Il film racconta la storia di Vincenzo Motta, un uomo originario di Catania, che ha vissuto fin da bambino a Genova ed è stato condannato in tutto a 27 anni di galera in diversi momenti della sua vita, che l'hanno reso duro e irascibile, ma con un cuore sensibile. Una delle ultime e più lunghe pene detentive è stata dal 1986 al 2000. È stato detenuto anni prima anche nel carcere di Pianosa.
Giunto a Genova col padre Pippo, che vendeva accendini, sigarette di contrabbando e altri oggetti di dubbia legalità, Enzo è cresciuto così in un ambiente in cui si campava di espedienti, poiché essendo minorenne rischiava meno per la legge. Durante l'ultima detenzione, all'inizio degli anni '90, in carcere conosce e si innamora di una donna transessuale, Mary Monaco, nata nel 1950 a Roma, con un passato di eroinomane e di prostituta nei caruggi, persona dolce e delicata, che ha poi aspettato per dieci anni che Vincenzo scontasse la pena per ricongiungervisi. Nel frattempo, Mary è andata a trovarlo tutti i mesi in carcere, registrando e mandandosi reciprocamente audiocassette per tenersi in contatto e sognando di andare a vivere in campagna coi loro cani.
Il film annulla la divisione convenzionale tra cinema a soggetto e documentario, anche grazie a un montaggio creativo che accosta momenti documentari, interviste della coppia, lettere e numerosi materiali video d'archivio (professionali e amatoriali) su Genova, il suo porto e la sua storia nel Novecento.
Produzione
Il documentario è stato realizzato anche col contributo di Genova Liguria Film Commission e il supporto dell'Associazione San Marcellino.
I protagonisti
Mary Monaco e Vincenzo Motta hanno convissuto dal 2000 al 2010. Dopo l'uscita del documentario, Monaco è morta il 1° agosto 2010, all'età di 59 anni[2]. Vincenzo è stato aiutato dalle associazioni a trovare una nuova casa, in seguito è deceduto l'11 febbraio 2016[3].
Distribuzione
Il film è stato distribuito al cinema il 19 febbraio 2010 dopo l'anteprima sperimentale in streaming trasmessa su MyMovies il 15 febbraio 2010.[4]
"Pietro Marcello, che il popolo cinefilo conosceva per Il passaggio della linea, documentario di spiccata personalità girato su e giù per l'Italia dei treni poveri, ha realizzato con La bocca del lupo un fertile e singolare ibrido. Non del tutto documentario né del tutto finzione. Un insieme che ricorre in abbondanza alla risorsa del repertorio storico e al patrimonio dei filmini amatoriali. (...) Pietro Marcello è una scommessa per il nostro cinema rinnovato di domani. E i suoi strumenti (oggi, domani chissà) non sono quelli della narrazione lineare, della trama descrittiva e tantomeno della spiegazione, ma quelli di un impasto visivo-sonoro evocativo, dell'atmosfera suggeritrice e della suggestione allusiva. La sua cifra è austeramente aristocratica, poetica e fieramente minoritaria: nel produrre una sorta di elitarismo popolare (se si può dire) attinge a Pasolini e De André ma del tutto a modo suo. I suoi Enzo e Mary sono due naufraghi. Reietti ma anche angeli. Il raffinato populismo del film lezione viscontiana, forse, comunque prezioso per asciuttezza e assenza di sbavature retoriche è nell'indicare nella loro ruvida tenerezza, nella loro elementare pulizia, il riscatto da un panorama di macerie."
"Marcello si era già rivelato con il primo film, Il passaggio della linea: un documentario molto sui generis dedicato alle ferrovie secondarie. Qui mescola inchiesta e fìction alternando la storia dei protagonisti con incredibili filmati d'epoca scovati negli archivi di tutti i film-makers amatoriali di Genova. Ne viene fuori un «oggetto» che può ricordare la Elegia di Sokurov, o i film di montaggio del grande armeno Artavazd Pelešjan. Roba per palati fini, ai quali La bocca del lupo, (...) è altamente consigliato."[6]
^ Mirko Zago, La Bocca del lupo, anteprima in streaming, su cinebaleno.it, 1º febbraio 2010. URL consultato il 27 marzo 2010 (archiviato dall'url originale il 24 marzo 2010).