L'onomastica germanica comprende una vastissima schiera di nomi originatisi all'interno delle lingue germaniche, quelle cioè parlate dalle tribù che dalla Scandinavia andarono a stabilirsi nell'Europa centrale[1].
Olandese (basso franco)
Frisone (anglosassone)
Inglese (anglosassone)
Scozzese (anglosassone)
Basso tedesco (sassone)
Tedesco centrale (alto tedesco)
Tedesco superiore (alto tedesco)
Danese (scandinavo orientale)
Svedese (scandinavo orientale)
Norvegese (scandinavo occidentale)
Faroese (scandinavo occidentale)
Islandese (scandinavo occidentale)
Linea che divide le lingue germaniche settentrionali da quelle occidentali.
I nomi germanici cominciano ad essere documentati sin dal I secolo, nelle persone di Arminio e di sua moglie Thusnelda (e dei loro familiari); va citato inoltre l'Elmo di Negau, risalente circa al 400 a.C., nella cui iscrizione, scritta in etrusco, alcuni studiosi hanno identificato un nome germanico, "Harigast"[2]; se l'ipotesi fosse corretta, esso sarebbe tra i più antichi nomi germanici documentati.
Successivamente, molti nomi sono attestati nei poemi epici germanici scritti fra il IV e il VII secolo, e anche il periodo medievale ne apporta una grande quantità. L'avvento del cristianesimo presso le tribù germaniche segnò, nella maggioranza dei casi, l'eliminazione dei nomi pagani, alcuni dei quali però continuarono ad essere usati, sebbene il loro significato fosse ignoto ai più[3]. Inoltre, i nomi tipicamente cristiani (di origine perlopiù ebraica, greca e latina) cominciarono a diffondersi nei paesi germanici, partendo prima dalle classi sociali più elevate e venendo poi adottati dal popolo[3].
Nonostante i nomi germanici costituiscano tuttora una larga fetta dell'onomastica europea, si tratta di una percentuale molto piccola della sterminata varietà che era in uso nel Medioevo; ad esempio, dei nomi originatisi all'interno dell'ambito inglese antico ben pochi sono giunti ai giorni nostri in maniera cospicua (fra i più diffusi, Edoardo, Edmondo, Alfredo e Aroldo).
Maggiormente diffusi nelle zone di origine - e a volte lì confinati, come la maggioranza dei nomi norreni i cui discendenti sono ad oggi usati in Scandinavia - , molti nomi germanici si sono sparsi oltre tali confini a seguito di contaminazioni culturali (invasioni e periodi di dominazione da parte di tribù germaniche): per esempio, nomi come Alonso e Rodrigo, assai diffusi nella penisola iberica, sono un lascito dei Vandali; adattamenti di nomi tipicamente scandinavi si trovano ad esempio in Russia, con Igor, Olga e Gleb.
Presso le tribù germaniche, erano in vigore regole specifiche per la creazione e la scelta di un nome: tali norme erano rispettate nei nomi germanici più antichi, ma col passare del tempo smisero di essere così ferree, quindi diversi nomi germanici tardi non rispondono più a queste linee guida[3].
Come prima cosa va premesso che, ai tempi delle tribù germaniche, la differenza fra un nome e un soprannome era piuttosto labile[3]; inoltre, non esistevano i cognomi: il loro compito veniva occasionalmente svolto dai patronimici, ma anche laddove non ce ne fossero la varietà di nomi era talmente ampia che le omonimie erano rare[3].
La scelta del nome da parte dei genitori di un bambino, piuttosto che dipendere da caratteristiche fonetiche, aveva valore augurale o spirituale: frequentemente i genitori apponevano ai loro figli nomi che intendevano essere di buon auspicio, come ad esempio Gerhard (composto da ger, "lancia", e hard, "coraggioso") se desideravano che il figlio divenisse un bravo lanciere[3]. Il nome apposto alla nascita non necessariamente era quello che si portava tutta la vita: se esso strideva con la personalità o l'occupazione dell'individuo, era usanza comune cambiarlo, scegliendone uno che lo descrivesse più correttamente[3]. Ciò implica anche, ad esempio, che non era possibile formare nomi femminili contenenti elementi riferiti ad armi: poiché alle donne non era permesso portare armi, era insensato dare ad una figlia un nome che vi si riferisse[3]. Tuttavia, potevano essere inseriti elementi facenti riferimento alla guerra in generale, come gunþjo, wig e hildjo[3] (quest'ultimo particolarmente diffuso). Un ulteriore dettaglio è che alcuni elementi erano "riservati" a persone di alto lignaggio: ad esempio, dei popolani non avrebbero mai usato elementi come rik (o reihs, reik, "governare", "dominare") o þeudo ("capo del popolo", "popolo") per il proprio figlio, che erano invece scelti da chi effettivamente aveva una posizione di comando[3].
Altra cosa da tenere in considerazione era che le tribù germaniche credevano nella reincarnazione, e secondo le loro credenze gli antenati defunti di una famiglia si "reincarnavano" nei nuovi nati: non era quindi raro, per un genitore, scegliere il nome di un parente deceduto molto caro con il quale battezzare il proprio figlio, così da "invitare" quell'avo in particolare a rivivere nel bambino[3][4].
A fianco dei nomi, nell'onomastica germanica sono presenti anche gli epiteti, cioè soprannomi descrittivi che venivano solitamente imposti da altri (sia amici che nemici); difficilmente una persona si riferiva a sé stessa con il proprio epiteto, che non era mai pronunciato in sua presenza[4].
La cultura delle tribù germaniche dava grande valore alla guerra, al combattimento, alla forza e al coraggio, cosa che si rifletteva nella loro onomastica: sono moltissimi i nomi, tanto fra i maschili quanto fra i femminili, che richiamano questi aspetti della vita. Assai diffusi erano anche nomi contenenti elementi che indicavano animali rappresentativi di virtù care ai popoli germanici, come la forza o il coraggio.
A fianco ad essi, nell'onomastica germanica si conta un certo numero di nomi teoforici, facenti riferimento cioè a divinità o ad altri esseri soprannaturali come gli elfi[3][4]. In tali casi, il nome doveva essere usato in combinazione con un altro elemento, poiché portarlo da solo sarebbe stato arrogante, se non blasfemo: tra i più frequenti fra i nomi scandinavi si ricordano quelli che richiamano il dio Thor (come Thorvald) e quelli riferiti al dio Yngvi (come Ingrid)[3]. Questa pratica in particolare era dovuta a diverse credenze, come quella che un nome teoforico portava salute e longevità e che se qualcuno avesse invocato un dio per una maledizione, essa non avrebbe colpito le persone il cui nome richiamava quel dio[4].
Con la cristianizzazione dei popoli germanici, avviatasi fra il III e il IV secolo, elementi tipici della nuova religione si fecero strada nell'onomastica germanica, rimpiazzando i nomi con riferimenti pagani preesistenti (ad esempio, fra i Franchi occidentali sono attestati crist e pasc, riferiti a Cristo e alla Pasqua)[5]. Alcuni dei nomi pagani vennero riletti in chiave cristiana: ad esempio, quelli contenenti l'elemento god ("dio"), prima riferito a una divinità generica, e poi inteso come richiamo al Dio cristiano[5].
La quasi totalità dei nomi germanici era "ditematica", cioè composta da due elementi[1][3][4]. Si contano rare eccezioni, con nomi composti da tre o da un elemento[3][4], comunque molti di questi ultimi erano in realtà ipocoristici, cioè abbreviazioni di nomi regolarmente ditematici, anche se in non pochi casi determinare quale fosse il nome di partenza è impresa ardua.
Al netto delle interpretazioni moderne, generalmente i nomi germanici non avevano un significato complessivo ben definito[1][6], ma la scelta degli elementi che andavano a comporre un nome era comunque regolata da norme ben precise[3]. Innanzitutto, i due elementi che componevano un nome non erano scelti o disposti a caso: alcuni potevano stare solo al primo posto, altri solo al secondo, altri ancora potevano stare in entrambi[1][3][4]. Mentre il primo elemento era scelto liberamente, il secondo doveva accordarsi col genere del nascituro: le antiche lingue germaniche (similmente all'odierno tedesco) avevano parole maschili, parole femminili e parole neutre. Ne consegue che per il secondo elemento di un nome maschile poteva essere solo un termine maschile, femminile per un nome femminile, mentre le parole neutre potevano stare solo al primo posto[1][3][4]. In alcuni casi, al secondo posto venivano inseriti semplici suffissi indicanti il genere[3]. Vi erano ulteriori regole di composizione, ad esempio il secondo elemento non poteva cominciare con una vocale, se il primo elemento terminava con una "z" essa veniva troncata, e i due elementi non potevano cominciare o finire con la stessa sillaba[3].
I nomi germanici sono più o meno suddivisibili in scandinavi (lingua norrena), anglosassoni (inglese antico), continentali (lingua franca, alto tedesco antico e basso-tedesco) e germanici orientali (fra i quali i nomi dei Goti, dei Vandali e dei Suebi). Tra queste categorie potevano svilupparsi nomi imparentati, ovvero costituiti da termini dei diversi gruppi linguistici corrispondenti fra loro: un esempio è il nome germanico Ansigar (oggi Anscario), che aveva un imparentato norreno in Ásgeirr e uno anglosassone in Osgar.
Identificare correttamente la forma originale e la composizione di un nome è spesso difficile, in primo luogo a causa delle abbreviazioni e delle variazioni subite durante l'Alto Medioevo, e poi anche perché molti nomi si sono confusi tra loro per l'estrema somiglianza (come è avvenuto, ad esempio, per Ataulfo e Adolfo, o per Ulrico e Ulderico). Questo problema è stato in alcuni casi acuito da tradizioni come quella diffusa fra i Sassoni, dove era frequente trovare fratelli o sorelle con un nome quasi identico, che magari differivano per un solo elemento, foneticamente simile[7]; tra le tribù scandinave questa era addirittura un'usanza di nomenclatura diffusa, attribuire cioè a tutti i propri figli nomi che cominciavano o terminavano con il medesimo elemento (generalmente ripreso dal nome di uno dei genitori)[4].
Di seguito una lista parziale degli elementi con cui potevano essere composti i nomi germanici; sono riportati anche esempi di nomi contenenti tali elementi.