich Schleiermacher,[8] e ha voluto rivalutare il senso e la portata delle cosiddette «dottrine non scritte», vale a dire gli insegnamenti che Platone ha tenuto solo oralmente all'interno dell'Accademia e che conosciamo dalle testimonianze dei discepoli; in questo senso, Platone risulterebbe essere il testimone e l'interprete più geniale di quel peculiare momento della civiltà greca che passava dalla cultura dell'oralità a quella della scrittura.
Negli studi su Plotino, ha contestato la tesi di fondo di Eduard Zeller che vedeva nel grande neoplatonico il principale teorico del panteismo e dell'immanentismo; al contrario, Reale ha riletto Plotino come il campione della trascendenza metafisica dell'Uno.
L'interpretazione che Reale ha dato di Socrate, analogamente, si propone di risolvere le aporie della cosiddetta questione socratica, entrata in un vicolo cieco dopo gli studi di Olof Gigon, secondo cui di Socrate non possiamo sapere nulla con certezza; Reale ha inaugurato, invece, un nuovo modo di interpretare Socrate, non solo cercando di risolvere dall'interno le testimonianze contraddittorie degli allievi, ma soprattutto guardando al contesto della filosofia greca prima di Socrate e dopo Socrate: in questo modo, balzerebbe agli occhi la scoperta socratica del concetto di psyché come essenza e nucleo pensante dell'uomo.
«Socrate diceva che il compito dell'uomo è la cura dell'anima: la psicoterapia, potremmo dire. Che poi oggi l'anima venga interpretata in un altro senso, questo è relativamente importante. Socrate per esempio non si pronunciava sull'immortalità dell'anima, perché non aveva ancora gli elementi per farlo, elementi che solo con Platone emergeranno. Ma, nonostante più di duemila anni, ancora oggi si pensa che l'essenza dell'uomo sia la psyché. Molti, sbagliando, ritengono che il concetto di anima sia una creazione cristiana: è sbagliatissimo. Per certi aspetti il concetto di anima e di immortalità dell'anima è contrario alla dottrina cristiana, che parla invece di risurrezione dei corpi. Che poi i primi pensatori della Patristica abbiano utilizzato categorie filosofiche greche, e che quindi l'apparato concettuale del cristianesimo sia in parte ellenizzante, non deve far dimenticare che il concetto di psyché è una grandiosa creazione dei greci. L'Occidente viene da qui.»
(G. Reale, Storia della filosofia antica, Milano, Vita e pensiero, 1975)
Infine, per quanto riguarda Agostino, gli studi di Reale tenderebbero a ricollocare questo autore nel contesto neoplatonico della tarda antichità e quindi nel momento dell'impatto del Cristianesimo con la filosofia greca, cercando di scrostarlo di tutte le successive interpretazioni dell'agostinismo medioevale.
Reale ritiene, poi, che la cifra spirituale che caratterizza il pensiero occidentale sia costituita dalla filosofia creata dai Greci. È stato infatti il logos greco a caratterizzare le due componenti essenziali del pensiero occidentale e precisamente a fornire gli strumenti concettuali per elaborare la Rivelazione cristiana, dando luogo, così, a quella peculiare mentalità da cui sono scaturite la scienza e la tecnica. Ma se la cultura occidentale non si capisce senza la filosofia dei Greci, questa a sua volta non si capisce senza la metafisica come studio dell'"Unità dell'Essere".[9] Il lavoro che Reale svolge, studiando i grandi pensatori del passato, vuole anche servire a un confronto fra la metafisica antica e quella moderna. La preferenza che accorda a Platone dipende dal fatto che il filosofo ateniese è, con la "seconda navigazione" di cui parla nel Fedone, il vero creatore di questa problematica.
Reale, studioso di fama internazionale,[10][11] si fa così portavoce di un «meditato ritorno alle radici della nostra cultura» attraverso la riproposta dei classici, in particolare Platone. Di quest'ultimo, Reale – in sintonia con la Scuola di Tubinga – rinnova l'interpretazione, mettendo in luce la primaria importanza delle cosiddette «dottrine non scritte» (agrafa dogmata) di cui riferiscono gli allievi di Platone stesso (Aristotele in primis).
Nel suo scrittoPer una nuova interpretazione di Platone (1986), fa affiorare l'immagine di un Platone diverso, un Platone orale e – in certo senso – dogmatico: del resto, non è forse Platone stesso (ad esempio, nella Lettera VII) a garantirci che la sua filosofia dev'essere ricercata altrove rispetto agli scritti? Lo stesso corpus degli scritti platonici, giuntoci nella sua interezza (circostanza, questa, unica nella storiografia del pensiero greco), non presenta, invero, quell'unitarietà sistematica che ci si dovrebbe attendere, il che, ancora una volta, depone a favore della tesi secondo cui il vero Platone andrebbe cercato altrove, e precisamente nelle «dottrine non scritte».
Studioso anche della Metafisica di Aristotele, Reale smaschererebbe la tesi fatta valere da Jaeger, secondo cui l'opera non presenterebbe un'unitarietà ma sarebbe piuttosto una sorta di “zibaldone filosofico” (e, in particolare, il libro XII risalirebbe – in forza del suo spiccato interesse teologico – alla giovinezza dello Stagirita): lungi dal risolversi in un coacervo di scritti risalenti a differenti epoche e contesti, la Metafisica di Aristotele – rileva Reale –[12] è un'opera profondamente unitaria, al cui centro c'è la definizione di metafisica come: a) scienza delle cause e dei principi primi, b) scienza dell'essere in quanto tale, c) scienza della sostanza, d) scienza teologica, e) scienza della verità.
Ne La saggezza antica (1995), sostiene che «tutti i mali di cui soffre l'uomo d'oggi hanno proprio nel nichilismo la loro radice» e che «un'energica cura di questi mali implicherebbe il loro sradicamento, ossia la vittoria sul nichilismo, mediante il recupero di ideali e valori supremi, e il superamento dell'ateismo». Ma quello che egli propone «non è affatto un ritorno acritico a certe idee del passato, ma l'assimilazione e la fruizione di alcuni messaggi della saggezza antica, che, se ben recepiti e meditati, possono, se non guarire, almeno lenire i mali dell'uomo d'oggi, corrodendo le radici da cui derivano».
In una siffatta prospettiva, può acquistare un valore eminentemente filosofico anche il pensiero di Seneca, a suo parere ingiustamente trascurato da una lunga tradizione che non gli avrebbe riconosciuto alcuna cittadinanza filosofica: in La filosofia di Seneca come terapia dei mali dell'anima, Reale riprende, ancora una volta, l'idea che la filosofia degli antichi – in questo caso, quella di Seneca – possa costituire un 'farmaco' per l'animo dilaniato dell'uomo moderno.[13]
Tra gli allievi di Reale vi sono: Roberto Radice, docente dell'Università Cattolica del Sacro Cuore, che si è dedicato al pensiero di Filone di Alessandria e dell'età ellenistica (in particolare dello Stoicismo) e che ha tradotto opere di Platone (Repubblica, Leggi, Lettere) di cui ha pubblicato in versione informatica il lessico; Maurizio Migliori,[14] dell'Università di Macerata, interprete del pensiero platonico; Giuseppe Girgenti, traduttore di Porfirio e del Neoplatonismo, e Vincenzo Cicero,[15] a cui si devono inedite traduzioni italiane di Schelling, Hegel, Trendelenburg, Natorp, Hildebrand e Heidegger.
Opere
Oltre al campo specifico della filosofia antica e tardo-antica, Reale si è occupato a vario titolo anche della storia della filosofia generale: per esempio, nella stesura del noto Manuale di filosofia per i licei edito da Editrice La Scuola e scritto insieme a Dario Antiseri, oltre alla direzione delle collane filosofiche «Classici della filosofia», «Testi a fronte» della Bompiani e «I Filosofi» per Laterza.
Oltre a questo, i suoi principali scritti sono i seguenti:
Nel 2006 ha pubblicato per Bompiani il poderoso volume I presocratici, da lui presentato come la «prima traduzione integrale» della versione tedesca del Die Fragmente der Vorsokratiker di Hermann Diels e Walther Kranz. Nonostante in Italia ne fosse già uscita nel 1969 una traduzione di Gabriele Giannantoni edita da Laterza, Reale ha sostenuto la presenza di lacune e manomissioni nella traduzione del Giannantoni, lacune e manomissioni che sarebbero dovute, a parere di Reale, all'ossequio all'ideologia e all'«egemonia culturalemarxista», secondo cui in quel periodo gli intellettuali di area comunista avrebbero dominato la scena in campo editoriale.[16]Luciano Canfora, in risposta alle accuse di Reale, ne ha sostenuto la natura «pubblicitaria» e l'«inconsistenza» del ragionamento.[17] Nella polemica sono intervenuti anche altri due studiosi: il primo è Mario Vegetti, il quale ha sostenuto che, se influenza c'è stata nell'edizione di Giannantoni, essa è stata di matrice idealistica, hegeliana e crociana e non marxista; il secondo studioso è Roberto Radice, il quale ha invece sostenuto che qualsiasi omissione è da evitare, specie se non è segnalata nel testo, e con riguardo alla presunta irrilevanza di taluni tagli operati da Giannantoni[18] sottolinea come «i capretti a volte segnano la storia del pensiero più di alcuni filosofi e togliere questi deliziosi animali dai frammenti, così come far sparire dei cavolfiori, potrebbe trasformarsi in una censura»[19].
Di Seneca, Reale ha poi curato la traduzione delle opere in "Seneca. Tutti gli scritti" del 1994.
^Cornelia de Vogel, Ripensando Platone e il Platonismo, Milano, Vita e Pensiero, 1990. ISBN 978-88-343-0296-5
^«Reale [...] dimostra la profonda unità concettuale di questi scritti di filosofia prima, mettendo in luce come Jaeger, nella sua tesi, sia condizionato dalla filosofia positivista e dalla teoria generale dell'evoluzione della cultura secondo le tre tappe di teologia-metafisica-scienza» (Note di copertina all'opera Il concetto di "filosofia prima" e l'unità della "Metafisica" di Aristotele, Milano, Bompiani, 2008. ISBN 978-88-452-6180-0).
^ Giovanni Reale (a cura di), Storia della filosofia antica (PDF), vol. III, pp. 149. URL consultato il 14 aprile 2019 (archiviato dall'url originale il 23 gennaio 2015).
«La fondazione della botanica fu il suo guadagno essenziale.»
^Pur riconoscendo a Giannantoni una statura di studioso di prim'ordine, Reale ha sostenuto che molti marxisti «non presentavano talune cose nella loro effettiva realtà» (dall'Archivio storico del Corriere della Sera del 21 novembre 2006).
Secondo Reale, pur non potendosi parlare di complotto, «nel testo di Laterza curato da Giannantoni mancano - in un'edizione chiamata l'unica integrale italiana - decine e decine di passi che ho elencato in 4 pagine all'inizio della mia traduzione dei Presocratici; ci sono inoltre indebite aggiunte assenti nell'originale. Una raccolta di tal fatta, nata assemblando anche vecchie versioni e tagliando pure molte note di queste ultime, ha l'effetto di svuotare le idee forti di codesti autori. Svuotare, ironizzare, occupare uno spazio e toglierlo ad altri, evitare un vero confronto: ecco la vecchia tattica che rimane ancora molto viva» (dall'Archivio storico del Corriere della Sera del 24 novembre 2006).
^«Naturalmente, sul piano pubblicitario, si comprende la auto-esaltazione: la mia traduzione è più completa della tua, come il mio bucato è più bianco del tuo. Ma anche la pubblicità bisognerebbe saperla fare. Ci sono lauree brevi da poco istituite in proposito. Particolarmente inconsistente appare il ragionamento, se pure così può definirsi, sviluppato dal Reale. Eccolo nella sintesi fornita dal suo intervistatore: Giannantoni era molto bravo (e questo lo sapevamo anche senza il supporto di Reale), Laterza è innocente del sopra menzionato «reato ideologico», la colpa è della «penetrazione» comunista. Sembra quasi di sognare. Ma questa è la caricatura dell'antica cantilena sui comunisti padroni dell'editoria italiana. Per confutare questa sciocchezza, anni fa, Norberto Bobbio si limitò a trascrivere i titoli del catalogo Einaudi. E infatti come negare l'affiliazione bolscevica di Bobbio? Che pena» (in Archivio storico Corriere della sera 21 novembre 2006).
^Si fa riferimento all'osservazione di Canfora secondo la quale le omissioni di Giannantoni riguarderebbero aspetti poco rilevanti per un marxista come il frammento 23 di Orfeo, «un malridotto frustulo papiraceo in cui si fa cenno ad un rituale misterico [...]. Queste, e consimili, sono le omissioni rimproverate dal neo-presocratico Reale». (Cfr.Ibidem)
^Osserva infatti Radice: «Sembrerebbe del tutto irrilevante sapere se Kant, quando scriveva la Critica della ragion pratica, mangiasse capretto o una particolare minestra, e credo che alla storia della filosofia questo poco interessi. Ma sapere se un orfico mangiasse o no capretto, può essere significativo dal punto di vista filosofico. Se si asteneva, allora era vegetariano e, come tale, non avrebbe condiviso la ritualistica greca in cui si consumavano le carni offerte alla divinità e si lasciavano ad essa gli aromi per segnare la distanza tra uomo e dio. In sostanza egli credeva, evitando il capretto, in una teologia in cui uomo e divino erano legati». (Cfr.Archivio storico Corriere della sera 24 novembre 2006) All'obiezione di Canfora ha risposto lo stesso Reale affermando: «Non è un capretto né una vacca quello che manca nel testo di Laterza curato da Giannantoni; mancano - in un'edizione chiamata l'unica integrale italiana - decine e decine di passi che ho elencato in 4 pagine all'inizio della mia traduzione dei Presocratici; ci sono inoltre indebite aggiunte assenti nell'originale. Una raccolta di tal fatta, nata assemblando anche vecchie versioni e tagliando pure molte note di queste ultime, ha l'effetto di svuotare le idee forti di codesti autori. Svuotare, ironizzare, occupare uno spazio e toglierlo ad altri, evitare un vero confronto: ecco la vecchia tattica che rimane ancora molto viva». (Cfr. Ibidem)
Roberto Radice, Claudio Tiengo (a cura di), Seconda navigazione. Omaggio a Giovanni Reale, Vita e Pensiero, Milano, 2015. ISBN 9788834329610
Giuseppe Grampa, "Ritornare ai Greci: intervista a Giovanni Reale sulla sua «Storia della filosofia antica»", Vita e Pensiero. Rivista culturale dell'Università Cattolica del Sacro Cuore, Vol. 9, Anno 1980.
Giovanni Reale, in Dizionario di filosofia, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2009.
Armando Torno, Il mio Platone bocciato all'università, in Corriere della Sera, intervista di Giovanni Reale, 3 gennaio 2014, p. 36.