Grazie alla sua inventiva e alla sua padronanza della lingua italiana ha lasciato una profonda impronta sul giornalismo sportivo italiano del XX secolo, con un lascito di numerosi neologismi da lui introdotti e accolti nell'uso del linguaggio calcistico.[1]
Biografia
Nacque a San Zenone al Po, in provincia di Pavia, nel 1919, una comunità prevalentemente contadina, da Carlo Brera e Maria Ghisoni, detta Marietta, quinto e ultimogenito dopo i fratelli Alice, Albino, Norina e Franco. Di se stesso, in proposito, scrisse:
«Il mio vero nome è Giovanni Luigi Brera. Sono nato l'8 settembre 1919 a San Zenone Po, in provincia di Pavia, e cresciuto brado o quasi fra boschi, rive e mollenti [...] Io sono padano di riva e di golena, di boschi e di sabbioni. E mi sono scoperto figlio legittimo del Po.»
(Gianni Brera)
All'età di 13 anni il padre Carlo, sarto e barbiere del paese, lo mandò a studiare a Milano, ospitato dalla sorella maggiore Alice, maestra elementare.[2] Conseguita la licenza media, fece l'esame di ammissione al Liceo Scientifico Vittorio Veneto, superandolo. Iniziò a giocare a calcio come terzino a 15 anni nella squadra "A" del G.C. Giosuè Carducci[3] di Milano, la squadra di un altro liceo, il Liceo Ginnasio G. Carducci, che partecipava al campionato milanese ragazzi 1934-1935.[4] In seguito fu chiamato dall'allenatore Renato Rossi in rappresentativa milanese ragazzi in occasione del "Torneo Baravaglio"[5] organizzato dal Guerin Sportivo a Torino domenica 9 giugno 1935, dove i milanesi sconfissero 2-1 i pari grado del Direttorio della Sezione Propaganda di Torino. Visto il suo trascurare gli studi per il calcio, la sorella d'accordo coi genitori lo rispedì a San Zenone, e lo iscrisse alla terza classe del Liceo Scientifico "T. Taramelli" di Pavia.[6]
A soli 16 anni, nello stesso 1935, iniziò a scrivere dei piccoli articoli a commento del campionato della Sezione Propaganda sul settimanale sportivo milanese Lo schermo sportivo[7]; continuò comunque a giocare nelle squadre ragazzi, passando dal Carducci all'A.C. Vittoria di Milano nella stagione 1935-1936.[8] Di lui si scrisse che avesse giocato nel Milan.[9] Di fatto, pur avendo giocato nei boys della squadra milanese,[10] non arrivò mai a giocare nelle giovanili rossonere; infatti nelle cronache pubblicate dai giornali sportivi negli anni seguenti Brera, che ormai aveva passato il limite di età per giocare nei ragazzi sia provinciali sia regionali, non è mai citato. Da Pavia continuò a spedire corrispondenze al settimanale sportivo milanese "Il nuovo schermo sportivo".[11] A 17 anni fu assunto dal Guerin Sportivo, per seguire la Serie C,[2][12] dove si mise subito in luce tanto da essere considerato la terza miglior penna dopo Bruno Slawitz e Carlo Bergoglio (il "Carlin"). Ritornò al Liceo Scientifico Vittorio Veneto di Milano per gli esami di maturità. Sì iscrisse poi a Scienze politiche all'Università degli Studi di Pavia.
Durante la seconda guerra mondiale, chiamato alle armi, si arruolò volontario nel corpo dei paracadutisti e scrisse per l'ufficio propaganda del Corpo. In seguito a un periodo di addestramento a Bolzano, pubblicò nel 1942 il suo primo racconto, Il paracadutista innamorato, ancora intriso di «infatuazione mussoliniana», su una rivista di cultura fascista, l'Atesia Augusta.[13] Scrisse inoltre la tesi di laurea, sull'Utopia di Tommaso Moro. Lunedì 26 ottobre morì sua madre, il giorno dopo, martedì 27, discusse la tesi e si laureò. I suoi articoli vennero pubblicati anche sul Popolo d'Italia. Dopo l'8 settembre 1943 fuggì in Svizzera e poi venne internato in un campo di lavoro per profughi italiani. Qui entrò in contatto con alcuni esponenti della Resistenza, tra cui Fabrizio Maffi e Giulio Seniga. Quest'ultimo gli fece da garante nel 1944 quando chiese di entrare nella Brigata Garibaldina "Comolli" operante nella Repubblica partigiana dell'Ossola.[2][14][15] Come aiutante di campo della 83ª Brigata Garibaldi "Comolli", facente parte della 2ª Divisione Garibaldi "Redi", fu l'autore del piano che sventò la distruzione per minamento del traforo del Sempione. Brera si gloriò sempre di aver attraversato tutto il periodo della seconda guerra mondiale, da paracadutista e da partigiano, senza aver mai sparato a un altro essere umano.
Rapporti con la politica
Nel 1954 Giulio Seniga ruppe con il Partito Comunista Italiano e si rifugiò a casa di Gianni Brera portando in una valigia un milione di dollari che rappresentavano il finanziamento dell'Unione Sovietica al PCI.
Brera fu candidato alle elezioni al Parlamento nella circoscrizione di Milano-Pavia in due occasioni, con il Partito Socialista e con il Partito Radicale.
Tornato alla vita civile, nel 1945 fu chiamato da Bruno Roghi alla Gazzetta dello Sport, il più importante quotidianosportivoitaliano. Al direttore Brera propose di scrivere di calcio o di boxe, i due sport che meglio conosceva, Roghi invece gli assegnò l'atletica leggera, di cui Brera era del tutto a digiuno ma che imparò presto ad amare, dedicandovi in seguito alcuni saggi e ricoprendo, tra il 1953 e il 1956, la carica di consigliere nazionale della FIDAL.[16]
Nel 1949 la Gazzetta lo mandò come inviato speciale al Tour de France, conteso quell'anno dai tre italiani Fiorenzo Magni, Gino Bartali e Fausto Coppi; il quotidiano vendette un enorme numero di copie e a Brera fu offerta la posizione di direttore, all'età di 30 anni (il più giovane nella storia del giornalismo italiano), assieme a Emilio De Martino e poi Giuseppe Ambrosini. Si dimise dalla direzione della Gazzetta nel 1954 dopo uno scontro con la proprietà che lo aveva accusato di filo-comunismo per aver dato troppo risalto al record mondiale dei 5000 m del sovieticoVladimir Kuc, mettendolo in prima pagina.[2][17]
Nel 1956 venne chiamato da Gaetano Baldacci a dirigere la redazione sportiva del neonato quotidiano Il Giorno. L'edizione del lunedì, con l'inserto sportivo, aumentò le vendite di 30-40 000 copie.[2] Nel frattempo proseguì la sua collaborazione con il Guerin Sportivo di cui curava lo spazio delle risposte ai lettori, la celebre rubrica dell'Arcimatto, dove discuteva degli argomenti più disparati. Rimase al Giorno fino al 1967, quando assunse la direzione del Guerin Sportivo. Negli anni settanta scrisse nuovamente per La Gazzetta dello Sport e per un breve periodo (1979-1982) lavorò per Il Giornale di Indro Montanelli, fino a quando nel 1982 passò a la Repubblica, cui restò legato fino alla morte.
Tra le numerose testate su cui Gianni Brera scrisse vi sono anche il quotidiano francese L'Équipe e quello ungherese Népszabadság. I suoi articoli sono stati tradotti in diverse lingue. Si devono a Brera anche numerosi libri: manuali, saggi, romanzi, racconti e opere teatrali e radiofoniche. Il suo romanzo più celebre fu indubbiamente Il corpo della ragassa (1969), che nel 1978 venne adattato per il cinema da Alberto Lattuada, con la regia di Pasquale Festa Campanile; a seguire Brera scrisse Naso bugiardo (1977, riedito nel 1998 con il titolo La ballata del pugile suonato) e Il mio vescovo e le animalesse (1983), che insieme con Il corpo della ragassa compongono la cosiddetta "Trilogia di Pianariva",[18] in quanto tutti ambientati nei dintorni dell'immaginario borgo della provincia pavese di Pianariva.
Sposatosi nel 1943 con Rina Gramegna (1920-2000), ebbe quattro figli: Franco (n. e m. 1944), Carlo (pittore, 1946-1994), Paolo (scrittore, 1949-2019), Franco (musicista, n. 1951). Fu quest'ultimo figlio a scrivere un articolo, pubblicato sul quotidiano La Repubblica il 22 dicembre 1992, in cui dichiarò, tra l'altro, che suo padre Gianni era sempre stato ateo.[19]
Brera morì circa alle 3.20 di notte di sabato 19 dicembre 1992, in un incidente automobilistico[20]. La sera di venerdì 18 si recò a una cena a Maleo, all'antico Ristorante Albergo del Sole, assieme agli amici Pierangelo Mauri, gastronomo, e Vittorio Ronzoni, viaggiando seduto sui sedili posteriore della Ford Sierra di uno di loro; la cena, una tavolata di una decina di persone, era a base di ragù d'oca; dal ristorante, Brera telefonò all'ex calciatoreAmbrogio Pelagalli, invitandolo ad aggiungersi ai commensali con la sua signora, e così avvenne. Di ritorno, sulla strada che collega Codogno a Casalpusterlengo, una Lancia Thema guidata da un ventiquattrenne di nome Guido Quartieri, che procedeva in senso opposto all'elevatissima velocità di circa 170 km/h, sbandò e invase la carreggiata dove viaggiava l'auto con a bordo Brera, uccidendone sul colpo i tre occupanti.[21] Brera è sepolto nel cimitero della natia San Zenone al Po, nella tomba familiare. Due anni dopo, al processo, Guido Quartieri patteggiò una pena di un anno e dieci mesi di reclusione per omicidio colposo plurimo.
L'ideologia calcistica e le polemiche
Gianni Brera, cultore dello studio del carattere nazionale,[22] ha legato indissolubilmente il proprio nome alla filosofia calcistica del gioco all'italiana, ovvero catenaccio e contropiede.[2]
L'idea di togliere un attaccante e aggiungere un difensore esentato da marcature (il cosiddetto "libero") nacque in Svizzera negli anni trenta. Il successo dell'innovazione si misurò al mondiale del 1938, in cui la Svizzera riuscì ad eliminare la Germania. Il termine "verrou" con cui gli svizzeri definirono quella tattica fu tradotto letteralmente con "catenaccio" in italiano. Fu solo nel corso degli anni cinquanta e sessanta che tale modulo fu adottato in Italia: Gipo Viani e Nereo Rocco furono gli sperimentatori, Gianni Brera il "teorico".
Brera sosteneva la necessità di adottare il catenaccio in Italia per riportare il calcio giocato nel Paese ad alti livelli internazionali. Diceva, tra le altre cose, che gli italiani non erano fisicamente all'altezza di altri popoli e che, di conseguenza, non potevano impostare un calcio sistematicamente offensivo per 90 minuti: a trascinare al successo sarebbero stati, a suo avviso, sempre personaggi di confine che - come Cavour e De Gasperi nella storia politica del Paese - si prendevano in carico la Nazionale emancipandola da tecniche offensive per giocare d'astuzia, economizzando le energie e utilizzando tattiche di opportunità.
Il prototipo di questa descrizione fu il CT della Nazionale campione del mondo nel 1982, il friulano Enzo Bearzot, anche se in quella circostanza Brera fu protagonista di una previsione clamorosamente errata: all'esordio della trasferta spagnola dichiarò che se l'Italia fosse diventata campione del mondo avrebbe percorso a piedi la distanza tra la sua casa milanese e un santuario di devozione mariana lombardo;[23] un mese dopo il trionfo al Santiago Bernabéu si fece fotografare in abito penitenziale e scalzo mentre saliva il sagrato del santuario. Nonostante il suo punto di vista provocasse discussioni, Brera lo difese strenuamente sino alla fine. Anche per questo non vide mai di buon occhio Arrigo Sacchi e la sua concezione di calcio offensivo, attribuendo i meriti dei successi del Milan ai soli giocatori olandesi.
Ma le polemiche che resero Brera celebre nel corso degli anni sessanta furono rivolte principalmente al "Golden Boy" rossonero Gianni Rivera e, più in generale, a quei giocatori tecnici ma non combattivi, che poco aderivano alla sua filosofia calcistica; questi invece erano molto apprezzati dalla cosiddetta "scuola napoletana" e dai suoi alfieri, Antonio Ghirelli[24] e il responsabile della redazione sportiva del Corriere della SeraGino Palumbo[25] con il quale Brera ebbe anche uno scontro fisico [2]. Brera soprannominò Rivera "abatino" in senso denigratorio ("un omarino fragile ed elegante, così dotato di stile da apparir manierato, e qualche volta finto"[26]) e osteggiò apertamente in molte occasioni l'impiego del giocatore nella nazionale italiana, pur riconoscendone la grande intelligenza calcistica e personale. Nonostante i successi nazionali e, ancor di più, internazionali del Milan di quel periodo, la polemica col fuoriclasse rossonero non si sopì mai. Brera e Rivera comunque si rispettavano molto a vicenda e, dopo la morte di Brera, Rivera fu tra i fondatori dell'Associazione Amici di Gianni Brera, oggi Simposio Gianni Brera.
Nel periodo anni settanta/ottanta Brera trovò come nuovi bersagli della propria insofferenza per i giocatori tecnici, ma non gladiatori, il regista della Fiorentina e della nazionale Giancarlo Antognoni e sul fantasista nerazzurro Evaristo Beccalossi. A detta del giornalista queste critiche gli causarono, nel corso degli anni, molti attriti con giornalisti e tifosi d'opinione diversa.
Il tifo
Brera si definiva un tifoso del Genoa,[27] per cui coniò il termine "Vecchio Balordo" che è ancora oggi annoverato fra gli appellativi con i quali i tifosi del Genoa chiamano affettuosamente la loro squadra. Parlando di una delle squadre più longeve d'Italia, Brera scrisse:
«Quando il Genoa già praticava il football gli altri si accorgevano di avere i piedi solo quando gli dolevano.»
La frase di Brera è stata impressa sulle maglie ufficiali del Genoa il 15 gennaio 2017 in occasione della sfida in trasferta contro il Cagliari.[28]
Brera fu anche in possesso del documento ufficiale di costituzione del Genoa Cricket and Football Club, risalente al 7 settembre 1893[29], smarrito dal giornalista e ritrovato dopo la morte tra le sue carte. La famiglia Brera ha riconsegnato il documento alla società del Genoa ed è ora esposto al Genoa Museum and Store al Porto antico di Genova.
Secondo diversi suoi colleghi, fra cui Gianni Mura, in realtà Brera era un sostenitore dell'Inter (per la quale coniò l'appellativo "Beneamata") e dichiarò la propria simpatia per il Genoa al fine di evitare polemiche nell'ambiente calcistico milanese.[30][31][32]
Lo stile
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Brera "possedeva una prosa straordinariamente inventiva e «funambolica»";[33] egli diede vita a uno stile giornalistico innovativo e moderno,[34] basato sulla sua vena letteraria e narrativa e su una cultura classica assai profonda.[35]
Onomaturgie
Brera è conosciuto come un prolifico onomaturgo[36], amante di giochi di parole che si muovevano sul filo della reminiscenza dotta e del vernacolarismo[1]. Introdusse, infatti, numerosi neologismi[1][37] (ma anche riadattamenti in ambito sportivo di stilemi della tradizione linguistica italiana, nazionale e dialettale[38]), entrati in modo stabile, come parole e frasi d'autore, nel lessico e nella fraseologia d'uso e in ambito calcistico-sportivo e non solo. Tra queste innovazioni, si ricordano:
contropiede: tratto dalla seconda fase della danza del coro delle tragedie greche (anti-pous), descrive l'attacco di coloro che riportano il gioco in direzione inversa dopo aver sottratto palla all'avversario ancora tutto sbilanciato in avanti;
intramontabile: giocatore che, nonostante il trascorrere del tempo, conserva intatta la propria valentìa (sullo stile del greco "athanasios", "immortale", attributo dei semidei, ma applicato alla meno duratura materia della vitalità calcistica di grandi campioni ancora attivi dopo l'età canonica);
uccellare: effettuare con successo una giocata ingannevole ai danni di un giocatore, di un portiere o dell'intera difesa avversaria;
incornare: realizzare un gol di testa (applica al calciatore l'immagine del toro che si avventa a corna spianate contro la muleta, nella corrida);
pretattica: dichiarazioni diversive, fatte prima di una partita (tipicamente da parte dell'allenatore), riguardo ai giocatori che saranno utilizzati e/o alla tattica di gioco adottata, allo scopo di non fare conoscere all'avversario la strategia prescelta;
melina: dal bolognese gioco della melina (in dialetto "al zug dla mlèina") che sta per “indugiare, cincischiare”, e cioè trattenere il più a lungo possibile la palla;
goleador: ispanismo che richiama il "toreador" della corrida;
disimpegnare: allontanare la palla dall'area di gioco in cui c'è la calca dei giocatori;
rifinitura: tratto dal gergo sartoriale, dove designa il tocco conclusivo di confezione di un abito, è applicato all'intervento finale che corona l'azione calcistica;
libero (difensore senza compiti prestabiliti di marcatura): quest'ultima parola è stata accolta anche nelle lingue francese, inglese, spagnola e tedesca;
Eupalla[1]: dea, anch'essa di sua invenzione, protettrice del calcio e del bel gioco; tratta dal greco (eu, "bene") e dall'italiano, la sua invocazione doveva rafforzare il tono epico dei suoi testi.
Gianni Brera amalgamava gli elementi della lingua italiana con quelli stranieri e con quelli tipici degli idiomi regionali, adottando giri di frase tipici della lingua lombarda. Si guadagnò a buon diritto il nomignolo di Gran Lombardo, originariamente coniato per Carlo Alberto Pisani Dossi e passato per le mani, e la penna, di Gadda[39]. Nel romanzo Azzurro Tenebra, che parla della fallimentare spedizione della nazionale italiana ai mondiali di Germania del 1974, Giovanni Arpino tratteggiò la figura di Brera nel personaggio di Grangiuàn. Brera fece scuola, tanto che fu coniato il termine spregiativo “brerini” per quei giornalisti che in qualche maniera si rifacevano al suo stile senza possedere un eguale talento linguistico. I detrattori lo classificarono come un grande "paroliere" assai poco sportivo.
Soprannomi
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Nel 2002 l'Arena Civica di Milano fu intitolata a suo nome,[54] e l'allora sindaco della città Gabriele Albertini disse: «Arena Civica era una definizione troppo formale, finalmente questo luogo ha un nome che sa di grande umanità e dedizione allo sport».[55]
A Uggiano la Chiesa, nel sud Salento, il comune organizza dal 2017 il "Festival dell'Arcimatto - Gianni Brera tra giornalismo e letteratura", l'ultimo giovedì di luglio. Il 26 luglio 2018, in occasione della seconda edizione del Festival dell'Arcimatto, è stato sottoscritto dalle città di Uggiano la Chiesa e San Zenone al Po un "patto di gemellaggio" nel nome di Gianni Brera.
Nel 2016 Rai Storia ha dedicato alla figura di Gianni Brera il documentario Gianni Brera. Il libero della Bassa, scritto da Daniele Ongaro e diretto da Graziano Conversano.[56]
Cimeli breriani
Le quattro macchine per scrivere meccaniche portatili appartenute a Gianni Brera, tutte di marca Olivetti, sono state donate dalla famiglia ai seguenti destinatari: Museo del calcio di Coverciano; Circolo culturale "I Navigli" di Milano; Ristorante la Quintana di Vidigulfo, in provincia di Pavia; Gianni Mura. Le prime tre sono esposte al pubblico. Diversi abiti di Gianni Brera sono in esposizione al Circolo I Navigli di Milano.
Due fondi tematici di libri della biblioteca personale di Brera sono stati donati dalla famiglia alle biblioteche comunali di San Zenone al Po (PV, cultura regionale) e Bosisio Parini (LC, sport).
L'archivio privato di Gianni Brera, compresi i libri di cui è l'autore, sono conservati presso la Fondazione Mondadori di Milano che li tiene a disposizione degli studiosi.[57]
Le pipe dello scrittore sono state messe all'asta e acquistate dalla Provincia di Varese[58] per una mostra.[59] La famiglia ha devoluto in beneficenza il ricavato della vendita.
Opere
Gli editori
Gianni Brera ha avuto in vita molti editori per i suoi scritti. Successivamente alla sua morte le sue opere sono state pubblicate da diversi editori, fra cui Il Saggiatore e la BUR. L'editore Limina dal 2010 pubblica la rivista Quaderni dell'Arcimatto dedicata alle problematiche breriane.
Bibliografia
Il paracadutista innamorato, in Atesia Augusta, anno 4, numero 7-8 (luglio-agosto 1942), pp. 36-38.
Curatela di Molière, Il misantropo; Tartufo; L'avaro, Milano, Poligono, 1947.
Atletica a scuola, con Gian Maria Dossena, Milano, Società Editrice Stampa Sportiva, 1951.
L'avocatt in bicicletta. Il romanzo di cinquant'anni del ciclismo italiano nel racconto di Eberardo Pavesi, Milano, Società Editrice Stampa Sportiva, 1952; Milano, BookTime, 2011. ISBN 978-88-6218-172-3.
Il calcio azzurro ai mondiali. Storia dell'evoluzione tecnico-tattica del gioco più bello del mondo da Montevideo 1930 a Monaco 1974 con l'Italia grande protagonista, Milano, Campironi, 1974.
I mondiali di calcio. Storia e personaggi dei campionati dal 1930 al 1974, con Remo Guerrini, Milano, Fabbri, 1974.
Incontri e invettive, Milano, Longanesi, 1974.
Introduzione alla vita saggia, Milano, Sigurtà Farmaceutici, 1974.
Storia critica del calcio italiano, Milano, Bompiani, 1975.
MIlano, con Enzo Pifferi, Como, Editrice E.P.I., 1977.
L'Arcimatto. Seguito da La bocca del leone e Don Lisander Manzoni, Milano, Longanesi, 1977.
Forza azzurri. Un trentennio di memorabili partite della Nazionale, Milano, Mondadori, 1978.
63 partite da salvare. Un trentennio di campionato italiano di calcio, Milano, Mondadori, 1978.
Suggerimenti di buon vivere dettati da Francesco Sforza pel figliolo Galeazzo Maria, Milano, Comune, 1979.
Una provincia a forma di grappolo d'uva. Lomellina, Pavese, Oltrepò, Milano, Istituto Editoriale Regioni Italiane, 1979.
Le persone che hanno fatto grande Milano. Angelo Moratti, Milano, SIDALM, 1980.
Coppi e il diavolo, Milano, Rizzoli, 1981; poi Milano, Booktime, 2009. ISBN 978-88-6218-119-8.
Gente di risaia, con Beppe Scarparo, Aosta, Musumeci, 1981.
España 82, con Silvano Maggi, Milano, Bi Editoriale, 1982.
Lombardia, amore mio, Lodi, Lodigraf, 1982.
Viaggio nel Nordest, con Paolo Brera, Bergamo, Banche popolari di Sondrio, Bergamo, Verona, Vicenza, Modena e Banca Agricola Mantovana, 1982.
Il gigante e la lima, Vicenza, Campagnolo, 1993.
I miei mondiali, Pordenone, Seleco, 1986.
U.S. Petrarca Padova. Una sfida all'Italia, Mestre, Edizioni del Gazzettino, 1987.
Un Po d'atmosfera. Le stagioni ed i colori sul grande fiume nelle fotografie di Vittorio Scanferla e nella memoria di Gianni Brera, Aulla, Cassa di risparmio di Piacenza e Vigevano, 1989.
La dimensione sportiva, a cura di, Siena, Alsaba, 1990.
Immagine 90. Cronaca fotografica dei mondiali. Storia disincantata e fedele di come si possa buttare un mondiale considerato sicuro e improvvisamente sottratto agli azzurri, Verona, CEM, 1990.
L'arciBrera, Como, Edizioni "Libri" della rivista "Como", 1990.
La leggenda dei mondiali, Milano, Pindaro, 1990. Poi (con Gigi Bignotti) I Mondiali di calcio, postfazione di Paolo Brera, Milano, BookTime, 2010. ISBN 978-88-6218-160-0.
I mondiali di Gianni Brera. La storia della coppa del mondo di calcio, Roma, A. Curcio, 1990.
Bacco e il vino negli ex libris. 132 ex libris riprodotti, a cura di e con Vincenzo Bertoni e Remo Palmirani, Trento-Bologna, TEMI-Accademia dell'ex libris, 1991.
Derby! Ovvero quando il Milan straccia l'Inter, l'Inter straccia il Milan, prefazione di Paolo Brera, Milano, Baldini & Castoldi, 1994. ISBN 88-85989-77-2.
Caro vecchio balordo. La storia del Genoa dal 1893 a oggi, curata e completata da Fabrizio Càlzia, Genova, prefazione di Paolo Brera, De Ferrari, 2005. ISBN 88-7172-682-0.
Il più bel gioco del mondo. Scritti di calcio (1949-1982), postfazione di Paolo Brera, Milano, BUR scrittori contemporanei, 2007. ISBN 978-88-17-01813-5.
^Gianni Brera dell'A.C. Vittoria è convocato per una partita di allenamento della rappresentativa milanese il 7 marzo 1936, da "Lo schermo sportivo" del 1º marzo 1936.
^Citato nella sua pagina messa online da biografieonline.
^Alessandro Cavalli, Reflections on Political Culture and the "Italian National Character", Daedalus, Vol. 130, No. 3, Italy: Resilient and Vulnerable, Volume II: Politics and Society (Summer, 2001), p. 124.
^"E i giornalisti? Hanno perso per un autogol", in L'Europeo, volume 38, 1982, pagina 370.
^Brera e Palumbo furono protagonisti di un'aspra querelle e arrivarono addirittura a un confronto fisico nella tribuna stampa dello stadio di Brescia. Cfr. Guido Gerosa, I due partiti della stampa sportiva, L'Europeo, 19 novembre 1970 e I nemici della domenica, L'Europeo, 26 novembre 1970
^Beccastrini, Stefano, Se un'antologia letteraria parla di sport, Testimonianze: 502 503, 4 5, 2015 (San Domenico di Fiesole: Associazione Testimonianze, 2015).
^
Abbiezzi Paola, I media sport studies: un quadro interpretativo, Comunicazioni sociali. GEN. APR., 2006 (Milano: Vita e Pensiero, 2006).
^Essa raggiungeva livelli di "sprezzatura" secondo S. Gianesini, Libri ricevuti, in Belfagor: rassegna di varia umanità. anno LXIV n. 5 - 30 settembre 2009 (n. 383), p. 639.
^Gianni A. Papini, L’epopea pedatoria di Gianni Brera, «Versants», nº 40, 2001, pp. 287-301.