Continuò brillantemente la sua carriera militare, e con il grado di tenente, lavorò alla costruzione dei forti militari in Valtellina. Dopo aver frequento la Scuola di guerra,[1] da cui uscì con il grado di capitano nel 1888, fu assegnato al Corpo di Stato maggiore presso il Ministero della Guerra a Roma. Nel 1896 fu promosso maggiore assegnato al 69º Reggimento di fanteria, e nel 1899 tenente colonnello del 61º Reggimento fanteria. L'anno successivo si recò a Liegi,[N 2] in Belgio, per studiare il sistema di fortificazioni che difendeva la città. Nel 1905 fu promosso colonnello comandante dell'80º Reggimento Fanteria, e nel 1911 maggiore generale[1] comandante della Brigata di fanteria "Re". Nel febbraio 1914 fu collocato in posizione ausiliaria, ritirandosi a vita privata a Venezia.[1]
In vista dell'entrata in guerra dell'Italia, nel febbraio 1915 fu richiamato in servizio, assumendo il comando della neocostituita Brigata di fanteria "Piacenza"[N 3] di stanza nell'omonima città.[1]
Con lo scoppio delle ostilità, avvenute il 24 maggio 1915, al comando di tale unità prese parte a numerosi combattimenti sul fronte del Carso,[1] rimanendo ferito tre volte il 25 luglio,[2] una il 4 e una l'8 agosto 1915.[3] Elevato al rango di tenente generale e Comandante di Divisione per meriti di guerra[3] il 3 dicembre 1915, fu decorato con Medaglia d'argento al valor militare. Tale decorazione gli fu assegnata "motu proprio" da Re per le brillanti azioni compiute sul Monte San Michele, sul Monte San Martino e a Bosco Cappuccio.[2]
Tomba del generale Chinotto sita presso il Sacrario di Redipuglia.
Ottenuto il comando della 32ª Divisione, si distinse nel settore di Plava, dove riconquistò alcune delle posizioni perdute. Nel febbraio 1916, a causa di una grave malattia, dovette cedere il comando lasciando la linea del fronte. Rientrò in linea nel maggio dello stesso anno, assumendo il comando della 14ª Divisione[3] operante nel settore di Monfalcone, anche se non in perfette condizioni di salute. Prese parte alla sesta battaglia dell'Isonzo (6-17 agosto), dirigendo personalmente le operazioni[N 4] che portarono alla conquista della alture vicino a Monfalcone.[3] Al termine delle operazioni, ormai in gravi condizioni a causa della malattia,[N 5] fu ricoverato all'Ospedale militare di Udine, dove si spense il 25 agosto 1916.[3] Sul letto di morte, il 12 agosto ricevette la promozione a generale di corpo d'armata[3] per meriti straordinari di guerra, venendo poi decorato "motu proprio" da Sua Maestà Re Vittorio Emanuele III con la Medaglia d'oro al valor militare alla memoria.[N 6]
La salma del generale Antonio Chinotto fu temporaneamente collocata in una colombaia del cimitero monumentale di Udine, ma nel 1922 fu trasportata nel Cimitero degli “Invitti della III Armata” sulla collina di Redipuglia, dove erano tumulate le sacre spoglie di altri ventiquattromila caduti che qualche anno dopo saliranno ad oltre centomila.
«Sul Carso, comandante di brigata, ferito due volte il 25 luglio 1915 e nuovamente l’8 agosto, volle rimanere alla testa delle sue truppe, che guidò alla conquista di forti trinceramenti nemici, dando continua prova di tenacia e di sprezzo del pericolo. Sul medio Isonzo, comandante di divisione, sebbene in precarie condizioni di salute, lasciò il comando solo allorché dovette farsi operare. Appena in condizioni di reggersi in piedi, chiese ed ottenne di tornare al posto di combattimento; destinato al comando del settore di Monfalcone, lo tenne fino agli ultimi giorni di sua vita; mirabile esempio a tutti del più alto spirito di sacrificio e delle più belle virtù militari. Prode condottiero, valoroso soldato, morì dopo aver consacrato alla Patria anche le estreme energie, solo deplorando di non poter più nulla dare all’Italia ed al suo Re. Altipiano Carsico, Medio Isonzo, Settore di Monfalcone, luglio 1915- agosto 1916.» — 10 gennaio 1917
«Il 25 luglio 1915, ai margini occidentali dell'altipiano Carsico, nel momento in cui il combattimento si svolgeva più accanito, guidava egli stesso i rincalzi all'attacco. Avendo riportato due ferite, di cui una non lieve al braccio destro, continuava a tenere il comando delle truppe e soltanto a sera, a combattimento ultimato, si recava a farsi medicare, ritornando poi subito alle sue truppe.» — 24 novembre 1915[4]
^Bollettino Ufficiale 1915, dispensa 88ª, 4 novembre 1915.
Bibliografia
Luigi Cadorna, La guerra alla fronte italiana. Vol. 1, Milano, Fratelli Treves editori, 1921.
Luigi Cadorna, La guerra alla fronte italiana. Vol. 2, Milano, Fratelli Treves editori, 1921.
Alberto Cavaciocchi, Andrea Ungari, Gli italiani in guerra, Milano, Ugo Mursia Editore s.r.l., 2014.
Roberto Mandel, Storia illustrata della Grande Guerra, Vol.III (L'anno d'angoscia, 1916), Milano, Armando Gorlini Editore, 1931.
Piero Melograni, Storia politica della grande guerra. 1915-1918, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1997.
Gianni Oliva, Soldati e ufficiali- L'esercito italiano dal Risorgimento ad oggi, Milano, A. Mondadori Editore., 2012, ISBN88-520-3128-6.
Mark Thompson, La guerra bianca. Vita e morte sul fronte italiano 1915-1919, Milano, Il Saggiatore s.p.a., 2009, ISBN88-6576-008-7.
Pubblicazioni
Alberto Veronese, La Caserma del CoESPU intitolata al generale Chinotto, in CoESPU Magazine, n. 1, Vicenza, Center of Excellence for Stability Police Units, gennaio 2013, pp. 23-25.