«Desidero che la mia tomba sia se possibile nel Cimitero di Redipuglia in mezzo agli Eroi della Terza Armata. Sarò con essi vigile e sicura scolta alle frontiere d'Italia al cospetto di quel Carso che vide epiche gesta ed innumeri sacrifici, vicino a quel Mare che accolse le Salme dei Marinai d'Italia.»
Divenuto il padre Amedeore di Spagna, si trasferì con la famiglia a Madrid e all'età di appena un anno vennero conferiti a Emanuele Filiberto anche i titoli di Principe delle Asturie e infante di Spagna e designato quale erede successore per quel trono. Per via dei contrasti con la politica spagnola, Amedeo di Savoia abdicò nel 1873, dopo soli due anni di regno e, tornato in Italia, gli venne riconfermato dal padre Vittorio Emanuele II il titolo di Duca d'Aosta, già ottenuto alla nascita ma abbandonato per il titolo regale ed eguale sorte toccò al figlio Emanuele Filiberto. Dopo l'abdicazione del padre Amedeo di Savoia, Emanuele Filiberto non rivendicò mai alcun diritto sul trono spagnolo, crescendo e venendo educato in Italia come principe di casa Savoia a Torino, dove il padre prese residenza stabile.
Iniziò la carriera militare nel Regio Esercito nel 1884, entrando nell'accademia militare di Torino. Nel 1906 ricevette il comando del corpo d'armata di Napoli, e trasferì l'intera sua famiglia alla Reggia di Capodimonte.[2] Nel 1911, pur con lo scoppio della guerra di Libia, rimase in servizio a Napoli, ma questo non gli impedì di contrarre il tifo che lo colpì probabilmente durante le numerose visite a soldati malati e feriti che dal deserto libico venivano riportati in Italia.[2]
Ancor prima dell'ingresso definitivo dell'Italia nella prima guerra mondiale, si rese partecipe di una mobilitazione occulta che lo portò con altri soldati a muoversi verso Venezia (Mestre) e poi verso Treviso. Il generale Luigi Cadorna, incaricato della persona del Duca, gli affiancò da subito i generali Augusto Vanzo e Giuseppe Vaccari. Con l'apertura delle ostilità, il 24 maggio 1915, Emanuele Filiberto guidò, senza mai subire sconfitte sul campo durante l'intera durata del conflitto (da qui l'appellativo di Duca Invitto), la Terza Armata col grado di generale. La sede dell'Armata fu, per un periodo, Cervignano del Friuli; il comando era sito nella villa Attems-Bresciani. L'obiettivo delle operazioni era far indietreggiare l'esercito austro-ungarico che difendeva da est.
La Terza Armata, insieme alla Seconda, riuscì a effettuare un parziale sfondamento delle linee austriache e a conquistare Gorizia nella sesta battaglia dell'Isonzo (battaglia di Gorizia), dove il duca diede un apporto strategico fondamentale alla riuscita dell'operazione[senza fonte]. Dopo la disfatta di Caporetto la sua Armata dovette ritirarsi insieme alle altre sulla linea del Piave. Dopo la sconfitta della battaglia di Caporetto ci si aspettava che Emanuele Filiberto dovesse naturalmente assumere il comando supremo che era stato di Cadorna, ma il cugino Vittorio Emanuele III decise di nominare invece l'allora sconosciuto generale Armando Diaz, che aveva servito sotto lo stesso Emanuele Filiberto. Fu in casa Morpurgo, a Padova, che il Re, tornato da Roma dopo la soluzione della crisi ministeriale, disse a Bissolati: “Non svalutiamo il Duca perché potremmo averne bisogno”. Secondo alcuni storici egli alludeva alla possibilità della sua abdicazione nel caso di una sconfitta sul Piave che costringesse l’Italia alla resa. Il Duca d’Aosta avrebbe potuto, in tal caso, avere la reggenza durante la minore età del principe Umberto II allora tredicenne.[3] Il Bollettino della Vittoria, dopo la battaglia di Vittorio Veneto, riportò che "il Duca d'Aosta avanza rapidamente alla testa della sua invitta III armata, anelante di ritornare sulle posizioni da essa già vittoriosamente conquistate, che mai aveva perdute".
Fucilazioni sommarie
Il primo novembre del 1916, in accordo con il generale Cadorna che comunicherà l'ordine con telegramma circolare 2910, Emanuele Filiberto di Savoia introduce la decimazione tra i suoi reparti andando contro quello che erano le disposizioni del codice penale militare e che verrà in seguito stigmatizzato anche dalla Commissione di inchiesta su Caporetto, inchiesta però che pur riguardando direttamente il Duca d'Aosta non lo vedrà mai preso in esame vista l'appartenenza dello stesso alla famiglia reale.
Si riporta la circolare del Duca d'Aosta del 1º novembre 1916:
"Intendo che la disciplina regni sempre sovrana fra le mie truppe. Perciò ho approvato che, nei reparti che sciaguratamente si macchiarono di così grave onta, alcuni, colpevoli o non, fossero immediatamente passati per le armi. Così farò, inesorabilmente, quante volte sarà necessario. La patria ci ha affidato un sacro dovere. Per compierlo, non mi arresterò davanti a nessuna misura, per quanto grave"[4]
Nel 1922, durante la marcia su Roma che diede inizio di fatto alla dittatura fascista in Italia, il Duca d'Aosta venne proposto da Mussolini quale successore alla carica di Re d'Italia nel caso in cui Vittorio Emanuele III si fosse opposto al movimento fascista. L'evento non ebbe luogo, ma Emanuele Filiberto rimase sempre profondamente legato a Mussolini per la stima dimostratagli e fu uno dei suoi principali sostenitori all'interno della casa reale italiana.
Emanuele Filiberto con la moglie Elena dopo l'udienza in Vaticano nel 1929
Emanuele Filiberto morì a Torino il 4 luglio 1931 e, per sua volontà, venne sepolto tra i soldati nel Cimitero degli Invitti sul Colle Sant'Elia a Redipuglia che raccoglieva i caduti dell'Invitta III Armata, per poi essere traslato al sacrario militare di Redipuglia alla sua inaugurazione nel 1938.
Al titolo ducale gli succedette il figlio primogenito Amedeo.
Ferma restando la genealogia di Casa Savoia, il tema della successione a Umberto II come capo del casato è oggetto di controversia fra i sostenitori di Vittorio Emanuele e di Amedeo.
Il 7 luglio 2006, infatti, la Consulta dei Senatori del Regno ha emesso un comunicato] con il quale dichiara decaduto da ogni diritto dinastico Vittorio Emanuele e i suoi successori e indica come duca di Savoia e capo della casa il duca d'Aosta, Amedeo.
«Espressione guerriera della millenaria stirpe sabauda, guidò con sicura fede ed incrollabile tenacia la « Invitta Armata » in undici battaglie sull'Isonzo, in quelle gloriose sul fiume sacro e nel travolgente inseguimento che portò il tricolore là ove il suo Re aveva fissato. Sublime esempio di costante valore fra i suoi valorosi soldati. 24 maggio 1915-4 novembre 1918.» — 24 giugno 1937[5]