Dato l'insuccesso commerciale, fu ridistribuito nel 1950 col titolo La sposa non può attendere[2], con cui viene trasmesso in televisione ed è oggi maggiormente noto.
Anselmo Brunelli è un benestante uomo d'affari di Roma, molto attento a programmare tutti gli aspetti della sua vita. Deve recarsi a San Biagio (paese probabilmente immaginario) per sposarsi con Donata Venturi. In prossimità della meta viene fermato da alcuni passanti che gli chiedono aiuto per salvare una ragazza che si è appena buttata nel fiume. Anselmo è perplesso, poiché per salvare la ragazza rischia di arrivare tardi al suo matrimonio, ma poi si decide a tuffarsi.
Dopo le prime cure in una famiglia di contadini, Anselmo viene informato che la ragazza è incinta e si rende disponibile ad accompagnarla alla stazione per consentirle di ritornare a casa. La ragazza, di nome Maria, gli confessa di essersi concessa soltanto per amore e di non aver voluto costringere il suo amante a sposarla, pur aspettando un bambino. Dalla stazione Anselmo telefona a Donata raccontandole di aver avuto un piccolo incidente di macchina. Quando però sta per ripartire viene richiamato dal capostazione perché la ragazza è svenuta per le doglie.
Decide di portarla al vicino convento di suore, dove tutte pensano che sia lui il padre del bambino. Per il parto è necessario chiamare la levatrice e Anselmo si reca a cercarla a San Biagio. Gli invitati al suo matrimonio lo riconoscono e lo portano in chiesa dove lo stanno aspettando ormai da ore. Finalmente il matrimonio viene celebrato, ma durante il pranzo di nozze arrivano le suore in cerca del medico presente tra gli invitati. Donata e la sua famiglia scoprono che è stato Anselmo a portare Maria al convento e pensano anche loro che sia stato lui a sedurla.
Per salvare le apparenze e per un puro calcolo di convenienza i familiari di Donata decidono di ignorare l'accaduto e inviare un po' di denaro alla ragazza, convinti che lo scandalo possa essere evitato e che i coniugi si possano riappacificare rapidamente. Invece Anselmo, profondamente colpito dai sentimenti veri di Maria, non è più disposto a tollerare la finzione e la mancanza di fiducia da parte della moglie e si allontana dalla stanza coniugale per far ritorno al convento.
Qui scopre che è nato il bambino e che Maria è finalmente felice, avendo rinunciato ai suoi propositi di suicidio. Maria ritiene che se questa esperienza è servita a cambiare Anselmo in un giorno, Anselmo non può abbandonare Donata senza aiutare anche lei a cambiare il suo modo di vedere le cose. E infatti quando Anselmo ritorna a casa della moglie capisce che Donata ha rinunciato a recitare la sua parte di conformista ed è pronta ad amarlo con tutto il suo cuore.
Accoglienza
Critica
Il film ebbe un esito commerciale disastroso, che indusse i produttori a ritirare il film e ripresentarlo qualche tempo dopo con un altro titolo[4]; fu tuttavia apprezzato dalla critica.[5]
«Ciò che convince, oltre il protagonista, è la grazia delle scene paesane, che altri film ci avevano fatto venire a noia... e il brio con cui tutta l'azione è condotta.»
«Come tutti i «soggetti» di Zavattini, anche questo che regge Anselmo ha fretta ha le alucce della favola e una tenera, sorridente moralità. [...] Gianni Franciolini ha raccontato questa graziosa vicenda, con appropriata leggerezza di tocco, scherzando e moralizzando ai tempi debiti e sempre con misura. Ha trasportato con cautela sullo schermo un fiorellino letterario, senza nasconderne, né a sé né agli altri, la molle esilità. Gino Cervi, in una parte che gli sta a pennello, è l'ottimo protagonista [...].»
«[...] un annoiato Gino Cervi, [...] una monocorde, immusonita Gina Lollobrigida [...]. La pellicola possiede dunque numerosi meriti: essa riprende le tematiche della sincerità e della comprensione verso l'altro che già animavano il poetico 4 passi fra le nuvole [...] e le coniuga, questa volta, con la tematica cristiana del divino. L'esistenza dunque deve cessare di essere mera rappresentazione, volta a nascondere il proprio essere per garantirgli una generica rispettabilità (base necessaria della logica competitiva inerente al sistema capitalista) e un fatuo benessere; essa deve essere gioia piena e condivisa, anche a costo di infrangere qualche convenzione sociale. [...] Insomma Zavattini e Franciolini firmano una fiaba dossettiana (sulla via di Miracolo a Milano, 1951) in cui candore, fede e generosità si fondono all'interno di un universo sociale che si vuole (si spera) in trasformazione. Il totale fiasco della pellicola costituisce una amara sorpresa: certamente la vicenda è esile e, laddove non si colga il versante favolistico-simbolico, disturbante per l'evidente inverosimiglianza. Anselmo non si spiega: non chiarisce che la ragazza gli è estranea, il figlio non è suo e la cerimonia incombente; così la struttura narrativa appare oltremodo artificiosa e può generare in tal senso un netto rifiuto. Se invece si riesce a percepire il tentativo di fare irrompere il divino nel quotidiano, allora la storia assume una propria logica stringente e perfino appassionante. Le meditazioni pascaliane di Rohmer trovano qui una bella e ispirata anticipazione: se il "raggio verde", di colpo, compare tutto assume un colore nuovo e il più mite e grigio dei personaggi può divenire uno scandaloso innovatore, deciso a occuparsi con sincero trasporto di chi gli sta intorno e soprattutto di chi è in difficoltà. Il Centro Cattolico Cinematografico il quale aveva nettamente rifiutato le due precedenti, ammirevoli opere di Franciolini (Notte di tempesta, 1945 e Amanti senza amore, 1948), appioppando loro il netto giudizio di "escluso", ora invece "si ricrede" e si limita a etichettare Anselmo con un tollerante "adulti con riserva". Nel nome di un umanitarismo illuminato e tollerante, la pellicola apre la via, con largo anticipo (almeno un decennio), alle larghe intese tra cattolici di sinistra e cultura socialcomunista che diverrà il collante nazionale degli anni sessanta, settanta e (forse) ottanta. La fine degli anni quaranta però è un'epoca poco ricettiva in tale direzione: lo scontro tra DC e sinistre è netto e senza possibilità di mediazione; la gentile fiaba cattolica infatti non accontenta nessuno e cade nel vuoto.»