La carriera militare del padre Francesco lo costringe a continui trasferimenti: vive a Milano, Reggio Emilia e Sassari. In quest’ultima città il padre si presta, per passione, ad affrescare un edificio degli ufficiali, tramandando al figlio la sua sensibilità artistica. La famiglia si trasferisce poi a Padova, dove Felice svolge gli studi liceali e coltiva la sua attitudine musicale.
La formazione e gli inizi
Nel 1901, in seguito a un esaurimento nervoso, è costretto a un periodo di riposo sui colli Euganei; qui comincia per la prima volta a dipingere, affinando poi la tecnica presso l'artista Giovanni Vianello.
Dopo la morte del padre, nel 1917 si trasferisce con la famiglia a Torino, divenendo ben presto una figura centrale nei circoli intellettuali della città. Frequenta il compositoreAlfredo Casella con cui condivide la passione per la musica, testimoniata anche dal figlio che in un'intervista afferma "Verso sera per tutta la vita dedicò almeno mezz'ora al pianoforte, suonava per sé e non per gli altri, sovente a quattro mani con mia madre"[1]. Stringe rapporti di amicizia con Piero Gobetti, aderendo nel 1922 al gruppo antifascista della "Rivoluzione Liberale", e per questo viene arrestato e dopo pochi giorni rilasciato. Nel 1923 lo stesso Gobetti gli dedica una biografia.[2]
Nel 1924 tiene una mostra personale alla Biennale di Venezia, accompagnata da un saggio di presentazione del critico d'arte Lionello Venturi.[3] Nel 1925 figura tra i fondatori della Società di Belle Arti Antonio Fontanesi, con lo scopo di promuovere mostre di artisti italiani e stranieri dell'Ottocento e contemporanei. Tra il 1923 e il 1925 realizza il progetto di recupero del Teatro di Torino con Gigi Chessa e Riccardo Gualino. Da quest’ultimo riceve l’incarico di decorare un piccolo teatro privato in via Galliari assieme all'architetto Alberto Sartoris. Il teatro venne inaugurato nell‘aprile del 1925 e resta aperto fino al 1929.
Alla III Biennale delle arti decorative organizzata dall'ISIA di Monza nel 1927 collabora nuovamente con Sartoris per il padiglione piemontese; progetta inoltre l'atrio della Mostra dell'architettura alla Triennale di Milano del 1933. Viene chiamato dalla storica dell'arte Margherita Sarfatti per partecipare alle mostre del Novecento italiano nel 1926 e nel 1929; si mantiene tuttavia autonomo rispetto a questo movimento artistico.
Nel 1930 sposa la britannica Daphne Maugham, che frequentava la sua scuola dal 1926; il figlio dei due, Francesco, diventerà a sua volta pittore. Nel 1935 lo studio di Casorati ed Enrico Paulucci ospita la Prima mostra collettiva d'arte astratta italiana, comprendente opere di Licini, Melotti e Fontana. Vince il Gran Premio per la pittura alla XXI Biennale di Venezia nel 1938. Riceve riconoscimenti ufficiali anche alle grandi esposizioni di Parigi, Pittsburgh e San Francisco alla fine degli anni trenta.
Nel 1941 gli viene assegnata la cattedra di Pittura all'Accademia Albertina di Torino, ne diventa direttore nel 1952 e poi presidente nel 1954.[4] All'accademia ha numerosi allievi, tra i quali il figlio Francesco, Nino Aimone, Romano Campagnoli, Mauro Chessa, Francesco Tabusso, Marcolino Gandini, Gianluigi Mattia, Alice Psacaropulo e molti altri. La fama che lo circonda induce l'imprenditore Giuseppe Verzocchi a contattarlo alla fine degli anni quaranta per contribuire alla sua collezione sul lavoro nella pittura contemporanea, ora conservata a Palazzo Romagnoli (Forlì). Nel 1952 tiene una personale alla Biennale, e con Ottone Rosai riceve il premio speciale della Presidenza.
Nel 1955 contribuisce al lancio della Fiat 600 con un quadro di grandi dimensioni, che raffigura in primo piano la macchina simbolo della Torino industriale.
Muore il primo marzo 1963 dopo venti giorni dall’amputazione della sua gamba sinistra a seguito di un'embolia.
Pensiero artistico
"Vorrei saper proclamare la dolcezza di fissare sulla tela le anime estatiche e ferme, le cose mute e immobili, gli sguardi lunghi, i pensieri profondi e limpidi... la vita di gioia e non di vertigine, la vita di dolore e non di affanno. No, perché fuggire veloci in automobile, perché imitare il fulmine, la saetta, il lampo? Io vorrei invece adagiarmi nel più morbido letto e avere intorno a me, così a portata di mano, le cose più care, sempre, eternamente... Quale sincerità si cerca nell'arte? La sincerità esterna o la sincerità intima, interiore?"[5]
Tutto il pensiero di Casorati si riveste di intimità religiosa.
In occasione della I Quadriennale di Roma del 1931 Casorati pubblica "I Quadriennale d'arte nazionale"[6], un testo nel quale spiega il suo linguaggio artistico. Le sue opere danno spesso l’impressione di essere pietrificate come sculture e questo perché, invece di ricercare l'espressione attraverso il colore e il segno, vuole piuttosto rendere "il valore della forma, dei piani, dei volumi, ottenuto per mezzo di un colore tonale non realistico"[6]. Le luci e le ombre diventano quindi dei mezzi importanti per sottolineare la plasticità, anche se non è mai chiaro il punto da dove provengono, dandoci l'impressione di un mondo sospeso, senza tempo e quasi fantastico.
La sua pittura, che prende spunto dal sogno e dalla tradizione figurativa della classicità rinascimentale italiana del Trecento e del Quattrocento, è stata avvicinata dai critici alla corrente artistica del cosiddetto realismo magico.
L'artista identifica il quadro Lo studio del 1923 come quello che meglio esprime il suo “schema mentale” e la sua “visione spirituale”.[7] L'opera è andata distrutta nell'incendio del Glaspalast di Monaco del 1931.
Opere principali
Vecchia signorina (1909), olio su tela, GAM, Torino;
Riceve una grande quantità di riconoscimenti durante tutta la sua carriera. Il primo riconoscimento fu la medaglia d'oro del Ministero della Pubblica Istruzione assegnata nel 1909 durante l'Esposizione di Rimini.[20]
Viene nominato membro di merito effettivo dell'Accademia di San Luca e riceve la medaglia d'oro al merito professionale in Campidoglio.[21]
Numerose città italiane gli hanno dedicato delle vie. Un liceo artistico porta il suo nome a Novara e una scuola secondaria di primo grado gli è dedicata a Pavia.
^ Lionello Venturi, Il pittore Felice Casorati, in Dedalo, IV, 1923.
^Felice Casorati, su casorati.net. URL consultato l'8 aprile 2018.
^Claudia Gian Ferrari, Casorati e la Biennale di Venezia, in Felice Casorati dagli anni venti agli anni quaranta, Milano, Electa, 1996, pp. 35-36.
^ab Felice Casorati, I Quadriennale d'arte nazionale, Roma, Palazzo delle Esposizioni, 1931.
^Felice Casorati, conferenza tenuta all'Università di Pisa nel 1943, pubblicata in Felice Casorati 1883-1963, catalogo della mostra a cura di M.M. Lamberti e P. Fossati, Accademia Albertina, Torino, 1985.