Il calendario romano o calendario pre-giuliano denota l'insieme dei calendari che furono in uso nella Roma Antica dalla sua fondazione fino all'avvento nel 46 a.C. del calendario giuliano. Secondo la tradizione, il calendario romano fu istituito nel 753 a.C. da Romolo, fondatore di Roma: subì diverse modifiche nel corso dei secoli, venendo infine sostituito nel 46 a.C. dal calendario giuliano promulgato da Gaio Giulio Cesare.
Organizzazione e revisioni
Calendario di Romolo
Il calendario romano fu revisionato diverse volte fra la fondazione di Roma e la caduta dell'Impero romano d'Occidente.
Una testimonianza importante è di Macrobio nella I giornata dei Saturnalia. In origine era un calendario lunare diviso in dieci mesi con inizio alla luna piena di marzo (il 15), istituito, secondo la tradizione, da Romolo, fondatore di Roma, nel 753 a.C.: sembra fosse basato sul calendario lunare greco. I mesi, in realtà non lunari in quanto la durata del mese avrebbe dovuto essere di 29,5 giorni, erano:
Calendario di Romolo
Martius (31 giorni)
Aprilis (30 giorni)
Maius (31 giorni)
Iunius (30 giorni)
Quintilis (31 giorni)
Sextilis (30 giorni)
September (30 giorni)
October (31 giorni)
November (30 giorni)
December (30 giorni)
In totale, quindi, il calendario durava 304 giorni e c'erano circa 61 giorni di inverno che non venivano assegnati ad alcun mese:[1] in pratica, dopo dicembre, si smetteva di contare i giorni per riprendere nuovamente il conteggio al marzo successivo.
I primi mesi prendevano il nome dalle principali divinità legate alle attività umane: Marte (la guerra), Afrodite (l'amore), Maia (la fertilità della terra) e Giunone (la maternità e la procreazione); gli altri avevano il nome che ricordava la loro posizione nel calendario: quintilis derivava da quinque, sextilis da sex, september da septem, october da octo, november da novem e december da decem.
Ovidio nei suoi Fasti spiega che Romolo creò il primo calendario basandosi sul periodo di gestazione del nascituro nel grembo materno.[2]
Parte della critica moderna ritiene che il calendario romano sia sempre stato della durata di dodici mesi, relegando quindi a leggenda il calendario romuleo in dieci mesi.[3]
Calendario di Numa Pompilio
Numa Pompilio, il secondo dei sette re di Roma, modificò il calendario nel 713 a.C., aggiungendo i mesi di gennaio e febbraio ai dieci preesistenti. Complessivamente, egli aggiunse 51 giorni ai 304 del calendario di Romolo, togliendo un giorno da ciascuno dei sei mesi che ne avevano 30 (facendoli così diventare dispari), e aggiungendone 57 coi mesi di gennaio e febbraio. A gennaio vennero assegnati 29 giorni e a febbraio 28. Degli undici mesi con un numero dispari di giorni, quattro ne avevano 31 e sette ne avevano 29.
Poiché i numeri pari erano ritenuti sfortunati,[4] febbraio fu considerato adatto come mese di purificazione. Esso fu diviso in due parti, ciascuna con un numero dispari di giorni: la prima parte finiva il giorno 23 con i Terminalia, considerati la fine dell'anno religioso, mentre i restanti cinque giorni formavano la seconda parte.
Al fine di mantenere l'anno del calendario allineato all'anno tropico, veniva aggiunto di tanto in tanto, ma perlopiù ad anni alterni, un mese intercalare, il mercedonio (Mensis Intercalaris o Mercedonius o Mercedinus). Esso era inserito al termine di febbraio che veniva abbreviato a 23 giorni. I rimanenti 5 giorni e altri 22 giorni aggiuntivi costituivano il mercedonio, che constava così di 27 giorni: le sue none cadevano il quinto giorno e le idi il tredicesimo giorno. In questo modo, non si verificavano cambiamenti nelle date e nelle festività. L'anno intercalare, con l'aggiunta del mercedonio, risultava di 377 o 378 giorni, a seconda che esso iniziasse il giorno dopo o due giorni dopo i Terminalia.
La decisione di inserire il mese intercalare spettava al pontefice massimo e in genere veniva inserito ad anni alterni. Inizialmente il mese intercalare era inserito con lo schema: anno normale, anno con mercedonio con 22 giorni aggiuntivi, anno normale, anno con mercedonio con 23 giorni aggiuntivi, e così via.[5] Successivamente,[6] per correggere lo sfasamento della corrispondenza tra mesi e stagioni dovuta all'eccesso di un giorno dell'anno medio romano sull'anno solare, l'inserimento del mese intercalare fu modificato secondo lo schema: anno normale, anno con mercedonio con 22 giorni aggiuntivi, anno normale, anno con mercedonio con 23 giorni aggiuntivi, e così via per i primi 16 anni di un ciclo di 24.[5] Negli ultimi 8 anni l'intercalazione avveniva solo con mese mercedonio da 22 giorni, tranne l'ultima intercalazione che non avveniva: anno da 355, anno da 377, anno da 355, anno da 377, anno da 355, anno da 377, anno da 355, anno da 355.[5] Il risultato di questo schema ventiquattrennale era di una grande precisione per l'epoca: 365,25 giorni, come risulta dal seguente calcolo:
Tuttavia, nel corso del tempo, numerosi pontefici massimi, invece di seguire scrupolosamente lo schema del ciclo di 24 anni, si arrogarono il diritto di aggiungere e sopprimere il mese intercalare a loro piacere, in maniera arbitraria. Da ciò ne conseguì, nel corso dei secoli, un sempre crescente sfasamento tra mesi e stagioni, tanto che all'epoca di Giulio Cesare (I secolo a.C.) i mesi che avrebbero dovuto corrispondere all'inverno cadevano invece in autunno. Lo stesso Cesare, una volta rivestita la carica di pontefice massimo, volle porre rimedio a tale sfasamento, e nel 47 a.C. incaricò un astronomo alessandrino, Sosigene, di riformare il calendario romano. Sosigene, per correggere lo sfasamento di ben 67 giorni creatosi nel corso dei secoli a causa dell'arbitrio dei pontefici massimi, propose di aggiungere, oltre alla già prevista intercalazione di 23 giorni, due ulteriori mesi all'anno 46 a.C., che dunque fu eccezionalmente di 15 mesi (corrispondenti a 456 giorni).[7] Secondo Svetonio, infatti:
(LA)
«Conuersus hinc ad ordinandum rei publicae statum fastos correxit iam pridem uitio pontificum per intercalandi licentiam adeo turbatos, ut neque messium feriae aestate neque uindemiarum autumno conpeterent; annumque ad cursum solis accommodauit, ut trecentorum sexaginta quinque dierum esset et intercalario mense sublato unus dies quarto quoque anno intercalaretur. quo autem magis in posterum ex Kalendis Ianuariis nouis temporum ratio congrueret, inter Nouembrem ac Decembrem mensem interiecit duos alios; fuitque is annus, quo haec constituebantur, quindecim mensium cum intercalario, qui ex consuetudine in eum annum inciderat.»
(IT)
«Rivòltosi poi a riordinare lo Stato, riformò il calendario, che già da tempo, per colpa dei pontefici - mediante l'abuso di inserire giorni intercalari - era talmente scompigliato, che il tempo della mietitura non cadeva più in estate e quello della vendemmia non più in autunno. Regolò l'anno sul corso del sole: esso fu di trecentosessantacinque giorni, e, eliminato il mese intercalare, si inserì un giorno ogni quattro anni. E perché in avvenire, a partire dalle successive Calende di gennaio, il conteggio del tempo fosse più preciso, tra novembre e dicembre inserì altri due mesi; con ciò, l'anno in cui si fissavano queste innovazioni fu di quindici mesi, compreso quello intercalare che, secondo la vecchia norma, era caduto in quell'anno.»
(Svetonio, Cesare, 40.)
A partire dal 46 a.C. entrò in vigore il Calendario giuliano ideato da Sosigene, che, seppur in un ciclo di soli 4 anni (3 normali da 365 + 1 bisestile da 366), aveva la stessa precisione del calendario di Numa: 365 giorni e 1/4. Per migliorare davvero la precisione del calendario civile, avremmo dovuto attendere il 1582 d.C., quasi 23 secoli dopo Numa, con il Calendario gregoriano.
Il calendario di Numa Pompilio venne riesaminato quando ad essere pontefice massimo fu Giulio Cesare: venne così istituito, nel 46 a.C., il calendario giuliano. Quest'ultimo eliminò il mese di mercedonio, portò la durata dell'anno a 365 giorni e introdusse l'anno bisestile: le riforme al calendario giuliano furono completate sotto il suo successore Augusto, che lo rimise in ordine dopo le guerre civili. Quintilis fu ribattezzato Iulius nel 44 a.C. in onore a Giulio Cesare e Sextilis fu ribattezzato Augustus nell'8 a.C. in onore allo stesso Augusto, in quanto quest'ultimo durante questo mese era divenuto per la prima volta console e aveva ottenuto grandi vittorie.[8] Il calendario giuliano rimase in vigore per molti secoli anche dopo la caduta dell'impero romano, sostituito solo nel 1582 dal calendario gregoriano.
I giorni
Nel calendario romano, tre erano i giorni che avevano un loro nome peculiare. Il primo era il giorno delle calende, da cui deriva la parola calendario: individuava il primo giorno di ogni mese.
Gli altri due erano le none e le idi, mobili a seconda della durata del mese: in marzo, maggio, quintile e ottobre, le none cadevano il settimo e le idi il quindicesimo giorno mentre negli altri mesi esse cadevano il quinto ed il tredicesimo giorno. Questo sistema era in origine basato sulle fasi lunari: le calende erano il giorno della luna nuova, le none erano il giorno del primo quarto (mezza luna), le idi il giorno della luna piena.[9][10]
Mesi con None e Idi cadenti il 5º e 13º giorno
gennaio, febbraio, aprile, giugno, agosto, settembre, novembre e dicembre
Mesi con None e Idi cadenti il 7º e 15º giorno
marzo, maggio, luglio e ottobre
Il modo di indicare una data era molto differente da quello attualmente in vigore. I Romani non contavano i giorni a partire dall'inizio del mese (primo, secondo, terzo, ..., giorno dall'inizio del mese), ma contavano i giorni mancanti alle calende, none o idi, a seconda di quali di esse fossero più vicine, un po' come quando si contano i giorni mancanti alla data di un particolare evento molto atteso.
Essi, inoltre, contavano tutto incluso (cioè comprendevano nel conteggio anche i giorni di partenza e di arrivo): così, ad esempio, il 3 settembre era considerato il terzo, e non il secondo, giorno prima delle none, quando queste cadevano il 5.
Giorni
Abbreviazioni
Martius Maius Iulius October
Augustus December Ianuarius
Aprilis Iunius September November
Februarius (bisestile)
Februarius (non bisestile)
Kalendis
Kal.
1
ante diem sextum Nonas
a.d. VI Non.
2
ante diem quintum Nonas
a.d. V Non.
3
ante diem quartum Nonas
a.d. IV Non.
4
2
ante diem tertium Nonas
a.d. III Non.
5
3
pridie Nonas
prid. Non.
6
4
Nonis
Non.
7
5
ante diem octavum Idus
a.d. VIII Id.
8
6
ante diem septimum Idus
a.d. VII Id.
9
7
ante diem sextum Idus
a.d. VI Id.
10
8
ante diem quintum Idus
a.d. V Id.
11
9
ante diem quartum Idus
a.d. IV Id.
12
10
ante diem tertium Idus
a.d. III Id.
13
11
pridie Idus
prid. Id.
14
12
Idibus
Id.
15
13
ante diem nonum decimum Kalendas
a.d. XIX Kal.
14
ante diem octavum decimum Kalendas
a.d. XVIII Kal.
15
14
ante diem septimum decimum Kalendas
a.d. XVII Kal.
16
15
ante diem sextum decimum Kalendas
a.d. XVI Kal.
17
16
14
ante diem quintum decimum Kalendas
a.d. XV Kal.
18
17
15
ante diem quartum decimum Kalendas
a.d. XIV Kal.
19
18
16
ante diem tertium decimum Kalendas
a.d. XIII Kal.
20
19
17
ante diem duodecimum Kalendas
a.d. XII Kal.
21
20
18
ante diem undecimum Kalendas
a.d. XI Kal.
22
21
19
ante diem decimum Kalendas
a.d. X Kal.
23
22
20
ante diem nonum Kalendas
a.d. IX Kal.
24
23
21
ante diem octavum Kalendas
a.d. VIII Kal.
25
24
22
ante diem septimum Kalendas
a.d. VII Kal.
26
25
23
ante diem bis sextum Kalendas
a.d. bis VI Kal.
24
ante diem sextum Kalendas
a.d. VI Kal.
27
26
25
24
ante diem quintum Kalendas
a.d. V Kal.
28
27
26
25
ante diem quartum Kalendas
a.d. IV Kal.
29
28
27
26
ante diem tertium Kalendas
a.d. III Kal.
30
29
28
27
pridie Kalendas
prid. Kal.
31
30
29
28
Guardando la tabella si può notare come, contando tutto incluso, non esistesse la possibilità di dire: "il secondo giorno prima di..."
Il giorno precedente a queste date fisse era indicato con l'avverbio pridie (il giorno precedente) seguito da Kalendas, Nonas, Idus (in caso accusativo). Ad esempio il 14 luglio era detto pridie Idus Iulias, il 6 marzo pridie Nonas Martias.[11] Il giorno successivo alla data fissa si indicava con l'avverbio postridie e poi con il caso accusativo (ad esempio l'8 marzo era detto postridie Nonas Martias).
Pertanto, i mesi di marzo, maggio, luglio e ottobre con le idi cadenti il 15, avevano 31 giorni, come avviene anche attualmente, mentre gli altri ne avevano 29, a differenza di oggi che ne hanno 30, eccetto febbraio che ne aveva 28. Per riallineare l'anno di calendario con l'anno solare fu aggiunto il mese di mercedonio di 22 o 23 giorni: questa aggiunta doveva verificarsi ad anni alterni, ma non fu sempre così e ciò rese necessario apportare delle riforme.
I mesi
La riforma di Numa Pompilio, con l'introduzione di luglio e agosto, portò da 10 a 12 il numero di mesi originariamente istituiti da Romolo. Essi erano:
L'anno romano aveva inizio il 1º di marzo, come si ricava dai nomi dei mesi in latino che seguono Iunius (giugno), iniziando da Quintilis, cioè il Quinto (mese). Non si conosce il momento in cui si passò a considerare il 1º gennaio come l'inizio dell'anno. Alcuni autori antichi attribuirono la decisione a Numa Pompilio, mentre Marco Terenzio Varrone, sulla base di un commentario di Marco Fulvio Nobiliore (console 159 a.C.) sui fasti da lui stesso posti nel tempio di Ercole e le Muse nel 153 a.C., sosteneva che, poiché il nome gennaio (presente in questi fasti) deriva dal dio Giano bifronte, e quindi di frontiera (in questo caso tra due anni), tale innovazione fu introdotta a partire dal 153 a.C. Un calendario risalente alla tarda repubblica romana prova che l'anno iniziava a gennaio prima della riforma introdotta dal calendario giuliano.
Agli inizi della Repubblica romana, gli anni non venivano contati: essi erano individuati con il nome del console che era in carica (per la corrispondenza si veda Consoli repubblicani romani). Per cui non si individuava l'anno con un'indicazione numerica, ma con i nomi dei consoli in carica. Successivamente, nella tarda Repubblica, si cominciò a contarli dalla fondazione di Roma (ab Urbe condita), avvenuta secondo la tradizione nel 753 a.C.. Perciò in alcune iscrizioni il numero dell'anno è seguito dall'acronimo AVC, che significa appunto Ab Urbe Condita (la lettera V rappresenta la U).
Durante il tardo Impero romano si usò anche contarli dall'insediamento di Diocleziano con la sigla AD che sta per Anno Diocletiani da non confondere con la sigla A.D. usata nel medioevo con il significato di Anno Domini.
Il ciclo nundinale
I Romani, così come gli Etruschi, adottavano una settimana di 8 giorni, i quali erano contrassegnati con le lettere dalla A alla H. Dato che l'anno iniziava sempre con la lettera "A", ogni data era sempre contraddistinta dalla stessa lettera. A questo scopo anche il giorno addizionale, che veniva inserito negli anni bisestili dopo il 24 febbraio, aveva la stessa lettera del giorno precedente.[12]
Tale settimana veniva chiamata ciclo nundinale ed era cadenzata dai giorni di mercato, che si svolgevano ogni otto giorni. Essi erano le cosiddette nùndine (dal lat. nundinae, composto da novem nove e dies giorno,[13]) da cui l'aggettivo nundinale per scandire la periodicità settimanale di "nove giorni" (dovuta al conteggio tutto incluso dei Romani, laddove oggi diremmo periodicità di otto giorni). Poiché la durata dell'anno non era un multiplo di 8 e tenendo conto che esso iniziava sempre con la lettera "A", si aveva che la lettera per il giorno di mercato (nota come lettera nundinale), pur rimanendo costante durante tutto l'anno, non era la stessa al passare degli anni. Infatti nel calendario pregiuliano l'anno ordinario di 355 giorni era composto di 44 periodi nundinali (completi di 8 giorni) più 3 giorni residui (la lettera finale dell'anno era pertanto la "C"), nel calendario giuliano l'anno ordinario (di 365 giorni) era composto di 45 periodi nundinali più 5 giorni residui (la lettera finale dell'anno era dunque la "E").
Volendo fare un esempio, se la lettera per i giorni di mercato di un dato anno era stata la "H" e l'anno era di 355 giorni, l'ultimo giorno di mercato nell'anno era il 352-esimo e la lettera nundinale per il giorno di mercato dell'anno successivo diventava la "E"[14].
Il ciclo nundinale scandiva la vita romana: sebbene esistessero tanto mercati giornalieri (macella) quanto fiere periodiche (mercatus), le nundinae erano i giorni nei quali la gente di campagna interrompeva il lavoro nei campi per andare in città a vendere i propri prodotti. Era un'occasione per informare la popolazione del contado degli atti amministrativi. L'importanza delle nundine era tale che fu approvata una legge nel 287 a.C. (la Lex Hortensia) che vietava i comizi e le elezioni in quel giorno, sebbene consentisse lo svolgimento delle cause, e questo perché i cittadini dalla campagna non fossero costretti a raggiungere appositamente l’Urbe per comporre le loro liti, ma lo potessero fare negli stessi giorni nei quali già venivano per il mercato.
Agli inizi del periodo repubblicano nacque la superstizione che portasse sfortuna cominciare l'anno (calende di gennaio) con un giorno di mercato. Era anche considerato pericoloso che il giorno di mercato coincidesse con le none di ciascun mese, dal momento che, in quell'occasione si tenevano le celebrazioni per l’anniversario della nascita di Servio Tullio (si sapeva che era nato nelle none, ma non di quale mese); in particolare si temeva che nell'occasione, potessero avvenire dei tumulti tesi a riportare un re sul trono. Il pontefice massimo, a cui spettava la gestione del calendario, adottava le opportune misure per evitare che ciò accadesse.
Poiché durante la Repubblica il ciclo nundinale era rigidamente di otto giorni, le informazioni sulle date dei giorni di mercato rappresentano uno degli strumenti più importanti in nostro possesso per determinare a quale giorno del calendario giuliano corrisponde un determinato giorno del calendario romano.
Il ciclo nundinale venne successivamente sostituito dalla settimana di sette giorni, entrata in uso agli inizi del periodo imperiale, dopo l'avvento del calendario giuliano. Il vecchio sistema di lettere nundinali viene comunque utilizzato ancora oggi, riadattato per la settimana di sette giorni (cfr. lettera dominicale). Per qualche tempo la settimana e il ciclo nundinale coesistettero, ma quando la settimana fu ufficialmente istituita da Costantino I nel 321 d.C., il ciclo nundinale era già caduto in disuso.
Costantino sostituì la dies solis (giorno del sole) con la dies dominica (giorno del Signore), effettuando un compromesso tra mondo pagano e mondo cristiano. Infatti, la durata di sette giorni corrispondeva alle attese dei cristiani, che ottenevano l'ufficializzazione della settimana ebraica, mentre ai giorni venivano dati i nomi degli dei pagani. I cristiani affiancarono le proprie denominazioni ad alcune denominazioni ufficiali dei giorni, in particolare per il sabato e la domenica.
Il ciclo nundinale in vigore nel calendario romano venne sostituito dalla seguente settimana nel calendario giuliano
Italiano
Latino (pagani)
Latino (cristiani)
Domenica
Solis dies
Dies dominica
Lunedì
Lunae dies
Feria secunda
Martedì
Martis dies
Feria tertia
Mercoledì
Mercurii dies
Feria quarta
Giovedì
Iovis dies
Feria quinta
Venerdì
Veneris dies
Feria sexta
Sabato
Saturni dies
Sabbatum
(LA)
«Dies dicti sunt a deis quorum nomina Romani quibusdam stellis dedicaverunt. Primum enim diem a Sole appellaverunt, qui princeps est omnium stellarum ut idem dies caput omnium diorum. Secundum diem a Luna appellaverunt, quae ex Sole lucem accepit. Tertium ab stella Martis, quae vesper appellatur. Quartum ab stella Mercurii. Quintum ab stella Jovis. Sextus a Veneris stella, quam Luciferum appellaverunt, quae inter omnes stellas plurimum lucis habet. Septimum ab stella Saturni, quae dicitur cursum suum triginta annis explere. Apud Hebraeos autem dies primus dicitur unus dies sabbati, qui apud nos dies dominicus est, quem pagani Soli dedicaverunt. Sabbatum autem septimus dies a dominico est, quem pagani Saturno dedicaverunt.»
(IT)
«I giorni erano chiamati secondo gli dei con i nomi dei quali i Romani intitolavano le stelle. Il primo dei giorni fu dedicato al Sole, che era il principe di tutte le stelle ed era il giorno di tutti gli dei. Il secondo giorno fu intitolato alla Luna, che riceve la luce dal sole. Il terzo alla stella Marte, che è chiamata Vespro (perché compare per prima di sera). Il quarto alla stella Mercurio. Il quinto alla stella Giove. Il sesto alla stella Venere, che chiamano Lucifero, che ha la maggiore luce tra tutte le stelle. Il settimo alla stella Saturno, che si dice impieghi trent'anni nel suo percorso celeste. Tra gli Ebrei tuttavia viene detto primo giorno il giorno del Sabato, il quale primo giorno da noi è il giorno del Signore, che i pagani dedicavano al Sole. Il Sabato, che i pagani dedicarono a Saturno, è, invece, il settimo giorno da quello del Signore,.»
Per i Romani il giorno iniziava al levare del sole: l'intervallo di tempo compreso tra l'alba e il tramonto veniva diviso in 12 ore (horae).
In altri termini, il periodo di luce della giornata veniva diviso in 12 ore, indipendentemente dal fatto che ci si trovasse in estate o inverno. Questo comportava che la durata delle ore era variabile: all'equinozio un'ora "romana" durava quanto un'ora attuale, mentre al solstizio d'inverno essa era più corta e in quello d'estate più lunga.
L'hora prima era la prima ora dell'alba, l'hora duodecima era l'ultima ora di luce al tramonto, mentre il punto mediano identificava l'hora sexta o meridies (mezzogiorno).
Nella vita militare la notte era divisa in 4 vigiliae (prima vigilia, secunda vigilia, tertia vigilia e quarta vigilia) o turni di guardia, ciascuna di 3 ore in media. Nella vita civile si usavano dei termini più generici per indicare le varie parti della notte.
Si riporta una tabella approssimativa di corrispondenza delle ore.
^Circa l'origine di un ciclo di questo tipo, un'ipotesi suggestiva anche se priva del consenso degli scienziati è quella avanzata dal braminoindianoBal Gangadhar Tilak (La dimora artica nei Veda, Genova, ECIG, 1994. ISBN 88-7545-605-4), secondo il quale il calendario romano di dieci mesi sarebbe nato presso una popolazione originaria di una regione nei pressi dell'Artico, dove la notte polare durava due mesi: in questi due mesi il sole non sorgeva e quindi non si sarebbero contati i relativi giorni. Questa stessa popolazione avrebbe dato origine ai Veda, studiando i quali Tilak giunse a questa conclusione. Negli ambienti scientifici questa tesi è generalmente considerata priva di fondamento, ma ha avuto un certo favore presso alcuni ambienti tradizionalisti, pagani o meno.
^L'epoca in cui fu attuata la correzione è ignota: alcuni studiosi l'attribuirono allo stesso Numa Pompilio, altri al re etrusco di Roma Tarquinio Prisco, altri ancora ai decemviri. Cfr. Nuova enciclopedia italiana, che a sua volta rimanda al VII tomo del Thesaurus antiquitatum romanorum del Grezio (Utrecht, 1694, 12 volumi).
^La parola "calende" (in latinocalendae) deriva dal latino calare, ossia "chiamare, convocare", in quanto in questi giorni i Romani convocavano il popolo per bandire le feste, i giochi, i giorni fasti e nefasti. Le "none" (latino nonae) erano cosiddette perché erano il nono giorno prima delle idi (sempre contando sia il giorno di partenza che di arrivo). Il termine "idi" in latino era maschile e al singolare faceva idus e, più anticamente, eidus, che secondo l'etimologia tradizionale latina deriverebbe dal verbo di origine etrusca iduo "divido", perché le idi dividevano in due la durata dei mesi. I filologi moderni, però, mettono piuttosto la parola in relazione con la radice indoeuropeaidh "splendere", per cui essa significherebbe "il chiarore della luna piena; plenilunio". Cfr. il Vocabolario etimologico della lingua italiana di Ottorino Pianigiani, consultabile in linea su www.etimo.it.
^Luigi Castiglioni, Scevola Mariotti, Vocabolario della lingua latina, ed. Loescher, pag. 2249-2250.
^Luigi Castiglioni, Scevola Mariotti, Vocabolario della lingua latina, ed. Loescher, pp. 2249-2250.