La sede di Ferrara ebbe origine dalla più antica diocesi di Voghenza. Con molta probabilità il cristianesimo arrivò a Voghenza dalla vicina Ravenna grazie ai numerosi scambi commerciali che, per via fluviale, intercorrevano tra le due città. Le notizie storiche scarseggiano, ma secondo la tradizione il primo vescovo di Voghenza fu Oltrando (o Otrado) che, attorno al 330, fu ordinato da papa Silvestro I. Dopo di lui furono vescovi Giulio (331) e Leone (364). Maggiori notizie riguardano il vescovo Costanzo, al quale scrisse sant'Ambrogio in occasione della morte del vescovo di Imola.
Leone II (611-620) fu il primo vescovo di Voghenza ad essere venerato come santo. Nel XIX secolo le sue spoglie furono trasferite a Ferrara e vengono conservate nella chiesa di santo Stefano.
L'ultimo vescovo di Voghenza fu Maurelio (o Maurilio) nel 644. Dopo la sua morte la diocesi fu trasferita più a nord per ragioni di sicurezza e questo spostamento corrisponde temporalmente al momento di fondazione della città estense. Il luogo fu scelto perché difendibile dalle incursioni barbariche e considerando la posizione aggressiva dello scismatico arcivescovo di Ravenna, Mauro.
Nacque Ferrariola[1] (Forum Alieni in latino, detta anche "Babilonia"), dove fu costruita la prima basilica di San Giorgio (San Giorgio Transpadano).[2] I vescovi continuarono a portare il titolo legato a Voghenza per altri tre secoli e sarà necessario attendere il 965 per avere un primo documento in cui un vescovo si intitola Episcopus Ferrariensis. Per tutto il resto del X secolo si alternarono nelle intestazioni il vecchio e il nuovo titolo.
All'inizio del XII secolo durante l'episcopato di Landolfo la sede vescovile fu trasferita ancora più a nord, sulla riva opposta del Po di Volano, dove fu edificata l'attuale cattedrale, anch'essa dedicata a san Giorgio, consacrata nel 1135. Nello stesso periodo la diocesi si sottrasse alla giurisdizione metropolitica dell'arcivescovo di Ravenna, ottenendo da papa Pasquale II la bolla di esenzione Officii nostri dell'8 aprile 1106, confermata da altre due bolle di papa Innocenzo II, che iniziano entrambe con le parole Ad hoc in Apostolicae sedis cathedra e datate 11 maggio 1133 e 22 aprile 1139.[3]
Le cronache del 28 marzo 1171 registrano un miracolo eucaristico che sarebbe avvenuto nella chiesa di Santa Maria in Vado a Ferrara. Secondo la versione più comune del miracolo, dall'Ostia spezzata sarebbe uscito del sangue, ma non mancano versioni diverse, scritte in epoche posteriori.
Nel 1269 morì Armanno Pungilupi, che dopo una vita di mortificazione era venerato dal popolo come beato. Fu sepolto nella cattedrale e successivamente la salma fu posta in un'arca di marmo e gli fu innalzato un altare. Il suo culto crebbe e fra il popolo circolavano voci su presunti miracoli dovuti alla sua intercessione. Tuttavia, il processo canonico istituito dal vescovo Alberto non solo rigettò il culto, ma reputò il Pungilupi colpevole di eresia, visto che nel 1254 era stato condannato dall'Inquisizione per alcuni errori circa l'Eucaristia. Nel 1300 il corpo del Pungilupi fu arso lungo le rive del Po, la sua arca venne distrutta e l'altare demolito. Ne seguì un tumulto popolare, sedato dalla forza pubblica.
Nel 1438 la sede del concilio di Basilea fu spostata a Ferrara, dove rimase fino all'anno successivo, quando venne nuovamente spostata a Firenze.
Il 22 luglio 1584 il vescovo Pietro Leoni istituì il seminario diocesano. Nel 1755 fu trasferito in nuovi locali ed ampliato.
Il 27 luglio 1735 con la bolla Paterna pontificii nobis di papa Clemente XII la diocesi di Ferrara fu elevata al rango di arcidiocesi e agli arcivescovi fu concesso il privilegio del pallio.
Nel 1796 fu imposta la riduzione del numero delle parrocchie e il vescovo Alessandro Mattei fu destituito per attività antirepubblicana con il decreto del 16 ventoso VI. Nel 1798 la Repubblica Cisalpina costrinse l'arcivescovo all'esilio e impose pesanti limitazioni al culto. Soppresse sette conventi di monache e obbligò le monache di un ottavo ad abbandonare la tonaca. Anche molte chiese, con le soppressioni napoleoniche, vennero chiuse e vendute, tra queste un'antica basilica, la chiesa di San Pietro. Furono soppresse tutte le confraternite, vietate tutte le manifestazioni pubbliche del culto comprese le processioni, venne soppresso il capitolo dei canonici della cattedrale e confiscati i beni ecclesiastici. I parroci avrebbero dovuto essere scelti tenendo conto solo del livello della loro istruzione.
Nel 1799 l'Impero austriaco ebbe il sopravvento sui francesi e l'arcivescovo rientrò a Ferrara ponendo fine a tutte le limitazioni previste l'anno addietro. Le truppe francesi ritornarono nel 1800 e ripresero la loro politica precedente.
Con le bolle De salute Dominici gregis del 1º maggio 1818[4] e Cum non gravibus del 9 marzo 1819[5] di papa Pio VII, fu modificato il territorio dell'arcidiocesi, che perse 21 parrocchie a favore della diocesi di Adria,[6] acquistando dalla medesima le parrocchie di Cornacervina, Rero con Finale, Guarda Ferrarese, Ro, Ruina, Zocca, Serravalle e Mesola che si trovavano nell'oltrepò ferrarese.[7][8]
È difficile datare l'origine della diocesi di Comacchio, anche se gli studiosi unanimemente attribuiscono la nascita della sede nel VI secolo. Il primo vescovo storicamente documentato è Vincenzo[9]; una lapide, che lo descrive come primus episcopus civitatis Cumiacli, è stata scoperta nella cattedrale cittadina, che lui stesso fece edificare all'epoca dell'arcivescovo ravennateFelice, ossia tra il 708 e il 724.
La diocesi fu per lungo tempo, fin dagli inizi della sua storia, suffraganea dell'arcidiocesi di Ravenna. Durante il periodo napoleonico entrò a far parte della neo-costituita provincia ecclesiastica di Ferrara, ma poi nel 1815 ritornò ad essere suffraganea di Ravenna. L'8 dicembre del 1976 la diocesi fu sottratta alla sua antica metropolia per entrare a far parte della provincia ecclesiastica di Bologna.[10]
Già il 29 dicembre 1908 le due sedi erano state unite: l'unione durò fino al 7 luglio 1920 quando furono separate in forza del decreto Instantes supplicationes della Congregazione Concistoriale.
Il 30 settembre 1986, in forza del decreto Instantibus votis della Congregazione per i vescovi, fu stabilita la plena unione delle due diocesi e la nuova circoscrizione ecclesiastica ha assunto il nome attuale. Il titolo di abate di Pomposa è stato trasferito all'arcivescovo della nuova circoscrizione.
Intorno al 2020 è stato avviato il progetto che prevede di suddividere l'arcidiocesi in 40 unità pastorali. I parroci ricoprono al loro interno anche i ruoli di collaboratori e moderatori, il cui incarico dura nove anni. In ogni unità parrocchiale sono presenti un consiglio pastorale e un consiglio degli affari economici, a cui partecipano anche i laici.[13]
Cronotassi dei vescovi
Si omettono i periodi di sede vacante non superiori ai 2 anni o non storicamente accertati.
Luigi Maverna † (25 marzo 1982 - 30 settembre 1986 nominato arcivescovo di Ferrara-Comacchio)
Vescovi di Comacchio
La tradizionale cronotassi dei vescovi di Comacchio inizia con tre vescovi, che, secondo lo storico faentino Francesco Lanzoni, sono spuri: Pacaziano, menzionato nel 502, che fu vescovo di Imola e non di Comacchio; un anonimo, menzionato nel 592 o nel 595, che deriverebbe da un falso diploma di papa Gregorio I; e Ambrogio, vissuto attorno all'anno 600, che sarebbe frutto di una errata lettura dello schedario Garampi.[23]
^(LA) Bolla Cum non gravibus., in: Bullarii romani continuatio, Tomo XV, Romae, 1853, pp. 199–200.
^La bolla Cum non gravibus (p. 199) riporta il seguente elenco, in ordine: Fiesso, Pissatola, Canaro, Trecenta, Bagnolo, Sariano, Giaccano, Zelo, Occhiobello, Gurzone, Ponte Santa Maria Maddalena, Stienta, Gaiba, Ficarolo, Salara, Massa, Calto, Ceneselli, Bergantino, Castelnuovo o Bariano, Melara.
^Alberto Andreoli, I confini delle diocesi a nord di Ravenna., in: Maurizio Tagliaferri (a cura di), I confini delle diocesi di Ravennatensia: tra storia e geografia, Cesena, 2016, p. 122.
^Alcune cronotassi tradizionali menzionano come primo vescovo noto all'inizio del VI secolo Pacaziano, che tuttavia Lanzoni ha dimostrato essere stato vescovo di Imola e non di Comacchio. Esisterebbe anche un anonimo verso la fine del VI secolo, ma la sua esistenza è dedotta da un falso diploma di papa Gregorio I. Cfr. Lanzoni, Il primo vescovo di Comacchio., in Atti e memorie della regia deputazione di storia patria per le provincie di Romagna, Terza serie, vol. XXVII (1909), pp. 62-70.
^Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, serie generale, nº 91, 18 aprile 1987, Supplemento straordinario nº 12, p. 61 e seguenti. In questo numero della Gazzetta Ufficiale è contenuto l'elenco delle 44 parrocchie della diocesi che ottennero la qualifica di "ente ecclesiastico civilmente riconosciuto" dal Ministero dell'Interno, in forza della Legge 20 maggio 1985 n. 222, art. 29. Tale qualifica fu concessa con decreto ministeriale del 18 febbraio 1987 su richiesta del vescovo di Comacchio del 4 luglio 1986.
^Secondo Lanzoni, questi primi due vescovi trasmessi dalla tradizione ferrarese sarebbero molto dubbi: per Giulio non ci sarebbero prove di una sua consacrazione nel 331 da parte di papa Silvestro I; Oltrando invece è un nome germanico «inverosimilissimo nell'Emilia del IV secolo», motivo per cui è omesso da Gams.
^Lanzoni non esclude che Leone possa essere stato vescovo di Voghenza, ma, a suo dire, la data del 364 attribuitagli da Ughelli e da Gams non ha fondamento.
^Secondo Lanzoni questo vescovo, menzionato dalle cronotassi tradizionali, sarebbe in realtà vescovo di Faenza (Costanzo II).
^Secondo Lanzoni, i vescovi Agatone e Virginio furono collocati rispettivamente nel 390 e nel 431 «senza argomenti di alcuna sorta».
^Lanzoni considera Marcellino il primo vescovo noto di Voghenza e data la sua consacrazione in un'epoca imprecisata fra il 429 ed il 431; le sue argomentazioni sono considerate da alcuni autori "abili, ma gratuite" (dal sito web dell'arcidiocesi). Per Pietri, Marcellino è l'unico vescovo certo di Voghenza per il III, IV e V secolo (Charles Pietri, Luce Pietri (ed.), Prosopographie chrétienne du Bas-Empire. 2. Prosopographie de l'Italie chrétienne (313-604), École française de Rome, vol. II, Roma 2000, pp. 1370 e 2426).
(LA) Bolla Paterna pontificii nobis., in Bullarum diplomatum et privilegiorum Sanctorum Romanorum Pontificum, Tomus XXIV, Augustae Taurinorum, 1872, pp. 62–68
Antonio Libanori, Ferrara d’oro imbrunito, Ferrara, 1667
can. Giuseppe Manini-Ferranti, Compendio della storia sacra e politica di Ferrara, Ferrara, Bianchi e Negri, 1808-10 in 8°, Vol. 6.
Alfonso Maresta, Teatro genealogico et istorico dell’antiche e illustri famiglie di Ferrara, Ferrara, 1681
Luciano Meluzzi, Gli arcivescovi di Ferrara, Collana Storico-Ecclesiastica, N. 5, Bologna, 1970.
Lorenzo Paliotto, Ferrara nel Seicento. Quotidianità tra potere legatizio e governo pastorale, Edizioni cartografiche. Ferrara, s.d.
Antonio Samaritani, Cronotassi dei Vescovi di Voghenza (V-X) e di Ferrara.
José-Apeles Santolaria de Puey y Cruells, Gli affreschi della Sala degli stemmi del Palazzo arcivescovile di Ferrara, Archivio Storico Ecclesiastico di Ferrara, Ferrara, 2017
Giuseppe Antenore Scalabrini, Memorie istoriche delle chiese di Ferrara e dei suoi borghi Ferrara, presso Coatti, 1773, in 8°.
Giuseppe Turri, La Basilica Cattedrale di San Cassiano. Comacchio, Cento, 1973