Nata a Trieste, era figlia di Ernesto, nato a Venezia e Anna Nacson,[1] di famiglia ebraica originaria dell'isola di Corfù.[2] Nel 1943 la famiglia fu la prima ad essere arrestata a Trieste dai tedeschi, su segnalazione delle autorità italiane.[3] Furono reclusi nel carcere di Coroneo di Trieste e da lì deportati nel campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau . Ida venne marchiata con il numero identificativo 70412. All'arrivo ad Auschwitz, i genitori e il fratello Raffaele furono condotti alle camere a gas, mentre i fratelli Giacomo, Ida e Stella sopravvissero, scampando anche alle marce della morte[3]. Come molti altri sopravvissuti, incapace di sopportare il fardello dell'esperienza vissuta[4], Stella morirà suicida negli anni settanta[5][6]. Ad Auschwitz Ida fu destinata al campo di lavoro chiamato "Canada"[7], addetta alla raccolta degli indumenti e degli effetti personali sottratti ai deportati e da lì fu testimone anche della rivolta del "sonderkommando". Dopo il ritorno in Italia alla fine della guerra, nel 1951 si sposò e si stabilì a Roma dove, sulla spinta del ricordo della fame patita nel campo, divenne titolare col marito di un'attività di produzione artigianale di dolciumi e cioccolato di buon successo[8][9]. Argomento, quello della fame, legato nel suo caso anche all'infantile innocente desiderio di dolci, che sarà il tratto distintivo della sua attività di testimonianza e attivismo che affronterà a partire dal 1994, dopo numerosi anni di silenzio sulla sua esperienza, grazie alla pubblicazione di libri di memorie "La ragazza che sognava il cioccolato"[8], "Non perdonerò mai"[10][11] e "Judenrampe"[1]. Fece anche opera di informazione nelle scuole, dibattiti pubblici e celebrazioni ufficiali[2] e descrisse la sua esperienza in film e documentari.
La notizia della morte, avvenuta a Roma il 3 ottobre 2011 è stata riportata dalle maggiori testate giornalistiche e televisive, a testimonianza dell'importanza della sua figura di testimone e memoria storica dell'olocausto.[13][3][14][15][16]
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