Sarebbe stato iniziato nella massoneria italiana il 10 aprile 1862 nella Loggia "La Concordia" di Firenze[4], ma non sarebbe andato oltre il grado di apprendista,[5] e radiato il 30 gennaio 1911 per aver dichiarato in una lettera «di non appartenere alla massoneria e di non potervi appartenere, perché professante principi affatto diversi».[6]
Nella funzione di direttore della Sezione di filosofia e filologia dell'Istituto di Studi Superiori, cercò fondi e supporto per la biblioteca dell'ente ed acquistò rilevanti collezioni, a stampa e manoscritte, in particolare sugli studi orientali.[2]
Nel 1854 apparve il suo primo lavoro metodologico di rilievo Sull'origine e sul progresso della filosofia e della storia.[11]
È ricordato soprattutto per i suoi studi seminali sulla questione meridionale confluiti nell'opera Lettere meridionali.[12] L'interesse per il tema lo portò a collaborare alla Rassegna settimanale di Leopoldo Franchetti e Sidney Sonnino.[13] Collaborò inoltre con la rivista di studi Archivio per l'Alto Adige fondata da Ettore Tolomei. Molti dei suoi lavori furono tradotti in inglese dalla moglie, Linda White Mazini Villari.
La riflessione sulla questione meridionale
Dal 1860 iniziò ad occuparsi della situazione del Sud di Italia. Nel 1875 pubblicò le Lettere Meridionali[14]. Nate in forma di corrispondenza giornalistica per il quotidiano L'opinione, furono ulteriormente ampliate e ripubblicate nel 1885, con una dedica ai volontari impegnati nel soccorso dei malati di colera durante l'epidemia del 1884 a Napoli.[15][16] Il testo metteva in evidenza i problemi che affliggevano i territori dell'ex Regno delle Due Sicilie.[17] Alcuni scritti erano dedicati all'industria di zolfo in Sicilia, soffermandosi sulla necessità di aggiornare le tecniche estrattive e di commercializzazione del prodotto e di migliorare la condizione di lavoro dei minatori.[18] Convinto dell'importanza di un programma di opere pubbliche per il Sud, si occupò del problema della Camorra, denunciandone le cause sociali e lanciando l'allarme per l'estensione delle attività dell'organizzazione criminale prima e dopo l'unità d'Italia. Sottolineò come l'organizzazione, infiltratasi nell'esercito e nei corpi di polizia, fosse stata protetta dal governo borbonico per molto tempo, accrescendo così il suo potere. Auspicava, dunque, un duplice intervento dello Stato: da una parte la repressione, dall'altra l'incentivazione delle denunce per rompere il clima di omertà. Pensava ad una legge che prevedesse espressamente quel tipo di crimini, tanto legati al territorio da risultare sconosciuti altrove.[19]
Incarichi politici
Dal 1869 al 1870 fu segretario generale del Ministero della pubblica istruzione. Deputato del 1873 al 1882, decise poi di non ricandidarsi più.[20] Svolse l'incarico di ministro della pubblica istruzione dal febbraio 1891 al maggio 1892. Durante il suo incarico, vennero istituiti nel 1891 gli Uffici Regionali per la Conservazione dei Monumenti, le attuali Soprintendenze per i Beni Architettonici ed Artistici.
Villari in gioventù appartenne a quella folta generazione di intellettuali napoletani che «andavano rompendosi il capo per la via»[23] nel tentativo appassionato di comprendere e diffondere il pensiero di Hegel, recepito attraverso Gatti, De Sanctis, Vera, Spaventa, contribuendo così alla proficua «preistoria dell'hegelismo italiano».[24]
«Fare intendere Hegel all'Italia vorrebbe dire rigenerare l'Italia. […] L'Italia non deve correre dietro alle pedate di nessuno, ha bisogno di trovare un sistema che rappresenti tutta la sua nazionalità, che raccolga quanti elementi di vita sono in tutta la penisola; ma, prima di tutto, ha bisogno di ritrovare la coscienza di sé medesima, ed a questo nessun sistema è più capace dell'hegeliano.»
(Da una lettera di Pasquale Villari a Bertrando Spaventa dell'ottobre 1850[22])
I suoi interessi filosofici erano rivolti soprattutto all'estetica hegeliana, a cui si dedicò almeno fino al 1954, per poi discostarsene. Da allora sviluppò una preferenza per le tematiche storiche e scientifico-sociali di Auguste Comte, che gli alienò le simpatie dei suoi amici hegeliani.[21]
Fu valutando questi fatti che Villari si avvicinò a Sidney Sonnino con il quale aveva diviso l’esperienza della Rassegna settimanale e al quale lo accomunava, oltre all'interesse per la questione meridionale, l'idea di un conservatorismo più riformista in grado di confrontarsi con il nascente socialismo organizzato.
Contestava alla chiesa la contrarietà alla libertà e al progresso.[28] La monarchia, nel contesto italiano, era l'unica istituzione in grado di contrastare la corruzione e garantire l'unione nazionale e avrebbe dovuto essere sostenuta dai partiti in chiave anticlericale e antisocialista.[29][30]
Anche la politica coloniale italiana suscitò il suo interesse. In una lettera del 1896, indirizzata probabilmente al Presidente del Consiglio, Antonio di Rudinì, che si era trovato a gestire le conseguenze del conflitto in Etiopia, prese posizione rispetto alla situazione africana:
«E' stato un errore andare in Africa, è stato un delitto volersi estendere troppo senza forze sufficienti. Ma quelli che sono andati, furono mandati dal paese, morirono pel paese che non deve dimenticarli. Se non possiamo vendicarli, dobbiamo fermarci dove a noi ci conviene, dopo aver misurato le nostre forze, apparecchiarci a difendere i confini, a respingere chi ci assale.»
Nel 1913, in alcuni articoli scritti per la Nuova Antologia, denunciò la competizione per gli armamenti tra le nazioni europee come distruttiva, profetizzando, in qualche modo, gli eventi del 1914.[31][32]
Pensiero economico
Fin dall'inizio degli anni Sessanta, Villari presse atto dell'essenziale legame fra modernità e industria, con tutto il carico di questioni che l'industrializzazione portava con sé. Pensava ad uno sviluppo fondato sull'incremento di tradizioni e vocazioni locali. Vedeva nel socialismo la malattia delle società moderne, originata dai squilibri nati lungo il cammino dell'industrializzazione. La società industriale in via di consolidamento nell'Italia del Nord, doveva costituire un elemento di crescita materiale e offrire un impulso alla modernizzazione di tutto il paese. Infatti sviluppo economico, emancipazione politica e culturale delle classi popolari erano strettamente congiunti. Egli rilevava l'urgenza di promuovere il benessere del paese, incidendo in tal modo alla radice sulle cause dell'emigrazione. Secondo lui una delle ragioni principali del flusso migratorio era che le classi rurali continuavano ad essere collocate al margine della vita politica e morale del paese.[33] Nella sua idea era inderogabile l'intervento statale in alcune materie che la dottrina liberale voleva sottrarre alla sfera di influenza pubblica, come la riorganizzazione delle opere pie o i contratti agrari, e la tutela dei lavoratori. Era a favore di misure che tenessero conto delle realtà locali, mostrando anche una logica delle leggi speciali per intervenire in alcune regioni meridionali.[34]
Nel 1890 pubblicò il lungo scritto La riforma della beneficenza, nella quale si ribadiva la condanna delle pratiche assistenzialiste tipiche della tradizione clericale e la scelta a favore di un intervento capace di educare alla previdenza e al lavoro. Suggeriva l'avvio di forme di cooperazione, per osteggiare le speculazioni e la frammentazione della produzione. Prese posizione riguardo alla necessità di una legislazione sociale, sostenendo che l'imprenditore doveva essere obbligato ad assicurare gli operai in caso di incidenti sul lavoro. Nonostante gli ostacoli incontrati in Senato, nel marzo del 1898 furono approvata le norme sull'obbligo di assicurazione contro gl'infortuni sul lavoro - legge n. 80 del 17 marzo 1898 - e di istituzione della Casa nazionale di previdenza per invalidità e vecchiaia - legge n. 350 del 17 luglio 1898[35]. Una scelta legislativa che acese polemiche con il mondo imprenditoriale.[36]
Pasquale Villari, L'Italia da Carlo Magno ad Arrigo VII, Milano, U. Hoepli, 1910.
Note
^Curò l'autobiografia di Francesco de Sanctis pubblicando nel 1889, dopo la morte del maestro, La giovinezza, col titolo La giovinezza: frammento autobiografico.
^abcdVillari Pasquale, su SIUSA - Archivi di personalità. URL consultato l'8 gennaio 2018.
^ Pasquale Villari, Le lettere meridionali ed altri scritti sulla questione sociale in Italia, 2. riveduta e molto accresciuta dall'autore, Torino, Fratelli Bocca, 1885.
^ Mauro Moretti, Pasquale Villari storico e politico, Liguori, p. 163.
^Pasquale Villari storico e politico, p. 182. «Tra poco non saranno in Italia che tre partiti: i socialisti, i loro avversari intransigenti, e gl'iniziatori audaci di riforme a beneficio dei lavoratori. Il trionfo di quest'ultima sarebbe a vantaggio di tutti. Ma se , come pare, essi fra di noi tarderanno a sorgere, il dominio della società verrà allora nelle mani dei violenti.»
^Pasquale Villari Storico e Politico, pp. 149-150. «Presentarsi e fare poi un fiasco non mi piace. Bisogna, volendo, apparecchiarsi, scrivere e parlare di politica e poi tentare. Questa volta proprio non mi sento di cominciare a correre in su ed in giù. Dimenticavo di dirti che la principale ragione , per la quale mi è passata la voglia di essere deputato è il non sapere più con chi stare e con chi non stare.»
^abc Mauro Moretti, Villari Pasquale, su treccani.it. URL consultato il 14 ottobre 2020.
^Espressione usata da Bertrando Spaventa in una lettera a Villari del 14 ottobre 1850, cfr. Aa.Vv., Gli Hegeliani di Napoli e la costruzione dello Stato unitario, pp. 317-325, Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, 1989.[22]
^Definizione di Guido Oldrini, in Il primo hegelismo italiano, introduzione, pag. 85, Firenze, Vallecchi, 1969.[22]
^ Pasquale Villari, Di chi è la colpa?, Estratto da: Il politecnico, parte letteraria, vol. II, settembre 1866, Milano, Tip. Zanetti, 1866.
«Bisogna però che l’Italia cominci col persuadersi, che v'è nel seno della nazione stessa un nemico più potente dell’Austria, ed è la nostra colossale ignoranza, sono le moltitudini analfabete, i burocrati macchina, i professori ignoranti, i politici bambini, i diplomatici impossibili, i generali incapaci, l'operaio inesperto, l'agricoltore patriarcale, e la rettorica che ci rode le ossa. Non è il quadrilatero di Mantova e Verona che ha potuto arrestare il nostro cammino, ma è il quadrilatero di 17 milioni di analfabeti e 5 milioni di arcadi.»
^ab Pasquale Villari, Dove andiamo?, su storiologia.it. URL consultato il 30 ottobre 2020.
^Pasquale Villari storico e politico, p. 177. «Vidi a Roma il Re e gli parlai a lungo. Gli dissi che due cose il paese si aspettava da lui. 1) Che il Re regnasse e governasse. 2) Che pigliasse a calci tutti i farabutti. Su ciò mi fermai a lungo.»
^Pasquale Villari storico e politico. «La gara si è accesa principalmente tra la Germania e l'Inghilterra. Cercando di difendere i propri interessi, procedono da una parte ad armamenti sempre più formidabili di terra e di mare, obbligando tutte le altre nazioni a fare altrettanto. L'Europa si è trasformata in un vero campo militare, per essere pronti ad una prossima guerra, che per ora è ipotetica, ma che con il continuo apparecchiarsi può diventare una realtà. E' inutile creare illusioni, noi stiamo creando uno stato di cose che è sempre più anormale, che non può durare al lungo. Profondiamo ogni giorno nuovi miliardi, per lanciare al mare nuove "deadnoughts", il che porta la necessità di aggravare il popolo con nuove tasse. Non è possibile tirare la corda al lungo senza che si spezzi.»
^Pasquale Villari storico e politico, p. 188. «Il vero è che le sofferenze delle moltitudini sono in Italia reali, non immaginarie, che esse crescono sempre di più e troppo pochi s ne impensieriscono. Questo dà forza al socialismo, il quale non è una follia di menti malati, ma il mezzo ai suoi errori, e illusioni, ha pure un fondamento di verità che non si può disprezzare.»
Mauro Moretti, Pasquale Villari storico e politico, Napoli, Liguori, 2005.
Antonio Carrannante, Pasquale Villari e la scuola italiana, in Giornale di storia contemporanea, [ISSN] 2037-7975, Cosenza, Pellegrini, 2004, pp. 165-181.
Pasquale Sabbatino, Le città indistricabili. Nel ventre di Napoli da Villari ai De Filippo, in Giornale di storia contemporanea, Napoli, Essi, 2007.
Arnaldo Di Benedetto, Positivismo e oltre: Pasquale Villari e i suoi corrispondenti tedeschi, in Fra Germania e Italia : studi e flashes letterari, [ISBN] 978-88-222-5712-3, Firenze, Olschki, 2008.
Giovanni Spadolini, La firenze di Pasquale Villari, Firenze, Le Monnier, 1989.
Antonio Panella, Bibliografia degli scritti di Pasquale Villari, in Archivio storico italiano, Napoli, Essi, 1918.
Aa.Vv., Gli Hegeliani di Napoli e la costruzione dello Stato unitario, Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, 1989. Parametro titolo vuoto o mancante (aiuto)