Con dottrina patristica (dal latino pater, patris, "padre") si intende la filosofia cristiana dei primi secoli, elaborata dai Padri della Chiesa e dagli scrittori ecclesiastici. Nel II secolo, poco dopo l'età apostolica, all'interno delle prime comunità cristiane alcuni eruditi iniziarono a scrivere testi, detti apologetici, in difesa della nuova fede in risposta alle critiche e alle accuse, spesso accompagnate da persecuzioni, che venivano mosse da parte dei pagani. Ma non solo, la rapida diffusione del cristianesimo all'interno di un Impero di così grandi dimensioni necessitava di stabilire una dottrina omogenea e coerente con il messaggio di Cristo per evitare deviazioni e eresie. I primi autori cristiani apparvero nel mondo ellenistico ricco di cultura e filosofia. E proprio dalla filosofia greca che trassero le basi per il loro pensiero tentandone una conciliazione con la Rivelazione, sebbene non mancarono coloro che rifiutavano il ricorso alla cultura pagana. Figure come Giustino, Taziano, Atenagora, Ireneo gettarono le fondamenta della teologia cristiana in anni non facili per la nuova religione. Nel mondo di lingua latina gli scrittori cristiani arrivarono solo nel secolo seguente con la maggior diffusione del cristianesimo. Intanto, nel 180, ad Alessandria d'Egitto nacque una scuola catechetica con l'intento di utilizzare la sapienza greca applicata alle Sacre Scritture per formare insegnanti cristiani.
Nel 313 con l'editto di Milano l'imperatore Costantino I concesse ai cristiani la libertà di culto. Da questo momento il lavoro dei Padri non fu più incentrato sulla difesa dalle persecuzioni protendendo impegnarsi maggiormente nell'evangelizzazione e nell'indagine dei testi sacri (esegesi). Furono però anche gli anni in cui la diffusione della dottrina neoplatonica riportò in auge il pensiero di Platone da cui i filosofi cristiani attinsero a piene mani in quanto per molti aspetti ben si conciliava con la dottrina Cristiana. Se in ambito greco i tre Padri cappadoci furono coloro che più ricorsero al platonismo per le loro speculazione, nel mondo latino spicca su tutte la figura di Agostino d'Ippona, considerato all'unanimità il più grande tra i filosofi della patristica e tra le massime autorità di tutta la filosofia cristiana.
La morte di Agostino, avvenuta nel 430, segnò la fine dell'età aurea della patristica. Negli stessi anni, l'impero romano d'Occidente stava andando incontro alla sua inesorabile fine aprendo il periodo dei regni romano-barbarici caratterizzati da un impoverimento del contesto culturale aggravato dalla progressiva perdita della conoscenza della lingua greca che ebbe forti ripercussioni nello sviluppo della filosofia cristiana. Nonostante ciò, qualche figura importante riuscì ad emergere, primo fra tutti Severino Boezio, sebbene i loro lavori difettarono per originalità e profondità. Operanti soprattutto sulle traduzioni, ebbero comunque il fondamentale merito di far giungere alcune opere fin nel medioevo che si rivelarono fondamentali per lo sviluppo della filosofia scolastica (la tipica filosofia del medioevo cristiana). In Oriente l'Impero, da adesso chiamato "bizantino" continuò per quasi un altro millennio ma dopo le due più grandi figure della patristica di questi anni, Dionigi Areopagita e Massimo il Confessore, anche qui lo sviluppo della filosofia cristiana andò incontro ad un appiattimento. Il lavoro di sistemazione operato tra il VII e l'VIII secolo da Giovanni Damasceno può essere considerato il capitolo finale dell'esperienza patristica.
Caratteri generali
Definizione
La Patristica, cioè il pensiero degli antichi padri della Chiesa, rappresentò il primo tentativo di fusione fra la tradizione ebraica e la filosofia greca, di cui costoro cercarono di assimilare profondamente il senso del logos, concetto chiave della filosofia greca, in particolare di quella stoica e neoplatonica: logos significava la ragione e il fondamento universale del mondo,[N 1] in virtù del quale la realtà terrena veniva ricondotta ad un principio intellettivo ideale, in cui risiederebbe la vera dimensione dell'essere. Soprattutto in Plotino, l'ultimo dei grandi filosofi greci, si avvertiva il tema della trascendenza dell'Idea platonica, da lui concepita come la forza spirituale che plasma gli organismi viventi secondo un progetto prestabilito.
Periodizzazione
La patristica si divide generalmente in tre periodi:
fino al 200 è dedicata alla difesa del cristianesimo contro i suoi avversari (padri Apologisti, il più noto è Giustino Martire);
La prima patristica dei Padri apologisti (fino alla fine del III secolo circa)
Gli scritti dei primi autori cristiani, detti padri apostolici, si concentrarono soprattutto su temi pastorali e pratici, come indicazioni liturgiche e comportamentali indirizzate verso le prime comunità. Con la diffusione del cristianesimo la nuova fede si trovò a dover far fronte soprattutto a due grandi ostacoli. Il primo riguardava persecuzioni di cui erano vittime: per i romani le vicissitudini dello Stato e la volontà degli dei erano inseparabili e da essi dipendeva la sorte dell'impero.[2] Appare chiaro che la presenza delle comunità cristiane che si sottraevano ai tradizionali e obbligatori rituali era per molti vista come una minaccia alla Pax deorum, la situazione di concordia tra divinità e cittadini su cui si basavano le fortune della loro civiltà.[3] I cristiani erano accusati di attentare al mos maiorum e, spesso calunniati (misantropia, incesto, antropofagia erano alcune delle accuse più frequenti), venivano utilizzati come capro espiatorio per gli eventi nefasti.[4]
Il secondo ostacolo fu dovuto dalla proliferazione di deviazioni dottrinali, che arrivarono all'eresia, conseguenti sia al fatto che non vi fosse ancora una ortodossia ancora chiaramente definita e sia all'esistenza di una moltitudine di comunità sparse su un vasto territorio, ognuna delle quali sostanzialmente autonoma dalle altre, con scarsi contatti tra di esse.
In questo contesto, intorno agli inizi del II secolo, iniziò l'attività dei cosiddetti padri apologeti[N 2] cristiani. Grazie alla loro intensa produzione letteraria, essi svolsero un ruolo fondamentale nel difendere la propria fede dalle accuse, sia interne che esterne alle comunità, e per consolidare la dottrina cristiana dai fraintendimenti e dalla deviazioni. Grazie ad argomentazioni filosofiche, le cui basi spesso poggiavano sulla filosofia greca, essi riuscirono a formare una base intellettuale che poi si rivelò fondamentale per lo sviluppo di una teologia cristiana necessaria affinché la nuova fede potesse sopravvivere e prosperare in un ambiente certamente ostile. Con i loro scritti, non solo cercarono di dare risposta a tutte le incriminazioni, ma tentarono di «accreditare il cristianesimo come vero garante religioso dell'impero» al posto delle antiche tradizioni pagane.[5][6][7] Per loro, solo la fede in Cristo era rivelatrice della verità assoluta, una verità che la tradizione classica aveva faticosamente cercato senza raggiungere risultati pienamente soddisfacenti.[8]
L'apologetica cristiana ebbe inizio nel mondo greco romano e ellenistico dove la lingua greca e la filosofia greca erano dominanti. Questo sia perché il cristianesimo dei primi decenni si era diffuso principalmente in queste aree sia perché queste vantavano già una lunga tradizione di pensiero filosofico che servì da solido substrato per lo sviluppo del primo pensiero cristiano.
Apologeti greci
Della vita e delle opere dei primissimi padri apologeti greci conosciamo solo poche notizie tramandateci principalmente da Eusebio di Cesarea attraverso la sua Storia Ecclesiastica. Tradizionalmente il primo autore cristiano ad affrontare anche temi filosofici è identificato nel vescovogreco anticoQuadrato di Atene, attivo agli inizi del II secolo, che scrisse un'apologia indirizzata all'imperatoreAdriano per difendere la propria fede dagli attacchi e dalle persecuzioni di cui era oggetto in quel tempo. In quest'opera, scritta intorno all'anno 124-125 e di cui conosciamo solo qualche frammento, Quadrato affermò che i miracoli di Gesù fossero veri e che i loro effetti durassero anche dopo il suo abbandono della Terra.[9][10][11]Aristone di Pella fu l'autore del Dialogo di Giasone e Papisco, il primo libro cristiano scritto in forma di dialogo il cui testo è oggi andato perduto ma che al tempo era molto diffuso tra le comunità cristiane sue contemporanee.[12] Sempre Eusebio di Cesarea racconta di Apollinare di Ierapoli, autore di molte opere, tutte andate perdute, tra cui un'apologia per Marco Aurelio e alcune critiche verso pagani, ebrei e Greci.[13]Melitone di Sardi scrisse una difesa del cristianesimo per Marco Aurelio esortandolo a metter fine alle persecuzioni. In altre opere trattò diversi temi che possiamo desumere dai titoli riportato da Eusebio, come la collocazione nel calendario della Pasqua, il battesimo e l'incarnazione di Cristo.[14]
Il più antico testo apologeta che possediamo per intero, ritrovato nel 1878, è invece quello di Aristide Marciano, un filosofo cristiano vissuto ad Atene attorno al 140, indirizzato all'imperatore Antonino Pio. Nella sua Apologia, Aristide ricorre spesso ad argomentazioni filosofiche per delineare e sostenere una visione cristiana dell'universo concentrata sull'idea di un unico Dio creatore e regolatore del tutto. Utilizzando concetti platonici, inoltre, attribuisce a Dio le caratteristiche di immobilità, incomprensibilità e innominabilità. Per Aristide, solo questa visione è compatibile con la natura e quindi conclude che soltanto il cristianesimo sia la vera religione e filosofia.[10][11]
Giustino però è il rpimo che non si limit a combattere i pagani ma organizza coscenziosamente un sistema in se cocnlusp[64-65] confuta idea che i cristiani siano una fede cueca nei loro dogmi ma ceh in grado di porodurre solide dimostraizoni dellampropria fede.. sono invece i pagani che non riescono a dare dmsotraizoen delle lroo culti. e credenze.
Giustino (100-163/167) è considerato il primo grande esponente della patristica in grado di costruire un sistema oranico e conclusivo; nato a Nablus in una famiglia paganesimo, studiò filosofia per poi convertirsi al cristianesimo, religione che difenderà e insegnerà per il resto della vita fino a subire il martirio a Roma durante la persecuzione sotto Marzo Aurelio. Tra il 150 e il 155 scrisse un'apologia della religione cristiana indirizzata ad Antonino Pio a cui seguì una seconda, pensata come un'appendice alla prima, in occasione della condanna di tre fedeli. Nel suo Dialogo con Trifone, opera dedicata a un certo Marco Pompeo, raccontò la sua evoluzione religiosa evidenziando i motivi per cui un pagano potesse convertirsi al cristianesimo che lui considerava «la sola filosofia sicura e utile».[11][15][16] Per Giustino già i più grandi filosofi greci, come Eraclito, Socrate e Platone, potevano essere considerati autori pre-crisitani ispirati da Cristo e precursori del cristianesimo benché non avessero potuto conoscere il ministero di Gesù in quanto la rivelazione di Cristo si a «il punto culminante di una rivelazione antica come il genere umano».[17] A suo avviso, la nozione trinitaria fu introdotta già dal platonismo.[18] Giustino, inoltre, pone una grande importanza nel concetto di libero arbitrio ma parlò anche, sebbene poco e vagamente, anche del peccato originale.[19] Nel suo pensiero compare anche una delle prime riflessioni sul diritto naturale, inteso come la legge universale e eterna in accordo con i precetti morali del cristianesimo.[20]
Allievo di Giustino, Taziano il Siro, fu fortemente influenzato dal maestro ma giunse poi anche a conclusioni originali e perfino opposte. Come Giustino, inizialmente studiò la filosofia greca ma, una volta convertitosi al cristianesimo, arrivò a rinnegarla fino a disprezzarla diversamente dal maestro che continuò a sostenerla; dal 172 circa passò alla gnosi di Valentino per poi aderire alla estrema setta degli Encratiti.[21] Due sole delle sue molte opere sono giunte fino a noi, la più importante è quella conosciuta come Oratio adversus Graecos. Nella prima parte di questa, Taziano dimostra la superiorità della fede cristiana sulla filosofia greca che critica fortemente accusandola contraddittorietà e di non essersi sufficientemente contrapposta all'immoralità e all'assurdità della mitologia greca. Nella seconda parte, invece, argomenta l'antichità della religione cristiana che considera più antica della civiltà greca.[22] Nell'altra sua opera sopravvissuta, Diatessaron, Taziano cercò di combinare insieme i quattro Vangeli canonici in un'unica narrazione. Dai suoi scritti emerge un Dio di puro spirito, unico, invisibile e fautore di tutto, la cui conoscenza per gli uomini è data solamente attraverso le sue opere e il creato; un Dio che non ha causa ma che è causa di tutto.[23] Riguardo alla creazione, Dio avrebbe proferito il Verbo, senza separasi da Lui, e a sua volta il Verbo avrebbe prodotto la materia. Taziano affermava, inoltre, che le prime proiezioni del Verbo furono gli angeli che, essendo essi "proiezioni", non sono perfetti, ma lo realizzano per volontà. Con la ribellione del primo degli angeli alla volontà di Dio, ne conseguì necessariamente che una parte del creato venisse esclusa dal rapporto col Verbo, e anche gli uomini, che seguirono questi angeli ribelli diventarono mortali.
Atenagora di Atene fu l'autore di un Supplica in favore dei Cristiani, un testo apologetico in cui l'autore ribatte puntualmente alle tre accuse mosse ai correligionari, ovvero: ateismo (la mancanza di fede nelle divinità pagane), incesto (per il fatto che predicassero l'amore fraterno) e cannibalismo per via del rito eucaristico. Inoltre argomentò che i cristiani non fossero cittadini di un impero di questo mondo ma bensì fossero soggetti a un Dio che non era l'imperatore.[24] Inoltre, affermò che i filosofi greci, come Aristotele e gli stoici, fossero in realtà monoteisti e che quindi la fede in un unico Dio professata dai cristiani non fosse da considerare come un'innovazione criminale.[25] Nell'opera Sulla resurrezione dei morti, a lui attribuita ma con molti dubbi, tentò di dimostrare la possibilità della risurrezione dei corpi: per Antenagora «l'uomo è stato creato per contemplare l'opera di Dio e quindi la risurrezione garantisce la sua perpetuà». Inoltre, se Dio ha creato l'uomo come anima e corpo vorrà dire che entrambi seguiranno lo stesso destino e se con il giudizio universale ad ogni uomo riceverà un premio o un castigo, questo non potrà essere attribuito all'anima e quindi è necessario che anche il corpo resusciti.[26]
Diversamente dai suoi predecessori, il lavoro dell'apologeta greco Ireneo di Lione non fu incentrato sulla difesa del cristianesimo dalle accuse bensì nello sviluppare im sistema ecclesiologico contro le numerose eresie e deviazioni che proliferavano a quel tempo intaccando l'unità della dottrina.[27] Nella sua celebre Adversus Haereses, Ireneo condannò in particolare lo gnosticismo e contribuì all'emergere dell'idea di un'unica Chiesa, definita successivamente «grandissima e antichissima e a tutti nota, fondata e stabilita a Roma dai due gloriosissimi apostoli Pietro e Paolo»,[28][29] per distinguerla dai gruppi marginali d'ispirazione cristiana che avevano elaborato dottrine proprie e non accettate dalla maggioranza.[30] Ireneo è pertanto considerato come colui che ha definito i punti fondamentali della dottrina cristiana a elaborandone una sintesi globlae.[31] Da lui «nacque una serie di scrittori che cercarono di restituire purezza primitiva a certi concetti di importanza fondamentale».[32] In campo escatologico, descrisse nei particolari la fine del mondo battezzando il numero 666 come il "numero della bestia" e cioè quello dell'"anticristo", simbolo del male e del disordine.[33]
Apologeti latini
Tra il II e il III secolo il cristianesimo si diffuse con maggior intensità nell'Occidente latino e da questo momento iniziarono a comparire sulla scena apologeti cristiani che scrivevano in lingua latina. Claudio Moreschini ha sottolineato di come «il passaggio delle speculazioni teologiche e filosofiche cristiane dall’Oriente all’Occidente avvenne in modo assolutamente naturale: l’Oriente, infatti, come sempre nel mondo antico, aveva aperto la strada al pensiero filosofico, mentre l’Occidente latino ne continuò l’elaborazione, sebbene con una profondità inferiore». Lo sviluppo della filosofia cristiana latina ebbe inizio nel nord Africa, all'epoca una delle regioni più progredite dell'Impero.[34]
Tertulliano è considerato uno dei più importanti filosofi del suo tempo e colui che riucì ad introdirre il pensiero crsitiana nel mondo latino e a svilupparlo. Nato a Cartagine, probabilmente fu avvocato a Roma; convertitosi al cristianesimo dedicò alla nuova fede una vasta produzione letteraria polemica. In età adulta aderì alla setta dei montanisti volgendo le proprie critiche al cristianesimo.[35][36] Utilizzò la sua formazione da giurista per argomentare la tesi secondo la quale il cristianesimo avesse il diritto esclusivo nell'interpretazione delle sacre scritture: per la legge romana chiunque avesse utilizzato un bene per un dato tempo sufficiente poteva considerarsi il proprietario legale e quindi, applicando tale disposto alle scritture, si doveva concludere che queste appartenessero ai cristiani che le avevano commentate e seguite fin dall'inizio e non alle altre dottrine, come la gnosi, che le avevano adottate più tardi. Agli gnostici muove numerose altre critiche, scagliandosi soprattutto sulle loro interpretazioni metafisiche giudicate da lui inaccettabili in quanto ogni cristiano doveva «accettare questa fede come tale, senza pretendere di farne una scelta, e ancor meno di giudicarla» ma solo credendo nella parola di Cristo.[37] Tertulliano condanna tenacemente anche la filosofia responsabile, per lui, di molte dottrine eretiche arrivando a definire i filosofi come «i patriarchi degli eretici». La ricerca filosofica, continua Tertulliano nella sua polemica, porta a cadere nell'eresia mentre per l'uomo dovrebbe essere sufficiente solamente possedere la fede in Dio.[N 3][38][39] Tertulliano è celebre anche perché considerato tra i primi a esprimere il concetto trinitario attraverso una terminologia latina rigorosa e a conferirgli un carattere di una molteplicità di ipostasi.[40] Questa sua dottrina anticipò di circa un secolo il concilio di Nicea tanto il teologo moderno Roger Olson lo definì come "il padre della dottrina trinitaria»,[41] mentre il gesuita francese Joseph Moingt[42], affermò che la sua opera Adversus Praxean fosse il primo trattato trinitario nella storia della Chiesa.[43] Tuttavia alcuni Padri della Chiesa considerarono la sua dottrina non perfettamente conforme alla formula nicena accusandolo di aver coltivato una forma di subordinazionismo affine all'arianesimo.[43]
Circa contemporaneo di Tertulliano, Marco Minucio Felice, scrisse anch'egli un dialogo di natura apologetica, l'Octavius. In quest'opera il personaggio principale, il cristiano Ottavio, discute con il pagano Cecilio riguardo alle proprie fedi, nominando lo stesso Minucio come arbitro della disputa. L'opera si conclude con l’ammissione da parte de Cecilo della falsità del proprio culto e del riconoscimento delle tesi di Ottavio a difesa ed esaltazione del cristianesimo.[44]Ippolito di Roma, teologo e primo antipapa della storia, fu un prolifico scrittore. Si dedicò principalmente a opere di dogmatica, apologetica, commento alle Sacre Scritture e critica delle eresie. La sua opera più importante è Confutazione di tutte le eresie (nota anche come Philosophumena).[45] Il teologo e presbitero Novaziano dedicò gran parte della sua vasta produzione letteraria a temi riguardanti il coretto comportamento di un cristiano in periodo della storia del cristianesimo afflitto da persecuzioni e potenziali scismi.[46] Dopo Tertulliano e Felice i successivi filosofi cristiani latini non riusciranno più per alcuni decenni a raggiungere gli stessi livelli dei predecessori, limitandosi ad un lavoro di approfondimento.[47]
La filosofia cristiana dei primi anni non si limitò all'apologetica. Nel 180 Panteno, filosofo pagano convertitosi al cristianesimo, fondò a Alessandria d'Egitto (all'epoca una città culturalmente molto attiva) una scuola catechetica con l'intento di utilizzare la sapienza greca applicata alle Sacre Scritture per formare catechisti e insegnanti cristiani, nonché di difendere la fede in Cristo contro le eresie e le filosofie pagane. La scuola rivestì un ruolo da protagonista nello sviluppo della teologia cristiana primitiva giungendo al suo apice con i due successori di Panteno: Clemente Alessandrino e Origene.[38][48][49][50]
Il pensiero di Clemente Alessandrino, prima allievo di Panteno e alla sua morte rettore della scuola dal 190 circa al 202 circa, è profondamente ispirato da quello di Giustino e come lui considerò la filosofia pagana come uno strumento utile per spiegare e difendere la fede cristiana,> benché i filosofi antichi avessero potuto solo sfiorare la verità che è, invece presente solo nella Rivelazione e nei Profeti.[N 4][51][52][53] La legge ebraica e la filosofia greca sono, secondo Clemente, come due fiumi che confluiscono nel fiume del cristianesimo, questo proveniente da una fonte nuova, arricchendolo; «la filosofia è», dunque, «servita per i greci per preparasi alla venuta di Cristo e quando Egli è arrivato questa serve per approfondirla». Di per sé la fede in Gesù sarebbe già sufficiente per la salvezza ma la filosofia permette di giungere ad una maggior consapevolezza.[49][54] La stessa filosofia, infine, essendo stata voluta da Dio non può quindi essere considerata negativamente.[55]
Della filosofia fece proprio in particolare il concetto di Logos, visto come «la ragione eterna e creatrice identica con Dio e che si è incarnata in Cristo».[51] Recependo la dottrina di Filone di Alessandria, Clemente parlò di «scintilla del Logos divino» inteso come riflesso divino che permette all'uomo di avvicinarsi alla conoscenza di Dio.[49][52] Tra le sue opere, pedagogus, è pensata come testo di morale pratica per i pagani convertitisi al cristianesimo dove illustra con meticolosità il corretto stile di vita di un fedele cristiano.[56] A Clemente è dovuta anche la prima affermazione cristiana dell'infinità di Dio: considerato «l'Uno e indivisibile, e perciò, infinito, in quanto è senza dimensioni e senza limiti».[49][52]
Successore di Clemente, Origene guidò la scuola di Alessandria fino al 231, quando dovette fuggire a causa delle persecuzioni sotto Caracalla, ed è considerato uno dei massimi teologi cristiani del suo tempo. La sua ardita speculazione e l'interpretazione allegorica della Bibbia dettero vita ad una vera e propria dottrina cristiana, nota come Origenismo, definita nel VI secolo come eretica al Concilio di Costantinopoli II e questo comportò la perdita di gran parte delle sue opere.[57][58][59] Rispetto a Clemente, Origene mostra un atteggiamento più freddo verso la filosofia, probabilmente perché era cresciuto in una famiglia già convertitasi e quindi non fu il mezzo, al contrario del maestro, per avvicinarsi al cristianesimo. Tuttavia, insegnava che fosse comunque utile attingere dalla filosofia ciò che vi era di buono in essa sebbene non fosse necessaria per arrivare a Cristo e che per questo fossero sufficienti le Sacre Scritture su cui concentrò i suoi studi.[60]
La sua opera più importate, "De Principiis" (Sui Princìpi), è considerata una delle prime sistematiche presentazioni della teologia cristiana. In essa è contenuta la sua celebre concettualizzazione dell'apocatastasi secondo la quale alla fine dei tempi avverrà la redenzione universale e tutte le creature saranno reintegrate nella pienezza del divino, compresi Satana e la morte. I dannati esistono, ma non per sempre, poiché il disegno salvifico non si può compiere se manca una sola creatura: «Riteniamo comunque che la bontà di Dio per opera di Cristo richiamerà tutte le creature ad unica fine, dopo aver vinto e sottomesso anche gli avversari». La fine di tutto sarà quindi uguale al principio e cioè «tutto dovrà tornare come Dio l'ha creato».[61][62][63][64] Nella stessa opera, Origene, trattò anche il tema della Trinità diventando uno dei primi a tentare di spiegare le relazioni intra-trinitarie, descrivendo il Figlio come "generato" dal Padre e non creato ammettendo, tuttavia, una subordinazione del primo rispetto al secondo, una tesi probabilmente influenzata dal medioplatonismo e successivamente giudicata eretica. Fu probabilmente il primo ad utilizzare il termine "ipostasi". Origene fu anche uno dei primi a proporre un accurato studio riguardo allo Spirito Santo di cui illustra la sua funzione santificante.[65][66][67] Riguardo alla comprensione di Dio, secondo Origene. Egli non può essere conosciuto nella sua natura «nella sua realtà Dio è incomprensibile e imperscrutabile. Qualunque cosa, infatti, potremo pensare e comprendere di Dio, dobbiamo credere che egli sia di gran lunga superiore a ciò che di lui pensiamo... Però la sua natura non può essere compresa dalla capacità della ente umana, anche se è la più pura e la più limpida».[68]
Il periodo aureo della patristica (dal 300 circa all'inizio del V secolo)
il 30 aprile 311 l'imperatore Galerio concesse un editto generale di tolleranza che segnò la fine delle persecuzioni contro i cristiani. Due anni più tardi Costantino I promulgò l'Editto di Milano, più probabilmente un accordo con Licinio che un vero editto, con cui veniva consentito a tutti i cittadini, quindi anche ai cristiani, la libertà di venerare le proprie divinità segnando la cosiddetta "svolta costantiniana".[69][70][71] Con la piena legittimazione della propria fede, i teologi cristiani dovvettero occuparsi sempre meno di difenderla dalle accuse potendo, così, impegnarsi maggiormente nell'evangelizzazione, nell'indagine dei testi sacri (esegesi) e nel rinforzare la dottrina per preservarla dalle numerose devianze e eresie che continuavano a proliferare lacerando le comunità cristiane.
Una delle controversie più gravi ebbe origine intorno agli inizi del IV secolo, a seguito della predicazione da parte del presbitero Ario che il Figlio di Dio, in quanto "generato", non potesse essere considerato Dio allo stesso modo del Padre, proprio perché la natura divina è unica; una posizione teologica in netto contrasto con l'ortodossia cristiana. A causa di tali insegnamenti, Ario era già stato scomunicato dal patriarca di AlessandriaPietro I ed era fuggito in Siria e Palestina dove le sue predicazioni trovarono terreno fertile, diffondendosi velocemente per tutto l'impero. Illustri filosofi cristiani si schierarono a favore delle tesi ariane.[72][73]
La teoria proposta da Ario presentava delle enormi conseguenze teologiche, minando l'ortodossia del cristianesimo e lo stesso progetto di Costantino di unità del suo impero.[73] Così Costantino convocò nel 325 un concilio a Nicea, il primo concilio ecumenico generale della Chiesa, con lo scopo di stabilire definitivamente il dogma della Trinità.[74] Il concilio si concluse con la condanna delle dottrine ariane e l'elaborazione della prima organica stesura del credo cristiano con cui si affermava che Cristo fosse della stessa sostanza del Padre (Homoousion). Nonostante tale risultato, l'arianesimo non scomparve e, anzi, si diffuse velocemente in tutto l'Oriente.[75][76]
La questione ariana si ripresentò gravemente poco più di un decennio dopo la chiusura del concilio di Nicea. In quel momento la cristianità si dibatteva per trovare una posizione univoca: da una parte la Chiesa di Roma, sede patriarcale d'Occidente, ferma difenditrice dei principi del concilio di Nicea; dall'altra la Chiesa d'Oriente, più speculativa e culturalmente vivace, presentava molte facce che andavano dall'arianesimo puro a infinite sfumature del semi-arianesimo. Teatro principale dello scontro che si stava consumando fu, in particolare, la diocesi di Alessandria dove il vescovo e teologo Atanasio, energico sostenitore del sinodo niceno, era stato deposto, dopo che il primo concilio di Tiro, tenutosi nel 335, aveva dato seguito alle accuse mossegli dai nemici ariani.[77][78]
I Padri latini del IV secolo
Come i greci, anche i Padri latini del IV secolo vissero in un periodo di grandi cambiamenti che portarono il cristianesimo da essere una religione illecita e diventare la religione ufficiale dello stato. Nonostante ciò gli scrittori cristiani non poterono smettere la loro opera di difesa della nuova fede ancora minacciata da correnti critiche che sostenevano un ritorno al paganesimo. Fu il caso, ad esempio, della circolazione verso metà del secolo delle idee di Porfirio (233/234 – 305 circa), filosofo neoplatonico e autore di Contro i Cristiani, che sosteneva la superiorità del pensiero filosofico classico, in particolare platonico, rispetto alla fede cristiana, che considerava una superstizione. Oppure del, seppur breve, regno di Flavio Claudio Giuliano (imperatore dal 360 al 363) in cui tentò, senza successo, di restaurare il pagnanesimo nell’impero. Questi processi, affermazione e contestuale critica, resero quantomai necessario per i pensatori cristiani rafforzare la struttura dogmatica, morale, teologica e pastorale della loro fede. Questi filosofi cristiani di lingua latina si assunsero il compito di essere costruttori di un nuovo ordine culturale e religioso, la cui influenza perdura ancora nella chiesa cattolica occidentale dei giorni nostri.[79][80][81]
Il retore e apologista Arnobio (255-327) ancora prima di convertirsi al cristianesimo scrisse un'apologia, generalmente conosciuta come Adversus nationes, dedicata proprio a coloro che intendevano avvicinarsi alla nuova fede e abbandonare il paganesimo. La sua visione era quella di colui che oramai disgustato dall'assurdità della teologia pagana interpreta la figura di Cristo come un maestro venuto sulla terra a rivelare all’umanità la vera natura di Dio e il corretto culto da attribuirgli.[82] Nel suo testo affronta anche questioni complesse, come il destino dell'anima e la definizione di Dio.[83] Per controbattere ai sostenitori del paganesimo, cita il Fedone di Platone.[84] Tuttavia nella sua opera, impregnato da un «forte senso di pessimismo circa la condizione dell'uomo che lo spinge a trovare in Cristo l'unica salvezza possibile», Arnobio dimostra una conoscenza ancora superficiale del cristianesimo e della Bibbia risultando ancora legato a concetti della filosofia pagana o eretici.[85][86] In ogni caso, la sua apologia riveste un particolare interesse in quanto dimostra l'attrattiva che il cristianesimo vantava sulle persone colte di quel tempo.[87]
Lattanzio (250 circa - 325 circa) fu uno dei discepoli a Arnobio e poi, a sua volta, insegnante di retorica a Cartagine e Nicomedia. Visse sulla sua stessa pelle le ultime persecuzioni contro i cristiani e il passaggio alla legittimazione del cristianesimo per volere dell'imperatore Costantino I che lo chiamò anche come precettore del suo primogenito, Crispo. E a proprio all'imperatore indirizzò la sua opera principale, Divinae Institutiones, uno scritto polemico contro i pagani in cui vengono confutati i fondamenti e il culto della loro religione, per poi esporre in maniera sistematica la dottrina cristiana. Per Lattanzio, i Pagani, portando anche l'esempio di Cicerone e Seneca, non hanno mai raggiunto alcun risultato nelle loro ricerche a causa dell'assurdità delle loro dottrine. Il cristianesimo invece era la strada giusta che permette il collegamento tra religione e verità. Lattanzio però dimostra di avere grande rispetto per i grandi filosofi pagani dell'antichità che ritiene abbiano conosciuto almeno una parte della verità[86][88][89]
Eusebio di Cesarea (260 – 339) è considerato principalmente per essere stato consigliere e biografo dell'imperatore Costantino ma la sua attività comprese anche la speculazione filosofica tanto che alcuni lo considerano, per molti aspetti, l’ultimo esponente della Scuola di Alessandria. In particolare si occupò di rispondere alle critiche che venivano mosse al cristianesimo da parte dei pagani dopo che si erano diffuse le polemiche concepite dal neoplatonico Porfirio i cui testi erano da Eusebio profondamente conosciuti.[90] All'accusa che il cristianesimo si fosse indebitamente appropriato della cultura greca classica piegandola alla propria dottrina, Eusebio rispose che il cristianesimo sicuramente integrava in sé la cultura ellenistica ma poi la superava in quanto questa non era in grado di giungere alla verità senza considerare la Rivelazione contenuta nelle Sacre Scritture e il messaggio di Cristo.[91] Inoltre, secondo Eusebio, a loro volta i filosofi precedenti, come lo stesso Platone, avevano attinto dall'ebraismo come base per le loro speculazioni e quindi era coerente che anche i Cristiani potessero rifarsi a loro.[92]
Sebbene non ricco di considerazioni filosofiche, Ilario di Poitiers (310 circa-367), nella sua opera De Trinitate, ritenuta il più profondo trattato teologico latino del IV secolo, propone la prima sintesi occidentale della dottrina trinitaria.[93] Ilario dimostra che il vero Dio dovesse essere «unico, eterno, onnipotente e immutabile» rifiutando pienamente le tesi pagane che stavano a quel tempo riprendendo terreno nei confronti del cristianesimo sotto il regno dell'imperatore Giuliano, detto l'Apostata.[94][95][96] Ilario si occupò anche di conciliare il concetto di immutabilità di Dio con quello biblico della cosiddetta "Ira di Dio". Se Dio è immutabile, si chiede Ilario, come può adirarsi in un dato momento visto che è anche bontà assoluta? La coerenza viene da lui dimostrata distinguendo l'ira divina da quella umana: mentre l'ira dell'uomo è soggetta a cambiamenti e sentimenti, l'ira di Dio non è una reazione emotiva, ma un'espressione di giustizia e distacco dal peccato. Sempre secondo Ilario, l’ira divina non è finalizzata alla distruzione, bensì alla correzione e alla salvezza dell'uomo, in linea con l'amore e la giustizia divina.[97]
Sant'Ambrogio (339 circa-397), vescovo di Milano, fu più un pastore che un filosofo originale, tuttavia i suoi numerosi scritti (inni, sermoni, trattati teologici), contribuirono alla formazione della dottrina cristiana più matura. Il suo trattato etico e morale De officiis ministrorum fu intenzionalmente ispirato al De officiis di Cicerone in quanto Ambrogio vuole riprendere la sua concezione riguardo al miglior modo di vivere rileggendola in chiave cristiana, una sorta di «metaformosi cristiana della morale antica».[94][98] L'opera era indirizzata principalmente ai chierici ma anche ai semplici cristiani che volessero trovare un codice morale dei doveri dell'uomo verso Dio.[99]
Gli eruditi cristiani di questi anni non furono importanti solo per i loro innovativi contributi alla dottrina cristiana ma anche per le traduzioni dal greco al latino dei testi sacri e di teologia permettendone la trasmissione in Occidente. Due dei più importanti traduttori vissuti tra il IV e il V secolo furono San Girolamo e Tirannio Rufino. San Girolamo (347-420) tradusse su richiesta di Papa Damaso I la Bibbia in latino (Vulgata), rendendo così le Scritture accessibili a un pubblico più ampio e stabilendo un testo di riferimento per i secoli. Scrisse inoltre numerosi commentari esegetici. Tirannio Rufino (345 circa-411) tradusse, spesso in modo assai libero rispetto alla precisione filologica di Girolamo, i padri greci e in particolare Origine.[94][100][101]
I tre padri cappadoci furono certamente tra le figure di maggior spicco della filosofia cristiana greca posteriore al concilio di Nicea che «per omogeneità di esperienze culturali, di interessi ecclesiali e teologici costruiscono una felice unità». Ispirati dal pensiero di Origine, ma anche dal platonismo e dallo stoicismo, i cappadoci dettero vita ad una nuova cultura ellenistica cristiana senza però rinnegare quella precedente che anzi dimostrarono di apprezzare enormemente ricorrendo più di una volta al pensiero di Platone nelle loro speculazioni teologiche. Per loro il cristianesimo era erede legittimo della tradizione greca, in cui sembrava sopravvivere, che tuttavia ben tenevano distinta dalla religione pagana che invece rifiutavano.[102][66][103]
San Basilio (329-379), considerato il primo dei tre, fu un uomo di grande cultura greca.[104] Allievo di Imerio di Prusa, dopo un breve periodo passato a insegnare retorica, si recò in visita a molti anacoreti dell'Egitto, della Siria, della Palestina e della Mesopotamia per comprendere meglio il loro stile di vita. Fondò egli stesso un centro monastico che dotò di una propria regola. Scrisse molte opere di carattere dogmatico, ascetico, discorsi ed omelie, oltre a un importante trattato per i giovani sull'uso e il comportamento da tenersi nello studio dei classici pagani. San Basilio riteneva che l'utilizzo della cultura antica, in particolare quella platonica ma anche stoica, fosse molto utile per la formazione dei giovani cristiani, sebbene mettesse in guardia dall'immoralità e dall'empietà di alcuni contenuti ricordando che gli scritti dei filosofi pagani dovevano essere interpretati secondo la fede cristiana e sempre finalizzati all'elevazione della propria anima.[105][106][107][108] La sua descrizione dell'universo, basata sull'antica teoria dei quattro elementi, seppur riletti in chiave cristiana, sarà poi ampiamente ripresa in età medievale. Per san Basilio gli elementi sono interconnessi tra di loro e in grado di trasformarsi l'uno nell'altro secondo un ordine che riflette la saggezza e la bontà di Dio.[109]
Gregorio di Nazianzo fu amico e compagno di studi di Basilio. Ebbe modo di studiare alla scuola di Alessandria, è noto soprattutto per la strenua difesa della dottrina nicena contro gli ariani. Per sostenere le proprie convinzioni non si privò di ricorrere alle categorie platoniche ma sempre riconducendole all'interno della dottrina cristiana. Nelle sue tesi osservò di come i nostri concetti fossero inadeguati nel descrivere Dio e che, quindi, un buon cristiano dovesse difendere la fede dagli attacchi e dalle eresie piuttosto che dedicarsi a discutere questioni teologiche. Dio, per Gregorio, è incorporeo, infinito, non soggetto a movimento e la sua trascendenza non è conoscibile all'uomo fermo nella sua immanenza. Scrisse anche un discorso contro l'imperatore Giuliano l'Apostata accusato per la sua volontà di ripristinare il paganesimo nell'impero.[110][111][112]
Fratello minore di Basilio, Gregorio di Nissa (335-395 circa), considerò anche lui «la filosofia greca utile ma solo se opportunamente purificata. La filosofia morale e la filosofia fisica potrebbero realmente favorire un'autentica vita spirituale, qualora riuscissimo a purificare i loro dati dottrinali dalle depurazioni di errori profani».[113] Nel suo Grande discorso catechetico il Nisseo, ispirandosi ad Origene, presenta i principali dogmi cristiani e li difende contro i pagani, i giudei e gli eretici, dandone una coerente sistemazione dottrinaria che per lungo tempo servirà da modello e punto di riferimento. Chiaramente influenzato da Platone, egli distinse la realtà intellegibile da quella sensibile e corporea.[113][114] Da Origine, Gregorio, riprende anche la teoria dell'apocastasi secondo la quale con la resurrezione l'anima (immortale) e il corpo dell'uomo (mortale) si ricongiungeranno in una unione come lo erano al principio prima della caduta dovuta al peccato, cosa che varrò anche per i malvagi dopo che avranno espiato le proprie colpe attraverso pene purificatrici.[115] Inoltre, dimostra di sostenere la teoria secondo la quale anima e corpo vennero creati da Dio simultaneamente.[116] L'uomo è fatto a immagine di Dio e questo può essere vero soltanto ritenendo l'uomo prima della sua corruzione dovuta al peccato come una ipostasi.[117] La storica della filosofia Sofia Vanni Rovighi ritiene che Gregorio di Nissa «abbia saputo esprimere cristianamente meglio di chiunque altro l'eredità spirituale dell'antica Grecia».[111]
Il platonismo latino del IV-V secolo
La diffusione del neoplatonismo, correte iniziata da Plotino,[N 5] non significò solo un ritorno in auge delle dottrine pagane ma fu funzionale anche per i filosofi cristiani. Così, benché in ritardo rispetto al contesto greco, nel IV secolo anche gli autori cristiani latini iniziarono a fare uso proficuo del platonismo nelle loro speculazioni, benché sempre letto secondo la fede cristiana. In realtà non era la prima volta che la filosofica cristiana attingeva alla dottrina platonica ma fu solo da adesso che «l'unione di platonismo e cristianesimo appare così felicemente riuscita».[118] E così i «pensatori cristiani si collocarono a margine o in parallelo alla forte corrente platonica che si stava imponendo come la più autorevole e che avrebbe dato la sua connotazione essenziale al pensiero cristiano per i secoli a venire».[119] Fu proprio grazie alle traduzioni e ai commenti alle opere del celebre filosofo ateniese e dei suoi successori che queste potessero giungere nel medioevo e contribuire al continuo sviluppo della teologia cristiana e del pensiero in generale.
Gaio Mario Vittorino (290-364) inizialmente non fu solo pagano, ma anche profondamente polemico contro i cristiani; tuttavia, le continue letture delle Sacre Scritture che fece per confutarle lo portarono invece a convertirsi. Dalla sua conversione diverrà un prolifico autore di trattati teologici che, però, solo in parte sono giunti fino a noi.[94][120] Autore di diverse traduzioni di Plotino e Porfirio, la sua speculazione filosofica fu particolarmente originale per il tempo influenzando i pensatori e scrittori a lui successivi. Si concentrò soprattutto sul dogma trinitario in quanto impegnato in dispute contro gli ariani.[121] Argomentò le tesi nicene affermando che «il Verbo è Dio, è proprio perché il Verbo Gesù non è generato da un non-essere, in qualsiasi senso s'intenda questo termine, ma, al contrario, egli è, a titolo di Logos, la manifestazione dell'essere che, nascosta in Dio Padre, si rivela in Dio Figlio». Provò a spigare la contestuale distinzione e mutua implicazione tra Padre, Figlio e Spirito Santo attraverso il paragone con la sorgente, il rivolo d'acqua e il suo spargersi.[122][123]
Macrobio (385 circa-430 circa) scrisse un commentario al Somnium Scipionis di Cicerone in cui è ben radicato il pensiero filosofico neoplatonico di Dio e dell'anima, e che si rivelerà fondamentale far giungere questi temi nel medioevo.[86][124] Attingendo direttamente dalle lezioni di Platone (in particolare al "mito della caverna") e Plotino, Macrobio reinterpreta Cicerone presenta una riflessione sulla mortalità del corpo e sull'immortalità dell'anima che non cesserà mai di esistere. Secondo Macrobio, l'anima compie un viaggio ciclico tra il cielo e la terra: dal cielo le anime cadono per incarnarsi in corpi terreni dimenticando, a seguito di una «specie di brezza», il luogo originario; successivamente, grazie all'illuminazione e a un processo di purificazione, possono abbandonare il corpo e raggiungere nuovamente il luogo originario divino. Da non confondersi con l'anima, l'intelligenza è invece creata e donata da Dio e contiene tutte le cose e le idee. Sopra di tutto vi è il Bene, causa prima di tutto.[125]
Ma ancora più di Macrobio, fu Calcidio (fl. IV secolo) a trasmettere al medioevo il neoplatonismo grazie ad una traduzione del Timeo di Platone corredato da un commento che offre una interpretazione medio-platonica.[86][124][126] Anch'egli propone un dottrina dell'anima, vista come una sostanza spirituale dotata di ragione ma priva di una forma corporale rigettando l'opposta tesi aristotelica.[127]
Agostino di Ippona, nato a Tagaste nel 354, non fu solo il maggiore esponente della Patristica, ma è considerato anche uno dei più importanti filosofi e teologi cristiani della storia. Trascorse una gioventù travagliata durante la quale cercò nella filosofia le risposte di cui aveva bisogno aderendo, per un periodo, anche al manicheismo. Lo studio del pensiero neoplatonico sui testi di Plotino, Porfirio e Cicerone lo avvicinarono al cristianesimo, tuttavia per la sua conversione avvenuta nel 386 fu fondamentale l'incontro a Milano con Sant'Ambrogio.[128] Successivamente divenne sacerdote e, infine, vescovo di Ippona fino alla morte avvenuta nel 430.[129]
Fu autore prolifico. Il suo capolavoro, le Confessioni, è un'opera autobiografica spirituale in XIII libri in cui, rivolgendosi a Dio, narra la sua vita e la sua conversione, ponendo riflessioni sul peccato e la grazia divina.[130] Influenzato dal disfacimento dell'Impero romano a cui stava assistendo, nel 410 Roma era stata saccheggiata dai Vandali, scrisse il La città di Dio, un'apologia del Cristianesimo in risposta ai pagani che lo ritenevano causa un indebolimento delle solide basi morali dell'antico impero. Per Agostino, la città terrena è frutto di violenze, sangue, delitti; in questo contesto lo Stato, perché possa essere considerato come tale, deve adoperarsi affinché regni la giustizia, intesa questa come il raggiungimento della «perfezione religiosa che si risolve nell'obbedienza alla volontà divina». In questo modo Agostino subordina la legittimazione del potere dello Stato alla Chiesa.[131][132] Sebbene l'autore ponesse tale questione sul piano metafisico, sottolineando il contrasto tra Regno di Dio e mondo terreno, nei secoli seguenti, e in particolare nella lotta per le investiture, le sue parole vennero interpretate in senso politico a sostegno della subordinazione del impero alla Chiesa di Roma.[133] Il suo De Trinitate, è un trattato sulla Trinità che esplora il mistero di Dio come Padre, Figlio e Spirito Santo. Agostino riprende da Plotino il tema delle tre nature o ipostasi divine (Uno, Intelletto e Anima) identificandole con le tre Persone della Trinità cristiana (Padre, Figlio e Spirito Santo), ma concependo il loro rapporto di processione non più in senso degradante, ma in un'ottica di parità-consustanzialità.[N 6][134][135]
La dottrina elaborata da Sant'Agostino pose alcuni dei pilastri fondamentali del pensiero cristiano e filosofico. Centrale è la sua teoria della grazia, secondo cui la salvezza dell'uomo dipende interamente dall'intervento divino, che offre la grazia per superare il peccato originale. Polemizzando con l'eresia di Pelagio, secondo la quale la salvezza era esclusivamente conseguente alla volontà dell'uomo, arrivò a sostenere che a causa del peccato originale nessun uomo è degno della salvezza, ma Dio può scegliere in anticipo chi salvare e chi dannare.[136][137] Agostino affrontò anche il problema dell'esistenza del male, chiedendosi come la sua presenza potesse essere compatibile in un mondo creato da un Dio infinitamente buono e onnipotente. Secondo la teodicea agostiniana, il male non è stato creato ma è una privazione del bene, corruzione della buona creazione di Dio, frutto del peccato originale e continuato per l'abuso del libero arbitrio da parte dell'uomo.[138][139][140]
Riguardo alla creazione del mondo, sant'Agostino concordava sul fatto che sia stato creato dal nulla da parte di Dio attraverso la parola come descritto nella genesi. Già prima di lui, padri avevano affrontato il problema riguardo a quando fosse stato creato, Origine, ad esempio, riteneva che fosse eterno, esistente da sempre, poiché pensare che la creazione fosse avvenuta in un dato momento implicherebbe un mutamento nella volontà di Dio. Agostino supera tale impostazione asserendo che Dio non solo creò il mondo ma anche il tempo e, pertanto, non si può parlare di un prima e di un dopo. Il tempo, quindi, non esiste oggettivamente, ma è una misura soggettiva legata all'esperienza interiore dell'anima: il passato e il futuro esistono solo come ricordi e aspettative nell'anima, mentre il presente è un momento fugace.[141][142] Agostino affrontò anche i rapporti tra fede e ragione. Per lui ci sono dei limiti oltre i quali la ragione non può andare, ma se Dioilluminerà l'anima con la fede potrà placare la sete di conoscenza dell'uomo.[143]
L'ultima patristica
Con la morte di Agostino si chiude anche il periodo d'oro della patristica antica. L'impero romano si trovava in quel momento una fase di grave crisi: se a occidente già da tempo era in atto il lungo processo che lo porterà alla caduta e alla sostituzione con i cosiddetti regni romano-barbarici, a Oriente le istituzioni romane sopravviveranno ancora, come "impero bizantino", per quasi un millennio contrassegnato però da un lento declino con poche occasioni di ripresa.
I latini in Occidente
In Occidente, le poche manifestazioni culturali del tempo si dimostrarono afflitti da una «retorica vuota e ampollosa, con frequenti sfoggi di erudizione» fini a se stessi che ne mascheravano solamente il progressivo impoverimento. Contestuale fu «la crescente ignoranza del greco e di conseguenza di una perdita progressiva di una parte della cultura greca» e con essa la perdita di gran parte della cultura filosofica e scientifica proveniente dall'Oriente. Da sant'Agostino in poi, le grandi opere letterarie che avevano contraddistinto il lavoro dei filosofi cristiani dei due secoli precedenti furono quasi del tutto assenti e quelle poche che venero scritte erano afflitte da un senso di stanchezza a da mancanza di originalità. I Padri dei secoli che vanno dal V al VIII si occuparono soprattutto di tradurre e commentare i testi dell'antico sapere teologico che, sebbene non permise di giungere a sviluppi originali nel pensiero, furono essenziali perché le opere degli antichi potesse giungere salvarsi e giungere fino al medioevo. Tuttavia, anche in un panorama così arido di speculazioni teologiche rispetto a come fu quello degli anni precedenti, ancora possono essere identificate figure di spicco che, qua e là, riuscirono a emergere e forgiare il pensiero cristiano.[144][145]
Severino Boezio (475/477– 524/526), magister officiorum del re ostrogotoTeodorico, seppur non potendo vantare contributi originali o particolare vitalità speculativa, sfruttando un periodo di relativa pace e di rilancio della cultura, concepì l'ambizioso progetto di tradurre in latino le opere di Platone e di Aristotele, di cui tentò di conciliarne le posizioni, diventando per i secoli successivi l'unica o quasi fonte da cui attingere la conoscenza del pensiero antico. Fu quindi un fondamentale "intermediario" tra la filosofia greca e il mondo latino.[146][147] Commentò Introduzione alle categorie di Aristotele e fu molto influenzato dalla logica aristotelica ma essenzialmente aderì al neoplatonismo.[148] Partendo dal pensiero platonico, Boezio concepì una propria teodicea, seppur dai tratti non ben delineati, per tentare di rispondere al problema dell'esistenza del male in un universo retto da Dio che è sommo Bene.[149] Egli è ritenuto uno dei precursori della filosofia scolastica e della disputa sugli universali, riguardante la definizione delle essenze attribuibili a generi e specie universali.[N 7][150]
La sua opera più importate fu il De consolatione philosophiae che scrisse, in prosa e versi, intorno al 524 mentre si trovava in carcere e che influenzò profondamente il pensiero medievale trasmettendogli un'immagine allegorica della filosofia. Ad esempio, è Boezio che rese celebre l'immagine della "ruota della fortuna" che diverrà in seguito un motivo iconografico frequente dell'arte medievale e un simbolo della imprevedibilità delle vicende umane. Anche la definizione della filosofia come «amore per la sapienza ma di conseguenza anche la ricerca di Dio o dell'amore di Dio», sarà poi accolta nei secoli successivi.[151][152] Gli scritti di Boezio furono fondamentali per i secoli successivi, «i suoi studi sulle arti liberali furono apprezzati proprio per quei motivi per cui la scienza storica moderna li considera opere di non alto livello speculativo, in quanto rappresentano il compendio delle dottrine greche sulla matematica, sulla filosofia e sulla musica. Il medioevo non richiese a Boezio di essere personale e originale, cercò nelle sue opera delle conoscenze che potessero tornare utili e che fossero scientificamente valide e, siccome, le trovò, ebbe di lui un'alta considerazione».[153]
Contemporaneo di Boezio, Benedetto da Norcia già adolescente intraprese una vita eremita. Con la sua celebre regola basata sull'«Ora et labora» (prega e lavora), il lavoro manuale divenne un elemento importante nel percorso di salvezza del cristiano; si affaccia così per la prima volta l'idea del progresso, di un'evoluzione universale a cui ognuno è chiamato a contribuire, e che sarà un elemento centrale di tutta la filosofia medievale. L'opera dei benedettini risultò importante anche per il loro lavoro di copiatura di testi antichi, non solo religiosi, ma anche scientifici e letterari, che salvò numerose opere dell'età greca e romana che poterono così attraversare i secoli e giungere all'età moderna. Il sapere allora diffuso dai monasteri e dalle abbazie poté inoltre facilmente ottenere il monopolio sull'insegnamento anche a seguito della definitiva chiusura dell'Accademia di Atene nel 529 ad opera di Giustiniano dopo vari periodi di alterne interruzioni della sua attività.
Papa Gregorio Magno (circa 540-604) fu autore di numerosi scritti soprattutto a carattere pastorale e liturgico. Vissuta durante l’invasione longobarda dell’Italia, fu provvidenziale perché vi fosse qualcuno in grado di riordinare la struttura ecclesiastica e, nel contempo, mediare tra i nuovi regnanti e l'Impero.[154] Celebre il suo trattato Cura Pastoralis indirizzato a tutti coloro, chierici e laici, a cui era affidato il compito di governare cristianamente il mondo e in particolare ai vescovi. Criticò le arti profane quando studiate fini a sé stesse e non come mezzo indispensabile per comprendere le Sacre Scritture.[155]
Anche il lavoro di Isidoro di Siviglia (560 circa-636) fu fondamentale per la trasmissione del sapere antico al medioevo. Per Isidoro «la natura primitiva e l'essenza stessa delle cose si possono riconoscere dall'etimologia dei nomi» e per questo scrisse l'Etymologiae sive Origines, un'opera contente un immenso elenco di termini che condensano lo scibile umano del tempo e può considerarsi una delle prime enciclopedie della cultura occidentale. Sarà per gli studiosi dei secoli successivi un testo indispensabile a cui attingeranno ad ampie mani ogni qualvolta necessitavano di una definizione.[156]
I greci a Oriente
Se l'Impero d'Oriente andò incontro alla disgregazione, a Oriente la situazione politica riuscì a rimanere sostanzialmente stabile permettendo al pensiero filosofico di continuare. Tuttavia nelle comunità cristiane si assistette ad una crescente diffusione della pratica dell'omelia, che, essendo un discorso rivolto al popolo, non necessitava di sottili ragionamenti né un'esegesi approfondita, preferendo interpretazioni letterali, storiche e fattuali. In questo modo gli spazi dedicati alle riflessioni speculative vennero sempre meno mentre gli scrittori cristiani si concentravano sempre più su questioni pratiche e morali. Nonostante ciò ancora si possono individuare pensatori di rilievo dediti soprattutto ad un lavoro di sistemazione degli autori precedenti ma anche ad un'accanita difesa dell'ortodossia delle numerose dottrine alternative che nascevano nel dinamico mondo culturale greco.[157]
Verso la fine del IV secolo la scuola catechetica di Alessandria era diretta da Didimo il Cieco, noto soprattutto per la sua esegesi delle Sacre Scritture e alla difesa dell'ortodossia secondo il credo niceno. Ritenendo che i saggi pagani avessero già testimoniato, seppur imperfettamente, il concetto cristiano di Trinità identificò la cosiddetta "anima del mondo" di Porfirio con lo Spirito Santo.[158][159]
Nemesio di Emesa è noto principalmente per la sua opera "Sulla natura dell'uomo", considerata una delle prime trattazioni sistematiche di antropologia cristiana; scritta in greco, tradotto in latino intorno al 1070 (De natura hominis) da Alfano vescovo di Salerno, ebbe un grande successo nel Medioevo. Nemesio si basò essenzialmente su Galeno, ma respingendo l'idea galenica secondo la quale l'anima segue il temperamento del corpo, e quella ippocratica dell'anima come funzione del cervello.[160] L'essenza dell'opera sta però nel trovare un punto di convergenza tra la conoscenza medica pagana dell'antichità e la dottrina cristiana. Nemesio, come Gregorio di Missa, riteneva che la scienza della natura umana rivestisse un ruolo fondamentale nel sapere e che il suo studio fosse, non solo compatibile con la fede, ma anzi un dovere. Riprendendo le idee platoniche, per Nemesio l'uomo è egli stesso un universo ridotto (microcosmo), composto da corpo e anima, e quindi lo studio della sua natura è anche lo studio dell'universo come opera di Dio.[161][162] L'anima, in particolare, è da lui definita come "substantia incorproea suimet expletiva", ovvero una sostanza incorporea e completa in sé stessa, una descrizione che verrà ampiamente ripresa nel medioevo.[163]
Cirillo d'Alessandria (370-444) è noto soprattutto per la sua partecipazione alle controversie cristologiche del V secolo, in particolare per la difesa della dottrina cristiana contro il nestorianesimo. Nonostante la sua grande erudizione, l'opera di Cirillo è talvolta vista come ripetitiva e non particolarmente acuta. Egli cita filosofi pagani come Talete, Democrito, Aristotele e gli scettici per sostenere che anche nel pensiero pagano vi fosse l'idea di un Dio unico sebbene nel cristianesimo questa visione si realizzi pienamente. La sua critica a Giuliano si fonda sulla convinzione che le dottrine cristiane fossero già prefigurate nelle tradizioni ebraiche e che le idee di Giuliano fossero in realtà in linea con la dottrina cristiana.[164]
Teodoreto di Ciro (393 circa – 458 circa) scrisse un'apologia del cristianesimo mirata a convincere della bontà della fede in Gesù quei pochi seguaci del pagnaesimo che stava lentamente scomparendo. Egli argomentò che molti filosofi dell'antichità avessero già anticipato molte delle verità della fede cristiana prima della Rivelazione. Tra questi, il principale fu Platone che, in controtendenza con il mondo politeista del suo tempo, descrisse il "Demiurgo" come unico autore di tutto ciò che esiste e provvidenza del mondo, con delle chiare analogie con il concetto cristiano di unicità di Dio. Quindi, Teodoreto concluse che c'era una certa armonia tra «l'antica teologia e la nuova».[165]
Intorno al V o al VI secolo), un teologo e filosofo siriano, firmò i propri testi Dionysios, facendo per ungo tempo pensare che si trattasse del più antico Dionigi Areopagita (giudice ateniese del I secolo convertito da Paolo di Tarso, secondo quanto riportato in Atti degli apostoli 17). Rimasto anonimo, è oggi indicato con lo pseudonimo di Pseudo-Dionigi Areopagita mentre l'insieme dei suoi testi è conosciuto come Corpus dionysianum in cui esplicitamente intende confutare le idee pagane a favore della fede cristiana.[166] Di formazione neoplatonica, e influenzato in particolare da Proclo tanto da far supporre che si fosse trattato di un suo allievo, considerò la realtà e la conoscenza come una derivazione del principio supremo della creazione, Dio, attraverso una gerarchia di intelligenze angeliche che si estende fino alla materia più bassa. Questa gerarchia si riflette nell'organizzazione piramidale della Chiesa e nella sua liturgia. Secondo il suo trattato De mystica theologia, l'uomo può conoscere e ascendere al principio divino tramite due vie. La prima è la teologia affermativa (o catafatica), che attribuisce a Dio ogni qualità di tutte le cose, considerandolo causa di tutto e a lui si arriva tramite un progressivo accrescimento di tutte le qualità finite di ogni singolo oggetto. La seconda, più elevata, è la teologia negativa (o apofatica), che comprende Dio attraverso la negazione di tutti gli attributi, poiché Dio trascende ogni realtà del mondo.[167] Questa teologia mistica dello Pseudo-Dionigi avrà molto successo nel medioevo influenzando enormemente il pensiero dei più grandi filosofici scolastici come Giovanni Scoto Eriugena, Ugo di San Vittore, Alberto Magno, Bonaventura da Bagnoregio e Tommaso d'Aquino.[166][168]
Massimo il Confessore (580-662) è considerato l'ultimo filosofo originale della patristica greca. Nelle sue opere offrì riflessioni sui più grandi pensatori cristiani dell'antichità come Origine e Gregorio Nisseno. Si richiamò a temi del neoplatonismo letti tuttavia secondo la dottrina cristiana, attingendo da loro come base per la propria cristologia.[169] Importante fu il suo contributo nel confutare efficacemente le dottrine eretiche del monoenergismo e del monoteletismo che si erano diffuse in quegli anni e che erano state condannate al Concilio di Calcedonia- Massimo dimostrò che «in Cristo vi fossero due attività e due volontà, quella divina e quella umana».[170]
Solitamente si può considerare la fine della patristica con l'opera di Giovanni Damasceno. Egli non fu certo un autore particolarmente originale ma piuttosto un "gran sistematore" il cui obiettivo è mettere insieme una raccolta dei testi dei suoi predecessori al fine di costruire una utile raccolta di nozioni filosofiche.[171][172] La sua opera più celebre, De Fide Orthodoxa ("Sulla fede ortodossa"), è considerata una delle più importanti sintesi della dottrina cristiana in grado di influenzare la successiva teologia bizantina e medievale. In essa, Giovanni, affrontò temi fondamentali come la Trinità, la creazione, l'incarnazione di Cristo, i sacramenti, la mariologia, e molto altro. Il trattato è parte di un'opera più ampia, conosciuta come Fons cognitionis ("Fonte della conoscenza") di cui fanno parte anche Dialectica e De haeresibus dove l'autore offre una descrizione delle eresie che erano emerse nella storia del cristianesimo fino al suo tempo. Allo scopo di aiutare i fedeli a riconoscere e respingere le dottrine errate, Giovanni elenca e discute un centinaio di eresie, inclusa l'iconoclastia, che stava diventando una questione critica nel suo periodo, prendendo una forte posizione contro questa.[173] Affrontò il tema delle immagini sacre anche nella sua apologia Discorsi in difesa delle immagini sacre; che lo fa ritenere il più importante difensore della figurazione cristiana, il primo "teologo dell'immagine".[174] Diversamente da molti altri padri greci a lui antecedenti, Giovanni Damasceno dimostrò di seguire il pensiero di Aristotele piuttosto che quello neoplatonico.[175] Seguendo queste linee di indagine, tentò di stabilire l'esistenza di Dio «dimostrando che tutto ciò che ci è dato nell’esperienza sensibile è mutevole e che lo sono anche le anime e gli angeli che tutto ciò che giunge all’essere attraverso un cambiamento è increato: che tutto ciò che ci è dato in questo mondo è creato che di conseguenza esiste un suo creatore increato».[176] Inoltre, partendo dalle conclusioni di Epicuro, rifiutò la possibilità che l’ordine e la distinzione della cose possano risultare dal caos ma che all'origine ci dovesse essere la volontà di Dio.[176]
Eredità
Con la sistemazione composta dal Damasceno si può considerare chiusa l'età della patristica e, seppur il suo lavoro non abbia aggiunto nulla di sostanzialmente nuovo alla speculazione filosofica, si può considerare "uno dei più importati intermediari tra la cultura dei padri greci e la cultura latina dei teologici occidentali del medioevo".[177]
L'eredità della patristica fu raccolta dalla scolastica, la filosofia che si sviluppò nelle scuole cattedrali del medioevo e proseguì nelle prime università medievali fino al XV secolo circa. La Catena aurea di san Tommaso d'Aquino arrivò a citare 22 autori latini e 57 autori greci, molti dei quali all'epoca ancora sconosciuti in Occidente, raccogliendo una qualità e quantità di testi non latini senza precedenti nell'Alto Medioevo.[178]
^Così l'allora cardinale Joseph Ratzinger, avendo più volte ribadito che «il patrimonio greco è una parte integrante della fede cristiana», ha spiegato i motivi per cui, a suo vedere, la religione cristiana poté conciliarsi con la filosofia greca:
«La razionalità poteva diventare religione perché il Dio della razionalità era entrato egli stesso nella religione. In fin dei conti, l'elemento che rivendicava la fede, la Parola storica di Dio, non costituiva forse il presupposto perché la religione potesse volgersi oramai verso il Dio filosofico, che non era un Dio puramente filosofico e che nondimeno non respingeva la filosofia, ma anzi la assumeva? Qui si manifestava una cosa stupefacente: i due principi fondamentali apparentemente contrari del cristianesimo – legame con la metafisica e il legame con la storia – si condizionavano e si rapportavano reciprocamente; insieme formavano l'apologia del cristianesimo come religio vera. Si può dunque dire che la vittoria del cristianesimo sulle religioni pagane fu resa possibile fondamentalmente dalla sua pretesa di intelligibilità.»
(Dalla conferenza Verità del cristianesimo?, pronunciata dal cardinal Joseph Ratzinger il 27 novembre 1999 presso l'Università della Sorbona di Parigi, tradotta e pubblicata da "Il Regno-Documenti", vol. XLV, 2000, n. 854, pp. 190-195)
^Il termine "apologeta" deriva dal greco "apologia," che significa "difesa" o "discorso in difesa.".
^La diffidenza di Tertulliano verso la filosofia è ben esplicata nel suo De praescriptione haereticorum dove si domanda: «Che cosa hanno in comune Atene e Gerusalemme? Che cosa l'Accademia e la Chiesa?». In De praescriptione haereticorum, VII, 9.
^Clemente Alessandrino arrivò a sostenere che Dio aveva dato la filosofia ai Greci «come un Testamento loro proprio». In Clemente Alessandrino, Stromata 6, 8, 67, 1.
^Plotino visse e insegnò nel III secolo, ma fu solo dal IV che la sua dottrina si diffuse così tanto da influenzare i Padri cristiani che invece avevano già da alcuni decenni conosciuto le idee di Porfirio, allievo di Plotino, e risposto ad esse quando criticavano il cristianesimo. In Moreschini, 2004, p. 383.
^Prima di Agostino, la tesi di un'unica Sostanza in tre Persone era già stata stabilita dal Concilio di Nicea. Anche Origene Adamantio e Gregorio Nazianzeno avevano sostenuto come il rapporto che legava il Padre al Figlio e allo Spirito Santo non era di subordinazione ma di parità.
^La "disputa sugli universali" fu una questione a cui Boezio diede un importante contributo con la sua opera di traduzione e commento dell'Isagoge di Porfirio dove l'autore per la prima volta si pone la questione sebbene non proponga alcuna soluzione. In Abbagnano e Fornero, 1996, p. 583.
Bibliografiche
^Giuseppe Faggin, Storia della filosofia, vol. 1, Principato editore, Milano, 1983, pag. 201-202.