Il termine trascendenza, antitetico al concetto di immanenza, deriva dal latino ("trans" + "ascendere" = salire al di là) e in filosofia e teologia indica il carattere di una realtà concepita come ulteriore, "al di là" rispetto a questo mondo, al quale pertanto si contrappone secondo una visione dualistica.
La trascendenza quando esprime una condizione oltre o al di fuori dell'esperienza umana assume il significato di "esterno a...", "non riconducibile a..."
Il termine corrispondente trascendente, se si assume il significato etimologico di «ciò che è superiore ad ogni altro nello stesso genere» [1], può essere attribuito a ciò che è al di sopra dell'esperienza sensibile e della percezione fisica umana, come ad esempio Dio.
La parola trascendente è riferita anche alle esperienze relative ad altre discipline come la musica e l'arte in genere quando esprimano valori ultrasensibili.[2].
Trascendente, infine, participio presente di "trascendere", nel significato originario latino può essere riferito a "colui che trascende", che "passa il limite", non sa frenarsi, non si contiene nell'ambito di una moderata espressione.[3]
Non è da confondersi con il differente concetto di "trascendentale".
Storia del concetto
Giordano Bruno: immanenza e trascendenza divina
Giordano Bruno parla di Dio in duplice modo: come "Mens super omnia" (Mente al di sopra di tutto) e come "Mens insita in omnibus" (Mente presente in ogni cosa). Per il primo aspetto Dio è trascendente, fuori dal cosmo e dalle capacità razionali dell'uomo, è oggetto di fede e di lui ci parla solo la Rivelazione. Per il secondo aspetto, invece, Dio è principio immanente del cosmo e risulta accessibile alla ragione umana, costituendo anzi oggetto privilegiato del discorso filosofico. [4]
La trascendenza nel pensiero moderno
La negazione di ogni trascendenza caratterizza gran parte del pensiero moderno a partire da Kant.
Kant
Kant negò la possibilità stessa della conoscenza metafisica, cioè la possibilità per la conoscenza umana di attingere la realtà "in sé", al di là e al di fuori dell'esperienza.
Occorre distinguere il concetto di trascendente da quello di trascendentale, che nella filosofia kantiana e successiva a Kant non designa una realtà che supera il concetto di esperienza; invece così si definiscono i concetti che rendono possibile (a priori ) tale esperienza. [5]
Husserl
Secondo Edmund Husserl, fondatore della fenomenologia, la coscienza è intenzionale, cioè si rivolge a oggetti che sono trascendenti rispetto ai vissuti (Erlebnisse) della coscienza medesima, ovvero sono al di là di essi: in questo senso, trascendente è l'oggetto, il contenuto dell'atto che compie la coscienza. [6]
Jaspers
L'esistenzialismo di Karl Jaspers teorizza l'impossibilità per l'uomo di raggiungere l'essere, che rimane sempre al di là delle sue possibilità: la trascendenza dell'essere si rivela per l'uomo nelle situazioni-limite (come ad esempio il dolore, la colpa, la morte), poiché in esse egli fa esperienza dello scacco che subisce nel tentativo di superarle e di comprenderle. Jaspers dice: "La trascendenza non è esistenza. L'esistenza infatti sussiste solo in quanto c'è comunicazione; la trascendenza invece è se stessa senza bisogno d'altro".[7]