Il codice della strada in Italia è il codice stradale vigente nella Repubblica Italiana, che regola la circolazione stradale e stabilisce le disposizioni generali riguardanti i trasporti.
È stato emanato con il decreto legislativo n. 285 il 30 aprile 1992, mentre il relativo regolamento di attuazione è rappresentato dal decreto n. 495 del presidente della Repubblica Italiana, emesso il 16 dicembre 1992. È entrato in vigore il 1º gennaio 1993.
Dopo la nascita dello Stato italiano, una delle prime norme in tema fu la legge 20 marzo 1865, n. 2248, che all'allegato D che stabiliva alcune regole sulla velocità e il corretto comportamento per i conducenti dei veicoli a trazione animale. Successivamente il Regio decreto 15 novembre 1923, n. 2506 dettò delle regole per la classificazione delle strade presenti sul territorio nazionale; le strade vennero così divise in cinque classi: la prima classe comprendeva le strade che costituivano l'insieme della rete viaria di grande traffico e le vie di comunicazione con gli Stati confinanti; le strade di seconda classe erano invece tutte quelle il cui tracciato costituiva una via diretta di comunicazione tra i capoluoghi di provincia, o tra essi e i porti marittimi o i valichi alpini. Le altre tre classi comprendevano invece tutte quelle strade di collegamento più prettamente interno e localizzato: la terza classe era quella delle strade che congiungevano, all’interno di una provincia, il suo capoluogo con i capoluoghi di mandamento o di circondario; la quarta classe comprendeva, invece, le strade che congiungevano il centro principale di un comune con le sue frazioni, con il cimitero o con la stazione ferroviaria più vicina; includeva inoltre le strade interne dei centri abitati che non costituissero traverse di strade delle prime tre classi.
Infine la quinta classe comprendeva tutte le strade militari che fossero aperte al libero transito dei civili in tempo di pace. La responsabilità della manutenzione delle strade che ricadevano in questa complessa classificazione variava, naturalmente, a seconda della classe di appartenenza. Il successivo Regio decreto 2 dicembre 1928, n. 3179 introdusse un sistema di targhe automobilistiche, con sigle delle province, in luogo dei numeri rossi utilizzati precedentemente per i veicoli. Tuttavia non erano ancora previste dalla legislazione vigente norme relative alla segnalazione stradale, con l'unica eccezione di alcuni regolamenti risalenti all'epoca napoleonica e concernenti l'obbligo di posa di pietre miliari lungo le strade. Nel 1933 viene emanato il primo il codice della strada - col Regio decreto 8 dicembre 1933, n. 1740 - e nel 1939 la Corte di Cassazione sentenziò la nullità del decreto del 1923 e il ritorno alla situazione preesistente quella data.
Al termine della seconda guerra mondiale, la situazione infrastrutturale dell’Italia giunse però al collasso. Mentre l’opera di manutenzione era stata interrotta, le devastazioni causate dai bombardamenti aerei e dall'utilizzo dell'artiglieria avevano reso del tutto impraticabile il sistema dei trasporti su strada e su ferrovia. Nel secondo dopoguerra, a partire dal 1950, fu pertanto necessario pensare ad un piano di lungo periodo che contemplasse un forte ampliamento della rete autostradale, attraverso l'intervento diretto dello Stato a sostegno dell'operazione. Tale fu lo scopo del decreto interministeriale del 15 ottobre 1955, che provvedette a indicare, sulla base di uno stanziamento di 100 miliardi in dieci anni, le direttive di un potenziamento della rete per oltre 1170 chilometri. Con la Legge 12 febbraio 1958, n. 126 venne introdotta una nuova classificazione di carattere amministrativo (in relazione all’Ente proprietario) ovvero strade statali (a loro volta suddivise in ordinarie e di grande comunicazione), provinciali, comunali, vicinali e militari, e col D.P.R. 15 giugno 1959, n. 393[1] venne emanato un nuovo codice.
Gli anni successivi furono caratterizzati da uno scarso interesse per le problematiche stradali, ovviamente anche dal punto di vista normativo: la crisi petrolifera seguita alla guerra arabo-israeliana del 1973, unita a fattori di natura interna (alcune concessionarie si erano assunte l’onere della costruzione e della gestione delle nuove arterie sull’orlo del tracollo, sostenute soltanto da interventi del Tesoro) portò addirittura lo Stato a decretare con la Legge 16 ottobre 1975, n. 492 il blocco della costruzione di nuove autostrade, dei tratti autostradali e dei trafori di cui non fosse ancora stata effettuata l’assegnazione dell’appalto.
L’aumento del parco autoveicoli della fine degli anni 1970 portò lo Stato a riconsiderare la politica di blocco e favorire investimenti nel settore, al fine di garantire l'efficienza del sistema dei trasporti su gomma: la Legge 12 agosto 1982, n. 531, contenente fra l’altro (nella seconda parte), i principi di classificazione delle arterie che costituivano il sistema delle “strade di grande comunicazione”. Con questa dicitura si intendevano essenzialmente le autostrade, i trafori alpini e i raccordi autostradali, ma anche le strade di grande traffico e di comunicazione con gli Stati confinanti; strutture, quindi, capaci a pieno titolo di servire elevatissimi volumi di traffico con un livello sufficiente di sicurezza e comfort per l’utente. I parametri distintivi che servivano a classificare le strade come “di grande comunicazione” si basavano dunque su un doppio fattore: il traffico da sostenere e la funzione di collegamento svolta da parte dell’arteria da classificare.
Su questa base venne poi emanato il decreto ministeriale 20 luglio 1983, n. 2474, nel quale si divideva il sistema viario nazionale in due classi distinte: le strade ordinarie e le strade di grande comunicazione. Quest’ultima comprendeva 188 arterie, per complessivi 22.832 chilometri, dei quali 7446 composti da autostrade, raccordi e trafori. Un nuovo codice venne poi emanato col Decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, successivamente modificato dal Decreto-legge 27 giugno 2003, n. 151, convertito in legge, con modificazioni, dalla Legge 1 agosto 2003, n. 214, che introdusse la patente a punti. Ulteriori aggiornamenti sono avvenuti con il D.M. 27 dicembre 2018[2], che reca i nuovi importi delle multe in vigore dal 1º gennaio 2019 e il 30 dicembre 2018 con la legge n. 145 (Legge di bilancio 2019).[3] Nuove modifiche con la Legge 25 novembre 2024 n.177 (GU Serie Generale n.280 del 29-11-2024) [1]
Il codice della strada si compone di 245 articoli, mentre il regolamento di attuazione che comprende 408 articoli e 19 appendici.
Il codice della strada e le direttive dell'Unione europea, basata sulla classificazione internazionale UNECE[4], classificano i veicoli in quattro grandi categorie:
Ciascuna di queste categorie è stata suddivisa in altri sottogruppi, in cui i veicoli vengono ordinati in base alle proprie caratteristiche tecniche (massa complessiva, numero dei posti a sedere, cilindrata, ecc.). Altri tipi di veicoli, diversi da quelli appena considerati, sono:
Sono esclusi dai veicoli invece tutti quei mezzi di locomozione definiti "acceleratori di andatura" o "acceleratori di velocità". Rientrano in questa categoria i pattini, i monopattini, gli skateboard, la cui circolazione, in una interpretazione restrittiva del codice (art. 190), non è ammessa, né sulla carreggiata, né negli "spazi riservati ai pedoni" e neanche nelle corsie riservate ai velocipedi.[5][6]
Nell'articolo 53[7] del codice della strada sono elencati i principali tipi di motociclette riconosciuti in Italia
Nell'articolo 54[8] del codice della strada sono elencati i principali tipi di autoveicoli riconosciuti dall'Italia e cioè:
Al titolo II (della costruzione e tutela delle strade), capo II (organizzazione della circolazione e segnaletica stradale), artt. 37-45[9], viene definita la segnaletica stradale mentre l'esecuzione e l'attuazione è rimandata all'apposito regolamento[10] e in particolare agli artt. 74-195.
Il complesso della segnaletica stradale, disegnata da Michele Arcangelo Iocca,[11][12][13] viene suddiviso in cinque tipologie generali, come descritto di seguito:
Le norme sulla segnaletica stradale italiana sono regolate anche dal Disciplinare tecnico relativo agli schemi segnaletici, differenziati per categoria di strada, da adottare per il segnalamento temporaneo (decreto del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti del 10 luglio 2002, GU n. 226 del 26/09/2002) previsto dall'art. 21 del Codice della strada[15], dalla direttiva n. 3929 del 3 luglio 1998 del Ministero dei Lavori pubblici (che norma i pannelli a messaggio variabile), dalla direttiva n. 1156 del 28 febbraio 1997 (GU n. 71 del 26/03/1997) del Ministero dei Lavori pubblici (Caratteristiche della segnaletica da utilizzare per la numerazione dei cavalcavia sulle autostrade e sulle strade statali di rilevanza internazionale), dal decreto ministeriale n. 1584 del 31 marzo 1995 (GU n. 106 del 9/05/1995) (Approvazione del disciplinare tecnico sulle modalità di determinazione dei livelli di qualità delle pellicole retroriflettenti impiegate per la costruzione dei segnali stradali).
Le sanzioni previste in caso di violazione alle norme del codice della strada, sono di vario tipo:
L'applicazione effettiva delle sanzioni riscontra delle difficoltà quando queste sono commesse da cittadini non residenti nel territorio dello Stato membro. Questo avviene sia nel caso di cittadini italiani residenti all'estero che per cittadini dell'Unione europea presenti in territorio italiano, in quanto le banche dati relative agli automobilisti e ai veicoli immatricolati sono di natura nazionale e non europea.
La direttiva 2015/413/UE, in vigore da maggio 2016, interviene in merito, imponendo la creazione di punti di contatto nazionali di riferimento e di procedure informatiche automatiche, interoperabili e protette, per la interrogazione delle banche dati nazionali relative a veicoli e loro proprietari.
Le norme principali in materia sono:[16][17] ===
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