Della vita di questa santa esistono varie agiografie, nessuna delle quali coeva. Esse presentano notevoli differenze tra loro.[6]
Barbara è figlia di Dioscoro o Dioscuro, un uomo di religione pagana. In alcune agiografie, Dioscoro decide di rinchiuderla in una torre a causa della sua grande bellezza, per proteggerla dal mondo esterno e dai pretendenti (che ella comunque respinge sistematicamente):[3][5][7][8][9][10] Barbara va quindi a vedere i progetti per la costruzione della torre e, notando che sono presenti solo due finestre, una a nord e una a sud, ordina ai muratori di costruirne una terza, per richiamare la Trinità;[3][7][8][11] prima di entrare nella torre, inoltre, si immerge tre volte in una piscina adiacente, battezzandosi da sola.[3][11]
In altre versioni, Barbara viene segregata come punizione per la sua disobbedienza; nella torre, la giovane viene istruita da filosofi, oratori e poeti e, studiando, giunge alla conclusione che il politeismo è una farsa; temporaneamente liberata da suo padre, si converte al cristianesimo; quando suo padre decide di costruirle un'imponente piscina con due finestre, ella fa aggiungere una terza finestra a questo edificio (e non alla torre, come nella versione precedente);[2][5][12] altre versioni specificano che Barbara aderisce al cristianesimo studiando i testi di Origene e, una volta fuori dalla torre, si reca proprio da lui, ad Alessandria, per farsi battezzare.[10]
Ad ogni modo, quando Dioscoro scopre la nuova fede della figlia tenta di ucciderla: Barbara riesce a sfuggirgli miracolosamente, trapassando le pareti della torre oppure volando su una montagna (in questo caso, viene vista volare da due pastori, uno dei quali la tradisce rivelando a Dioscoro la sua posizione; maledetto da Barbara, egli viene trasformato in pietra, e il suo gregge di pecore in uno sciame di locuste); riacciuffatala, suo padre la trascina davanti a un magistrato (o prefetto) di nome Martiniano o Marziano.[3][5][7][8][10][11][12] La giovane rifiuta però di abiurare e viene quindi torturata più volte: viene avvolta da panni ruvidi irti di spine che le lacerano la carne, ma Cristo, apparendole di notte, cura le sue ferite. I carnefici tentano quindi di ustionarla, ma le fiamme accese ai suoi fianchi si spengono subito; le vengono poi tagliati i seni (come a Sant'Agata), viene colpita alla testa con un martello e poi fatta sfilare nuda per le strade. Alla fine il padre la conduce in cima a una montagna e la decapita, assieme a un'altra giovane cristiana, Giuliana. Sceso a valle, Dioscoro viene incenerito da un fulmine o da un fuoco venuto dal cielo come punizione per l'omicidio.[2][3][5][7][8][9][10][11][12]
Le spoglie di Barbara e Giuliana vengono quindi seppellite da un uomo di nome Valentino, e presso la loro tomba cominciano ad avvenire guarigioni miracolose.[5][8]
Storicità e culto
Di santa Barbara non esiste alcuna menzione nei documenti dell'antichità cristiana, così come nella versione originale del martirologio geronimiano;[8] la sua storia, inoltre, presenta notevoli somiglianze con quella di santa Cristina,[5] ed è probabile che l'autore della passio di Barbara abbia ricopiato quella di Cristina, esagerandone gli aspetti inverosimili.[13] Ciò ha portato alcune fonti, anche autorevoli, a dubitare dell'esistenza stessa di questa figura.[5][6]
Le varie agiografie differiscono per molti particolari, compresi il tempo e il luogo in cui visse Barbara; riguardo alla data del martirio, esso sarebbe avvenuto sotto un "imperatore Massimino" o "Massimiano", ma non è chiaro se si tratti di Massimino il Trace, Massimino Daia o Massimiano[3][6]. Per quanto concerne il luogo, invece, le fonti riportano diverse città natali, fra cui Nicomedia, Antiochia, Eliopoli in Egitto, Eliopoli in Libano e un'altra Eliopoli presso Euchaita, nonché la Toscana e Roma,[3][5][6][8][13] una diversità che testimonia l'adattamento della sua leggenda ai vari luoghi in cui era venerata.[8]
Il suo culto è ben attestato a partire dal VII secolo, periodo in cui appaiono i primi Acta del suo martirio, di origine forse egiziana,[5][13] che funsero da base per diverse agiografie composte nei secoli seguenti da vari autori, quali Simeone Metafraste, Usuardo e Adone di Vienne;[8] esistono però anche testimonianze precedenti di una sua venerazione, come un monastero a Edessa nel IV secolo e una basilica copta al Cairo nel VII secolo dedicati a lei.[5] La santa era venerata a Roma già nel VII-VIII secolo, periodo a cui sono datate sue immagini nella chiesa di Santa Maria Antiqua, e il suo culto è attestato in Sabina e Umbria prima dell'anno 1000.[13]
Intorno al IX secolo Barbara era venerata pubblicamente e ampiamente tanto nell'Oriente quanto nell'Occidente cristiano,[8] e durante il Medioevo si diffuse, grazie al suo culto, l'uso del nome proprio Barbara;[14][15] tra il XV (quando la sua storia raggiunse l'apice della popolarità in Occidente)[11] e il XVI secolo, era venerata in Germania come una delle quattro "grandi vergini", assieme alle sante Dorotea, Caterina d'Alessandria e Margherita d'Antiochia.[5][16] Il suo culto scemò progressivamente dopo il concilio di Trento (forse anche perché la giovane era considerata, nella storia, eccessivamente "ribelle" verso suo padre e l'autorità costituita).[11]
Negli antichi martirologi greci, così come nell'attuale martirologio romano, la data di commemorazione di santa Barbara è il 4 dicembre, ma va notato che tutti i martirologi del IX secolo la collocano invece al 16 dicembre.[2][4][8] La santa è stata rimossa dal Calendario romano generale con la riforma del 1969, per via del suo carattere leggendario, ma è ancora presente nel Martirologio romano e la continuazione del suo culto è stata permessa.[2][4][9]
Patronati
Dai vari elementi citati nella sua leggenda è derivata, col tempo, una quantità spropositata di patronati: la prigionia nella torre da parte di suo padre associò la sua figura alle torri, a tutto ciò che concerneva la loro costruzione e manutenzione e quindi il loro uso militare;[2][8] da qui il fatto di essere considerata patrona di architetti, stradini, tagliapietre, muratori, cantonieri, campanari, nonché di torri e fortezze. Parimenti, per via della morte di Dioscoro, essa venne considerata protettrice contro i fulmini e il fuoco, e di conseguenza contro le morti causate da esplosioni o da colpi d'artiglieria;[2][8][9] da qui deriva il suo patronato su numerose professioni militari (artiglieri, artificieri, genio militare, membri della marina) e sui depositi di armi e munizioni (al punto che le polveriere vengono chiamate anche "santebarbare").[22][23] Per quanto riguarda la marina militare (di cui fu confermata patrona da Pio XII con il breve pontificio del 4 dicembre 1951), la santa fu scelta in particolare perché simboleggiante la serenità del sacrificio di fronte a un pericolo inevitabile[22]. È inoltre patrona di tutto ciò che riguarda il lavoro in miniera[2][8] e dei vigili del fuoco. Il patronato sugli artiglieri e sui minatori risale almeno al XV secolo.[24]
Viene invocata per scongiurare i pericoli del fulmine e della morte improvvisa e priva dei conforti sacramentali,[11] il che l'ha fatta entrare nel numero dei santi ausiliatori,[25] un gruppo di quattordici santi alla cui intercessione la tradizione popolare attribuisce una particolare efficacia in determinate necessità:[26] la devozione è attestata per la prima volta in Germania nel 1284[27] e si diffuse notevolmente nel corso del Trecento anche in Austria, Svizzera e varie regioni italiane.[26]
Anche i racconti di miracoli operati per intercessione della santa fecero molto per aumentare la sua popolarità[25] (un esempio citato spesso è quello avvenuto a Gorkum nel 1448, in cui tal Henry Kock venne gravemente ustionato in un incendio e, appellandosi a santa Barbara -di cui era sempre stato devoto-, riuscì a uscire dall'edificio e a sopravvivere fino a ricevere l'estrema unzione).[8]
Stendardo navale della marina veneziana del XVII secolo con Santa Barbara (Museo Correr).
Come patrona delle attività principali del gruppo Eni le è stata dedicata la grande nuova chiesa costruita a Metanopoli, quartier generale del gruppo, per decisione di Enrico Mattei.
Iconografia
Nel XV e XVI secolo si assiste a una fioritura di rappresentazioni di santa Barbara in opere artistiche, specialmente fra autori italiani, fiamminghi e, in minor misura, tedeschi.[28] La sua leggenda e la varietà di cose a cui è associata hanno dato vita a un gran numero di elementi con i quali ella viene rappresentata. Il simbolo più comune e significativo è indubbiamente la torre a tre finestre, raffigurata tanto come ambiente in cui la santa viene collocata, quanto come "miniatura" tenuta in mano o poggiata ai piedi.[2][8][10][11][24][28] Il più antico, però, testimoniato da un affresco nella chiesa di Santa Maria Antiqua a Roma, è il pavone, simbolo di lunga vita, apoteosi o immortalità[28][29] (o, in alternativa, richiamante alcune versioni della leggenda in cui, quando i suoi carnefici si apprestarono a torturarla con delle verghe, queste si tramutarono in piume di pavone).[24] La piuma di questo animale (o di struzzo), inoltre, è un attributo presente nelle opere prodotte nell'area dei Paesi Bassi e della Germania, ma il suo significato non è chiaro: oltre che ricondursi all'episodio appena citato[10][29][30], potrebbe anche rappresentare la fenice, simbolo di Eliopoli (dove, secondo alcune agiografie, la santa sarebbe nata).[29][30]Gaiffier sosteneva invece che derivasse dal Dicta Origenis de beata Barbara, un'agiografia in cui Cristo appare come bambino a santa Barbara e le dà una piuma di struzzo, animale che, secondo Origene, è più degno di tutti gli altri.[28]
In quanto martire, a santa Barbara vengono associate spesso la palma,[2][8][10][28] una corona o un diadema (specie nelle opere più tarde)[10][11][28][29] e la spada, l'arma con cui è stata uccisa.[10][28] Altri attributi comuni, specie dopo il XV secolo, sono il calice e l'ostia (o anche la pisside),[24] entrambi simboleggianti l'accompagnamento cristiano alla morte, cioè che nessuno dei suoi devoti sarebbe morto senza aver ricevuto il viatico[2][8][10][11][28] (va notato che santa Barbara e santa Chiara sono le uniche donne, tra i santi, a cui viene attribuita l'ostia nelle rappresentazioni sacre).[31] Il concilio di Trento, citando un decreto del precedente concilio di Cambrai, bandì l'uso di questi due simboli, in quanto promettevano una "grazia scontata", specie a coloro che avevano vissuto in maniera peccaminosa (essi rimasero comunque comuni nell'iconografia ortodossa e anglicana).[11] Oltre a questi, è occasionalmente affiancata da cannoni o catapulte, il cui attacco richiama la morte subita da Dioscoro e il patronato di santa Barbara sull'artiglieria;[2][8][11] più rare invece le rappresentazioni in cui tiene un libro (rappresentazione della sua vita studiosa),[10] una torcia (richiamante un episodio del suo martirio) o in cui suo padre Dioscoro appare ai suoi piedi (simbolo della sua vittoria contro il paganesimo).[28]
Generalmente, santa Barbara è rappresentata riccamente vestita, spesso in tinte di rosso,[10][28] ma fino a prima del concilio di Trento (dove Molanus fece bandire tutte le immagini "lascive") esistevano anche opere ove era raffigurata seminuda,[11] in particolare in quelle che richiamavano la parte del suo martirio in cui le viene tagliato il seno; dopo il concilio il culto e le rappresentazioni occidentali di santa Barbara calarono notevolmente, concentrandosi maggiormente sull'episodio finale del martirio, la decapitazione.[11]
^ Antonio Lombatti, Il culto delle reliquie, Sugarco, 2007, p. 213, ISBN978-88-7198-526-8. Vedi anche: Mauro Orletti, Guida alle reliquie miracolose d’Italia, Quodlibet, 2018, p. 142, ISBN978-88-229-0118-7.
^(EN) BYZANTIUM 1057-1204, su Medieval Lands. URL consultato il 20 settembre 2016.
^ Antonio Lombatti, Il culto delle reliquie, Sugarco, 2007, pp. 213-214, ISBN978-88-7198-526-8. Vedi anche: Mauro Orletti, Guida alle reliquie miracolose d’Italia, Quodlibet, 2018, pp. 141-145, ISBN978-88-229-0118-7.
^(EN) host, su CatholicSaints.Info (archiviato dall'url originale il 3 agosto 2016).
^ Giulia Flammia, 2 – La leggenda di Santa Barbara, in C’era una volta: 8 versioni della fiaba di Raperonzolo in giro per il mondo, 9 maggio 2023. URL consultato il 24 aprile 2024.
Bibliografia
Bonaventura da Arenzano, Ausiliatori, in Bibliotheca Sanctorum, II volume, Roma, Istituto Giovanni XXIII nella Pontificia Università Lateranense, 1962.
Gian Domenico Gordini e Renato Aprile, Santa Barbara, in Bibliotheca Sanctorum, vol. II, Roma, Istituto Giovanni XXIII nella Pontificia Università Lateranense, 1962.