Inizialmente salito alla ribalta nel mondo dell'alpinismo per aver riportato in auge l'arrampicata libera in un periodo nel quale era preponderante la progressione artificiale, rendendosi protagonista nel 1968 del primo VIII grado in libera (seguendo la "linea logica") al Pilastro di Mezzo del Sass dla Crusc[1][2], il suo nome, legato a innumerevoli arrampicate e esplorazioni, è per lo più noto al grande pubblico per essere stato il primo alpinista al mondo ad aver scalato tutte le quattordici cime del pianeta che superano gli 8 000 metri sul livello del mare, spesso da versanti o in condizioni di eccezionale difficoltà (una di queste ha ispirato il film Nanga Parbat). Le sue innovazioni nell'arrampicata libera prima e nell'alpinismo di alta quota poi lo fanno figurare ai vertici dell'alpinismo internazionale a cavallo degli anni sessanta e settanta[3].
Considerato uno dei sostenitori del cosiddetto "stile alpino" nelle grandi montagne himalayane, per lo più oggetto allora di spedizioni con molti scalatori e caratterizzate da grande dispendio di risorse (himalayismo), fondamentali a tal proposito furono due imprese: nel 1978 è il primo uomo a scalare l'Everest senza l'ausilio di ossigeno supplementare insieme a Peter Habeler, mentre nel 1980 raggiunge la medesima vetta in solitaria. È stato quindi un grande himalaista, capace di darsi sempre nuovi obiettivi e di comunicarli con grande efficacia anche ad un pubblico di non addetti ai lavori. Tra le altre imprese, le traversate dell'Antartide e della Groenlandia senza il supporto di mezzi a motore né cani da slitta e la traversata del Deserto del Gobi.
Nel 1972 sposa la giornalista tedesca Uschi Demeter, dalla quale divorzierà nel 1977. Nel 1981 nasce la prima figlia, Leila. La madre è la fotografa canadese Nena Holguin. Il 1º agosto 2009, a 64 anni e dopo 25 di fidanzamento, si sposa con la compagna Sabine Eva Stehle; la cerimonia si svolge nel comune di Castelbello-Ciardes[6]. Con lei Messner ha avuto tre figli: Magdalena (1988), Simon (1991), e Anna (2002), e si è separato nel 2019. Nel maggio 2021 si sposa per la terza volta, la moglie è Diane Schumacher, nata in Lussemburgo e residente a Monaco di Baviera, di 36 anni più giovane.[7]
Dal 1985 Messner ha importato poco più di una decina di esemplari di yak dall'Himalaya, dopo la spedizione sul Cho Oyu, nella quale questi lo hanno aiutato per il trasporto delle merci sino al campo base. Ogni inizio e fine estate, egli conduce la transumanza degli animali da Solda verso il rifugio Città di Milano, ai piedi del Gran Zebrù, e a fine stagione estiva per il percorso inverso.[8] Una mezza dozzina di questi yak si trova anche nei pressi del monte Rite di Cibiana di Cadore, dove Messner ha costruito uno dei suoi musei.[9] Nel 2005, un esemplare di orso bruno ha attaccato un esemplare di yak, causandogli ferite che lo hanno condotto ad una morte assistita.[10]
Ad agosto 2015 esce la notizia che Messner ha dovuto abbandonare un'impresa scientifica "segreta" per la ricerca in Pakistan dello yeti (cui la figura di Messner era da sempre legata da pregresse vicende giornalistiche), salvo poi annullare il tutto in quanto era nota anche ai talebani la notizia del suo arrivo[11]. Sulla stessa vicenda, nel 2015 Messner si era comunque già espresso, sostenendone la teoria mitologica ovvero la derivazione del mito popolare dello yeti da una sottospecie ibrida di orso, l'orso delle nevi, a cui alcuni scienziati avevano dato appena conferma attraverso l'esame del DNA di un presunto scalpo di yeti[12].
Le Alpi
Ispirato da Hermann Buhl e Walter Bonatti[13], sin dagli anni sessanta è uno dei primi e più convinti sostenitori di uno stile di arrampicata che non utilizzi ausili esterni (equipaggiamento minimo e leggero, senza portatori, sherpa, né ossigeno supplementare): una filosofia alpinistica volta a non invadere le montagne, ma solamente ad arrampicarle[14]. Tra gli altri alpinisti che successivamente seguiranno le idee di Reinhold Messner vi furono il fratello Günther e Peter Habeler, che divennero in seguito suoi compagni d'imprese.
Messner ha scritto una delle più importanti pagine della storia dell'alpinismo[15]. In un tempo nel quale l'arrampicata libera aveva perso terreno a favore della progressione artificiale, Messner ripudia ogni artefatto umano. Interrompe questa tendenza con una serie di realizzazioni in arrampicata libera e anche attraverso una sua efficace argomentazione, che trova massima eco nel celebre articolo L'assassinio dell'impossibile, uscito su La rivista mensile del Cai nel 1968.
Dopo un certo periodo di attività sui monti dell'Alto Adige, negli anni cinquanta e sessanta compie la sua prima impresa di rilievo nel 1965, insieme al fratello Günther, sulle "montagne di casa", con l'apertura di una via sulla parete nord dell'Ortles.
Successivamente si dedica all'arrampicata dolomitica, aprendo nuove vie tassativamente in arrampicata libera. Dà il primo esempio di questo suo stile il 31 luglio 1967 aprendo la Via degli amici sulla parete nord-ovest del Monte Civetta insieme ad Heini Holzer, Sepp Mayerl e Renato Reali. La via consta di 40 lunghezze di corda e durante l'apertura vengono utilizzati 42 chiodi e 2 cunei di legno (una quantità di materiale incredibilmente piccola per l'epoca). La salita inizialmente non desta molto scalpore, in quanto viene valutata di grado V+ (non vi era ancora stata l'apertura verso l'alto della scala UIAA)[16].
Il 18 agosto dello stesso anno Messner apre col fratello Günther e con Holzer una via di 1400m sul versante nord-est del Monte Agner, salita interamente in libera con l'eccezione di un tratto di 20 m superato in artificiale. La via venne valutata di V+[16].
Un'impresa di grande rilievo viene compiuta il 7 luglio 1968 dai fratelli Messner sull'inviolato Pilastro di Mezzo del Sass dla Crusc. La salita di questo pilastro comporta infatti il superamento di quattro metri particolarmente difficili. Reinhold Messner va da capocordata e tenta più volte il passaggio, riuscendo infine a passarlo quando ormai era tentato di rinunciare[14]. Il passaggio Messner non fu più ripetuto per oltre dieci anni (i salitori successivi aggirarono il passaggio), fino a quando nel 1979Heinz Mariacher lo superò, valutandolo di grado VII+/VIII-. La salita di Messner era quindi la prima in cui il settimo grado, già toccato da Vinatzer, veniva superato[16].
In seguito Messner apre numerose vie, principalmente nelle Dolomiti, sempre seguendo la sua filosofia di ricercare non necessariamente i percorsi più diretti, bensì gli itinerari che gli permettessero di salire in arrampicata libera.
Gli ottomila
A proposito delle sue scalate alla fine degli anni sessanta, Messner scrive nel libro Sopravvissuto:[17]
«Nel 1969 riuscii a superare in solitaria la via più impegnativa delle Alpi Orientali, l'allora famigerato diedro Philipp-Flamm al Civetta, durante una bufera. Scalai da solo e in libera anche la parete ritenuta allora la più difficile delle Alpi Occidentali, la Nord delle Droites. A quel punto le Alpi mi erano divenute strette. Non era presunzione; era invece la brama di ampliare sempre più i miei confini, era la curiosità di un uomo ancora giovane e sotto molti aspetti inesperto. Fino a dove sarei stato capace di spingermi?»
Nel 1970 Reinhold Messner viene invitato insieme al fratello Günther a partecipare alla spedizione al Nanga Parbat (8126 m) diretta da Karl Maria Herrligkoffer. L'obiettivo della spedizione era salire l'allora inviolato versante Rupal della montagna. Si trattava di una spedizione pesante, nella quale era previsto abbondante uso di corde fisse e ausili tecnologici, secondo lo stile dell'epoca. Il 27 giugno Messner si trovava col fratello Günther e con Gerhard Baur al campo V, l'ultimo campo.[18] Avendo ricevuto notizia che il tempo sarebbe peggiorato il giorno successivo,[19] era stato deciso che in questo caso sarebbe partito da solo dal campo senza usare corde fisse, sperando così di raggiungere velocemente la vetta prima della fine del bel tempo.
Nel frattempo Gerhard Baur e Günther avrebbero attrezzato il canalone Merkl con 200 metri di corda, per facilitare la discesa.[20] Invece Reinhold venne raggiunto dopo 4 ore dal fratello Günther, che aveva deciso di seguirlo di propria iniziativa. Gerhard Baur era tornato indietro a causa di un mal di gola che gli impediva la respirazione.[21] I due raggiunsero la vetta nel tardo pomeriggio. Si trattava della terza salita di questa montagna. Essendo ormai il tramonto, però, non essendo in grado di ridiscendere per la via di salita, perché non era stata attrezzata e perché non si erano portati dietro le corde necessarie per affrontarla, i due furono costretti ad un bivacco d'emergenza. Il giorno successivo decisero di scendere per il versante Diamir,[22] senza aspettare Felix Kuen e Peter Scholz che stavano salendo con le corde e che usarono per ridiscendere in corda doppia.[23]
Günther morì quasi alla fine della discesa, travolto da una valanga. Reinhold, creduto morto, arrivò a valle sei giorni dopo, trasportato prima a spalle e poi in barella dai valligiani.[24] Reinhold riportò gravi congelamenti a 7 dita dei piedi e alle ultime falangi delle mani, subendo una parziale amputazione delle dita dei piedi.[25]
Reinhold Messner, che durante quell'episodio estremo perse il fratello, diventò per anni oggetto di polemiche infamanti, con l'accusa fantasiosa di aver abbandonato Günther in cima al Nanga Parbat, ben prima della discesa, sacrificandolo alla propria ambizione di attraversare per primo il versante Diamir.[26] Solo a distanza di 30 anni l'infondatezza delle critiche rivoltegli sarà dimostrata, grazie al ritrovamento del corpo del fratello laddove Messner aveva sempre affermato fosse scomparso[27]. Nel 2010 è stato girato un film sulla tragedia, intitolato Nanga Parbat, diretto da Joseph Vilsmaier.
Nel 1975 completa con Peter Habeler la prima ascesa senza ossigeno supplementare del Gasherbrum I. Lo stesso anno partecipa come alpinista di punta alla spedizione guidata da Riccardo Cassin che tentava di salire l'inviolata parete sud del Lhotse, fallita a causa di maltempo e valanghe[28].
Nel 1978 sale l'Everest senza ossigeno, sempre con Habeler, diventando uno degli alpinisti più famosi del mondo. La scalata dell'Everest senza l'ausilio di bombole di ossigeno era considerata fino ad allora impossibile per l'uomo, tanto che Messner e Habeler vengono accusati di aver utilizzato di nascosto delle mini-bombole. Tuttavia, nel 1980, Messner mette a tacere le polemiche quando il 20 agosto raggiunge di nuovo la vetta dell'Everest in pieno periodo monsonico, ma questa volta in solitaria e sempre senza l'ausilio di ossigeno supplementare. Durante l'impresa, compiuta in quattro giorni, apre una nuova variante sul versante nord, senza aver preallestito campi di alta quota[29]. Salendo deve anche affrontare la caduta in un crepaccio. Una continua agonia scriverà, in seguito, "una prova fisica mai prima affrontata"[30].
Sempre nel 1978, Messner ritorna al Nanga Parbat, da solo, realizzando la prima salita in solitaria e in stile alpino di un ottomila. Nel 1979 si reca invece al K2 alla guida di una piccola spedizione, con l'intenzione di salire per una nuova via lungo il pilastro sud. In fase di progettazione Messner progetta la via, che chiama magic line, sulla base di foto aeree. Arrivati sul posto, però, i componenti della spedizione constatano l'impossibilità di salire il pilastro e decidono di salire per lo Sperone degli Abruzzi. Messner divide quindi la spedizione in tre gruppi che si muoveranno autonomamente. Insieme a Michl Dacher raggiunge la vetta il 12 luglio. Si tratta della prima ascensione della montagna in stile alpino (il K2 era già stato salito senza l'uso di ossigeno nel 1978, ma da parte di una spedizione pesante). Gli altri due gruppi, formati da Alessandro Gogna, Friedl Mutschlechner, Robert Schauer e Joachim Hoelzgen, non riescono a raggiungere la vetta a causa del sopravvenuto maltempo. Della spedizione faceva parte anche Renato Casarotto, che tuttavia non partecipa ai tentativi finali[31][32].
Dopo il 1980, Messner continua a conquistare numerose vette himalaiane, spesso aprendo nuovi percorsi, o tentando per primo l'ascesa in inverno, sempre proponendo un approccio all'alpinismo basato sul suo stile di arrampicata leggera. Nel 1986 diviene il primo uomo ad aver conquistato tutti i quattordici ottomila (salendo anche alcune cime più di una volta). Nel dicembre dello stesso anno, con il raggiungimento della vetta del Monte Vinson, completa l'ascesa delle Seven Summits[33].
Dopo aver abbandonato l'alpinismo himalayano organizza e finanzia nel 1989 una spedizione internazionale alla parete sud del Lhotse, ancora inviolata. In questa spedizione gli alpinisti Hans Kammerlander e Christophe Profit arrivano fino a quota 7200 m, ma devono rinunciare a causa del maltempo e delle scariche di sassi[34]. Nella sua carriera Messner ha effettuato oltre cento spedizioni e 3500 scalate.
Le esplorazioni e l'impegno politico
Nel 1989-1990 lui e Arved Fuchs sono i primi uomini ad attraversare l'Antartide a piedi o con gli sci e con l'aiuto di vele spinte dal vento, passando per il Polo sud, senza l'ausilio di mezzi motorizzati o animali (in imprese precedenti erano stati utilizzati i cani da slitta). Dal novembre 1989 al febbraio 1990 percorrono 2800 chilometri. [35] Nel 1999 inizia l'impegno politico, diventando parlamentare europeo per i Verdi, ricevendo oltre 20 000 preferenze nella circoscrizione nord-est. Nel 2004, a quasi 60 anni, attraversa a piedi il deserto del Gobi. Nel 2004, in seguito all'espulsione dal partito dovuta a una sua pubblicità per i fucili Beretta[36], non si ricandida alle successive elezioni.
Dal 2004 l'attenzione di Messner è dedicata principalmente a un progetto di apertura dei musei della montagna. Ha dichiarato:
«Ho avuto la grande fortuna di aver trovato dopo la carriera di scalatore un nuovo obiettivo, quello dei musei di montagna, altrimenti ancora oggi rincorrerei queste sensazioni. Con i musei non rischio la vita, soltanto il fallimento economico.[37]»
Salita con i pakistani Sher Khan e Nazir Sabir per il versante ovest. Messner diviene il primo alpinista ad aver salito tre ottomila in una sola stagione.
Dolomiti. Le vie ferrate. 35 percorsi attrezzati fra il Gruppo di Brenta e le Dolomiti di Sesto, Bolzano, Athesia, 1975.
Dolomiti. Le vie ferrate. 60 percorsi attrezzati fra il Gruppo di Brenta e le Dolomiti di Sesto, Bolzano, Athesia, 1975.
Vita fra le pietre. Popoli montanari prima che soccombano, Bolzano, Athesia, 1976.
Arena della solitudine. Spedizioni ieri, oggi, domani, Bolzano, Athesia, 1977.
Due e un ottomila, Milano, Dall'Oglio, 1977.
Pareti del mondo. Storie, vie, esperienze vissute, Bolzano, Athesia, 1978.
Alpi orientali. Le vie ferrate. 100 percorsi attrezzati dal lago di Garda all'Ortles dal Bernina al Semmering, con Werner Beikircher, Bolzano, Athesia, 1979. ISBN 88-7014-093-8.
Everest, Novara, De Agostini, 1979.
Il limite della vita, Bologna, Zanichelli, 1980.
K2, con Alessandro Gogna, Novara, Istituto geografico De Agostini, 1980.
Nanga Parbat in solitaria, Novara, Istituto geografico De Agostini, 1980.
La mia strada, Milano, Dall'Oglio, 1983.
Orizzonti di ghiaccio. Dal Tibet all'Everest, Novara, Istituto geografico De Agostini, 1983.
Il mio grande anno himalayano, Novara, Istituto geografico De Agostini, 1984.
Scuola di alpinismo, Novara, Istituto geografico De Agostini, 1984.
Tutte le mie cime. Una biografia per immagini dalle Dolomiti all'Himalaya, Bologna, Zanichelli, 1984; Milano, Corbaccio, 2011. ISBN 978-88-6380-037-1.
La dea del turchese. La salita al Cho Oyu, Novara, Istituto geografico De Agostini, 1985.
Corsa alla vetta, Novara, Istituto geografico De Agostini, 1986.
Sopravvissuto. I miei 14 ottomila, Novara, Istituto geografico De Agostini, 1987.
L'arrampicata libera di Paul Press, ideato e curato da, Novara, Istituto geografico De Agostini-Serie Görlich, 1987.
Oltre il limite. Polo Nord, Everest, Polo Sud. Le grandi avventure ai tre poli della Terra, Novara, Istituto geografico De Agostini, 1997. ISBN 88-415-4637-9.
La seconda morte di Mallory, Torino, Bollati Boringhieri, 2002. ISBN 88-339-1398-8.
Popoli delle montagne. Fotografie e incontri, Torino, Bollati Boringhieri, 2002. ISBN 88-339-1406-2.
Montagne. Immagini, pensieri. Per riuscire a salvare la montagna è fondamentale che le generazioni future ne capiscano i valori, Novara, Istituto geografico De Agostini, 2002. ISBN 88-418-0495-5.
Годы 1794 · 1795 · 1796 · 1797 — 1798 — 1799 · 1800 · 1801 · 1802 Десятилетия 1770-е · 1780-е — 1790-е — 1800-е · 1810-е Века XVII век — XVIII век — XIX век 2-е тысячелетие XVI век — XVII век — XVIII век — XIX век — XX век 1690-е 1690 1691 1692 1693 1694 1695 1696 1697 1698 1699 1700-е 1700 1701 1702 1703 1704 1705 1706 1707 1708 1709 1710-е 1710 1711 1712 17...
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