Con la locuzione Prima Repubblica, detta anche la Gloriosa, si intende il periodo del regime politico democratico instaurato nel Paese iberico dall'11 febbraio 1873 (data di proclamazione della Repubblica e dell'esilio del re Amedeo di Savoia), al 29 dicembre 1874 (data della restaurazione della monarchia, con la proclamazione del re Alfonso XII).
Durante il periodo in cui esistette, coesistettero nello stesso frangente tre conflitti (la guerra dei dieci anni cubana del 1868-1878, la terza guerra carlista del 1872-1876 e la rivolta cantonale del 1873-1874) e una situazione di grave instabilità interna. Per questo motivo, oltre a rivelarsi breve, la prima repubblica spagnola fu costellata da un susseguirsi di vari personaggi politici all'esecutivo. Nei suoi primi undici mesi vi furono infatti quattro presidenti, tutti del Partito Repubblicano Federale, fino a quando il colpo di Stato del generale Manuel PavÃa del 3 gennaio 1874 pose fine alla repubblica federale proclamata nell'anno precedente. Da quel momento, si instaurò una repubblica unitaria guidata dal generale e dittatore Francisco Serrano, principale esponente del Partito Costituzionale di stampo conservatore. Questa situazione fu interrotta nel dicembre del 1874, quando in Spagna tornò la monarchia.
All'inizio del 1873 la Spagna stava vivendo una fase di fortissima difficoltà per svariati motivi. Lo Stato iberico era infatti afflitto dalla guerra dei dieci anni di Cuba dal 1868, dallo scoppio della terza guerra carlista nel 1872, dalle divisioni tra i sostenitori interni del re Amedeo I, dall'opposizione dei monarchici "alfonsini" favorevoli alla restaurazione dei Borboni nella persona di Alfonso, figlio di Isabella II, e dallo scoppio di varie insurrezioni filo-repubblicane. Come se non bastasse, il monarca godeva di uno scarsissimo sostegno popolare.[1] Al contempo si verificò una crisi di governo causata dalla nomina al ruolo di capitano generale di Baltasar Hidalgo de Quintana, che gli ufficiali di artiglieria non vedevano dal 22 giugno 1866 e di cui tutti chiedevano il suo congedo irrevocabile o il pensionamento. Il governo optò per lo scioglimento del corpo d'artiglieria, ottenendo il 7 febbraio 191 voti in parlamento, gli stessi che avevano eletto don Amadeo, che non usò la prerogativa regia a favore degli artiglieri e firmò il decreto di scioglimento del corpo d'artiglieria. Questo evento ebbe luogo il 9 febbraio, mentre l'11 il re decise di abdicare.[1]
«L'Assemblea Nazionale assume tutti i poteri e dichiara la Repubblica come forma di Governo della Nazione, lasciando l'organizzazione di questa forma di Governo alle Corti Costituenti.»
Manuel Ruiz Zorrilla, fino ad allora capo di gabinetto, intervenne replicando:[4]
«Protesto e protesterò, anche a costo di rimanere il solo a farlo, contro quei deputati che, giunti al Congresso in veste di monarchici costituzionali, si sentono autorizzati a prendere una decisione che dall'oggi al domani potrebbe far passare la nazione da una monarchia a una repubblica.»
Successivamente il repubblicano Emilio Castelar raggiunse i banchi della Presidenza e pronunciò il seguente discorso, a cui fece seguito un fragoroso applauso:[4]
«Signori, con Ferdinando VII morì la monarchia tradizionale, con la fuga di Isabella II quella parlamentare, con le dimissioni di don Amedeo di Savoia la monarchia democratica. Nessuno vi ha posto fine, esse sono scomparse da sole; nessuno estrae dal nulla la Repubblica, è una serie di circostanze storiche a favorirne la creazione, ovvero le spinte sociali, naturali e storiche. Signori, salutiamola come il sole che sorge con la sue forze nel cielo del nostro Paese.»
Alle tre del pomeriggio dell'11 febbraio 1873, il Congresso e il Senato, entrambi riuniti presso l'Assemblea Nazionale, proclamarono la Repubblica con 258 voti a favore e 32 contrari:[5]
«L'Assemblea Nazionale riprende tutti i poteri e dichiara la Repubblica come forma di governo della Spagna, lasciando l'organizzazione di questa forma di governo alle Corti Costituenti. Il potere esecutivo sarà eletto su nomina diretta delle Corti, sarà responsabile nei loro confronti ed esse godranno della facoltà di destituirlo.»
Il primo governo repubblicano dovette affrontare una situazione economica, sociale e politica molto difficile: un disavanzo di bilancio di 546 milioni di peseta, 153 milioni di debiti a pagamento immediato e solo 32 milioni per coprirli; il Corpo di Artiglieria era stato sciolto al culmine della terza guerra carlista e della guerra contro i combattenti cubani per l'indipendenza, per le quali non c'erano abbastanza soldati, armi o denaro; una grave crisi economica, in coincidenza con la grande depressione scoppiata nel 1873 e aggravata dall'instabilità politica, che stava causando un aumento della disoccupazione tra i lavoratori a giornata e gli operai, a cui rispondevano le organizzazioni del proletariato con scioperi, marce, manifestazioni di protesta e l'occupazione di terreni abbandonati.[8]
Ad ogni modo, il problema più urgente di cui doveva occuparsi il nuovo esecutivo riguardava il bisogno di sedare i disordini causati da una frangia dei repubblicani federali. Questi avevano inteso la proclamazione della Repubblica alla stregua di una nuova rivoluzione e avevano assunto il potere con la forza in molti luoghi, dove avevano istituito dei "comitati rivoluzionari" che non riconoscevano il governo di Figueras, in quanto ritenuto un gabinetto di coalizione capeggiato da vecchi monarchici; inoltre, i «repubblicani di Madrid» venivano ritenuti dei personaggi troppo morbidi.[8]
In molti insediamenti dell'Andalusia la Repubblica era così strettamente associata alla distribuzione delle terre che i contadini pretendevano che i consigli comunali parcellizzassero immediatamente le fattorie più importanti della località , alcune delle quali avevano fatto parte del patrimonio comunale prima della desamortización.[9] Quasi ovunque la Repubblica si identificava anche con l'abolizione delle odiate quintas, cioè la selezione casuale degli abitanti che dovevano prestare servizio militare, una promessa che la rivoluzione del 1868 non aveva mantenuto, come ricordava una copla cantata a Cartagena:[10]
(ES)
«Si la República viene, No habrá quintas en España, Por eso aquà hasta la Virgen, Se vuelve republicana.»
Il governo di Figueras firmò solennemente la cessazione del servizio militare obbligatorio e istituì il servizio volontario. Ogni soldato avrebbe guadagnato una peseta al giorno e un chusco.[12] Da parte loro, i membri della milizia dei Volontari della Repubblica ricevevano uno stipendio di 50 pesetas al momento dell'arruolamento, più due pesetas e un chusco al giorno.
L'8 marzo, mentre l'Assemblea nazionale stava per discutere la proposta di scioglierla, Cristino Martos tentò un nuovo colpo di Stato con lo stesso obiettivo di formare un governo esclusivamente radicale, questa volta presieduto dal suo collega di partito Nicolás MarÃa Rivero, godendo dell'appoggio del generale Serrano, guida del partito costituzionale monarchico.[14] Tuttavia, all'ultimo momento, i deputati radicali seguaci di Rivero, temendo che la formazione di un governo radicale potesse provocare una rivolta dei repubblicani "intransigenti", non appoggiarono l'iniziativa di Martos e votarono a favore dello scioglimento dell'Assemblea. Martos rassegnò le dimissioni dalla carica di presidente dell'Assemblea due giorni più tardi.[14] Tuttavia, nella Commissione Permanente costituitasi il 22 marzo, la quale avrebbe assunto le funzioni di vigilanza sul governo fino alla riunione delle nuove Corti Costituenti, i radicali mantennero la maggioranza assoluta. Permasero comunque delle divisioni tra i "Martistas", cioè i seguaci di Martos, che contavano otto rappresentanti, e i "Riveristas", che ne avevano quattro, contro cinque repubblicani federali, più due filo-monarchici che desideravano il ritorno di Alfonso, figlio di Isabella II di Spagna, e un membro del Partito Costituzionale.[14]
Il 9 marzo, all'indomani del tentato colpo di Stato avvenuto a Madrid, il Consiglio provinciale di Barcellona, dominato dai repubblicani federali "intransigenti", provò a proclamare la nascita dello Stato catalano, come aveva già fatto il 12 febbraio.[15] Allo stesso modo di quella prima occasione, solo i telegrammi che Pi y Margall mandò loro da Madrid li fecero desistere. Tre giorni dopo, il 12 marzo, il Presidente del Potere Esecutivo della Repubblica, Estanislao Figueras, arrivò a Barcellona e li dissuase definitivamente dal dare seguito a eventuali manovre successive.[15]
Ancora una volta, l'azione decisiva del ministro dell'Interno, Pi y Margall, che conosceva i piani dei cospiratori, sventò il tentativo.[16] Dapprima sostituì il generale PavÃa alla guida del Capitanato generale di Madrid con il generale Hidalgo; in seguito, ordinò alla guardia civile e alla milizia dei Volontari della Repubblica di attaccare l'arena, dove i reazionari avevano concentrato i Volontari della Libertà , che deposero le armi dopo alcuni colpi. Più tardi, gruppi federali armati circondarono il Palazzo del Congresso, dove si riuniva la Commissione Permanente che intendeva destituire il governo e convocare l'Assemblea Nazionale per nominare il generale Serrano presidente dell'esecutivo. I membri della Commissione furono in grado di lasciare il Congresso solo grazie alla protezione fornita da deputati repubblicani e membri del governo, tra i quali Emilio Castelar e Nicolás Salmerón, il cui fratello Francisco Salmerón, del Partito Radicale, era un membro della Commissione. La maggioranza delle persone coinvolte nel colpo di Stato fallito lasciò la Spagna, con alcuni che si travestirono per non essere riconosciuti, come il generale Serrano, il generale Caballero de Rodas e Cristino Martos.[17] Il giorno successivo, un decreto del potere esecutivo firmato da Pi y Margall sciolse la Commissione Permanente.[18]
«Articolo unico. La forma di governo della Nazione Spagnola è la Repubblica democratica federale.»
Il presidente, in applicazione di quanto disposto dal Regolamento del Tribunale per l'approvazione definitiva dei progetti di legge, si convinse a domandare il voto nominale il giorno successivo. L'8 giugno la proposta fu approvata con il voto favorevole di 218 deputati e solo 2 contrari, proclamando quel giorno la Repubblica Federale.[26]
Sebbene i repubblicani federali godessero della stragrande maggioranza nelle corti costituenti, erano in realtà divisi in tre gruppi:[27]
I "centristi", guidati da Pi y Margall, concordavano con gli intransigenti sul bisogno di costituire una repubblica federale, ma, per così dire, dall'alto verso il basso. Si riteneva infatti che prima occorresse stilare una Costituzione federale e poi procedere alla formazione dei cantoni o degli Stati federati. Il numero dei deputati che aderiva a questo settore non era molto grande e in molte occasioni agiva diviso nelle votazioni, sebbene si tendesse ad aderire alle proposte degli intransigenti;
I "moderati" costituivano la parte destra della Camera ed erano guidati da Emilio Castelar e Nicolás Salmerón; tra questi spiccavano anche Eleuterio Maisonnave e Buenaventura Abárzuza Ferrer. Difendevano la formazione di una Repubblica democratica che accogliesse tutte le opzioni liberali, rifiutando di concedere alle Corti un ruolo fortissimo, come volevano gli intransigenti, e concordavano con i centristi sul bisogno di approvare una nuova Costituzione. Costituivano il gruppo più numeroso alla Camera, sebbene vi fossero alcune differenze tra i sostenitori di Castelar, a favore della conciliazione con i radicali e con i costituzionalisti per includerli nel nuovo regime, e i sostenitori di Salmerón, che parteggiavano per una repubblica basata solo sull'alleanza dei "vecchi" repubblicani. Il loro modello era la Repubblica francese, mentre per i centristi e gli intransigenti occorreva guardare alla Svizzera e agli Stati Uniti, due repubbliche con un impianto federale.
«Le sedute dell'Assemblea Costituente mi attiravano, e la maggior parte dei pomeriggi la trascorrevo in tribuna stampa, divertito dallo spettacolo di indescrivibile confusione offerto dai padri della Patria. L'individualismo sfrenato, il flusso e riflusso delle opinioni, dalle più cervellotiche alle più stravaganti, e la disastrosa spontaneità di tanti oratori, facevano impazzire lo spettatore e rendevano impossibili le funzioni storiche. Chiarissero in quale forma dovesse essere nominato il Ministero: se i ministri dovessero essere eletti separatamente dal voto di ogni deputato, o se fosse più conveniente autorizzare Figueras o Pi a presentare la lista del nuovo esecutivo. Tutti i sistemi sono stati concordati e respinti. Si è trattato di un gioco infantile, che farebbe ridere se non ci commuovesse con grande dolore.»
Mentre presiedeva un Consiglio dei ministri, stufo di sterili dibattiti, Estanislao Figueras esclamò in catalano: «Signori, non ce la faccio più. Sarò franco: sono stufo di tutti noi!».[28]
Non appena le Corti costituenti si riunirono, Estanislao Figueras restituì i suoi poteri alla Camera e propose che il suo ministro dell'Interno, Francisco Pi y Margall, fosse nominato nuovo presidente del potere esecutivo; tuttavia gli intransigenti si opposero e riuscirono a far desistere Pi dal suo tentativo di dare vita a un governo, motivo per cui Figueras fu incaricato di formarlo.[29] In seguito Figueras apprese che i generali intransigenti Juan Contreras y Román e Pierrad stavano preparando un colpo di Stato per instaurare la Repubblica federale al di fuori del governo e dei tribunali; ciò gli fece temere per la sua incolumità , soprattutto dopo che Pi y Margall disse che non era molto disposto a entrare nel suo governo. Il 10 giugno Figueras, in preda al panico, fuggì in Francia e rassegnò segretamente le dimissioni dal suo incarico alla Presidenza.[30] Dopo aver fatto una passeggiata nel parco del Retiro, senza dire una parola a nessuno salì sul primo treno in partenza dalla stazione di Atocha e scese soltanto quando raggiunse Parigi.[29]
Il programma di governo che Pi y Margall presentò alle Corti si basava sulla necessità di porre fine alla terza guerra carlista, alla Separazione tra Stato e Chiesa, all'abolizione della schiavitù e alla riforme a favore delle lavoratrici e dei bambini.[33] Su quest'ultimo punto, le Corti approvarono il 24 luglio 1873 una legge che regolava «il lavoro delle officine e l'insegnamento nelle scuole di bambini lavoratori di ambo i sessi».[34] La proposta prevedeva anche la restituzione dei beni comunali alle città attraverso una legge che modificasse la desamortización di Madoz, ma la legge non fu mai varata. Non fu approvata nemmeno un'altra legge che mirava a trasferire le terre agli affittuari a vita in cambio del pagamento di un censo. Fu approvata una legge del 20 agosto che dettava norme «per riscattare le rendite e gli appezzamenti conosciuti giuridicamente con il nome di foros, subforos e altri della stessa natura».[35] Infine, il programma prevedeva come priorità la stesura della nuova Costituzione e la promozione dell'istruzione obbligatoria e gratuita.
Nel programma di governo che Pi y Margall avanzò alle Corti, si indicò tra le priorità la rapida approvazione della Costituzione della Repubblica, per la quale si elesse subito una commissione di venticinque membri incaricata di redigere il progetto. Uno dei membri della stessa, il moderato Emilio Castelar, scrisse in ventiquattro ore i compiti che avrebbe assunto l'intera commissione e che avrebbe esposto alle Corti in seduta.[38] Il progetto non convinse i radicali, i costituzionalisti o gli intransigenti repubblicani federali, che finirono per presentare un progetto costituzionale concorrente.[39]
Il progetto di Costituzione era «preceduto da un preambolo in cui si motiva[va]no le richieste a cui i suoi articoli cerca[va]no di rispondere».[41] Innanzitutto, si provava a «consolidare la libertà e la democrazia conquistate dalla Gloriosa rivoluzione di settembre».[41] In più, ci si preoccupava di «indicare una divisione territoriale, che sulla base della storia, assicurasse alla Federazione e con essa l'unità nazionale». Infine, si sottolineava come fosse necessario «tenere ben distinti i poteri pubblici in modo che non possano essere confusi, impedendo al contempo di facilitare l'avvento della dittatura».[41] Dopo il preambolo si elencavano 117 articoli, organizzati in 17 titoli. L'articolo più dibattuto, richiamato dal grosso degli emendamenti che vennero discussi, fu il primo, il quale stabiliva la divisione territoriale della Repubblica, e in cui Cuba e Porto Rico venivano incluse per risolvere il problema coloniale. Si aggiunse poi che leggi speciali avrebbero regolato la situazione delle altre province d'oltremare:[41]
«La nazione spagnola è composta dagli Stati dell'Alta Andalusia, Bassa Andalusia, Aragona, Asturie, Isole Baleari, Isole Canarie, Nuova Castiglia, Vecchia Castiglia, Catalogna, Cuba, Estremadura, Galizia, Murcia, Navarra, Porto Rico, Valencia, Paesi Baschi. Gli Stati possono mantenere le attuali province o modificarle, secondo le loro esigenze territoriali.»
In termini di diritti e libertà , il progetto era una continuazione del Titolo I della Costituzione spagnola del 1869, pur introducendo «alcune significative novità , come la separazione definitiva tra Chiesa e Stato e il divieto esplicito di sovvenzionare qualsiasi culto. Inoltre, richiedeva il riconoscimento civile dei matrimoni, nascite e morti e dichiarava aboliti i titoli nobiliari. Si concedeva e regolamentava il diritto di associazione in modo piuttosto ampio. [...] ]».[41]
«Navarrete e i suoi seguaci sostengono che il governo avrebbe dovuto essere un governo rivoluzionario, che avrebbe dovuto assumere in un certo qual modo delle prerogative dittatoriali, senza contare sulle Corti Costituenti. [...] Se la Repubblica fosse nata dal basso, si sarebbero formati i Cantoni, ma ci sarebbe voluto un processo molto lungo, laborioso e pieno di conflitti, mentre ora, attraverso le Corti Costituenti, stiamo realizzando la Repubblica federale, senza grandi disordini, senza clamore e senza spargimento di sangue.»
Dopo l'abbandono delle Corti, gli intransigenti chiesero la formazione immediata e diretta del "cantonalismo", scatenando presto quella che sarebbe passata alla storia come ribellione cantonale. A Madrid si formò un Comitato di Salvezza Pubblica per dirigerlo, anche se, secondo López-Cordón, «a prevalere fu l'iniziativa dei federalisti locali, che presero il controllo della situazione nelle rispettive città ». Sebbene vi fossero stati casi, come quello di Malaga, in cui le autorità locali condussero la rivolta, nella maggioranza delle città si crearono delle giunte rivoluzionarie. Nel giro di pochi giorni, la rivolta assunse una discreta portata in Andalusia, a Valencia e in Murcia.[43]
Il 30 giugno, il consiglio comunale di Siviglia decise di diventare una Repubblica Sociale. Una settimana dopo, il 9 luglio, Alcoy si dichiarò indipendente: dal 7 luglio si verificò un'ondata di omicidi e di regolamenti di conti sotto il pretesto di uno sciopero rivoluzionario (la cosiddetta «Revolución del Petroleum», capeggiata da esponenti delle sedi provinciali della sezione spagnola dell'AIT).[44]
Secondo Jorge Vilches, «i punti comuni dei sostenitori del cantonalismo riguardavano l'abolizione delle tasse impopolari, come quella sul consumo e il bollo sul tabacco e sul sale, la secolarizzazione dei beni del clero, l'adozione di misure favorevoli ai lavoratori, la grazia dei detenuti per reati contro lo Stato, la sostituzione dell'esercito alla milizia e la formazione di comitati o unità di sanità pubblica».[44]
Il più longevo e il più attivo di tutti i cantoni risultò quello di Cartagena, proclamato il 12 luglio nella base militare e navale locale, su ispirazione del deputato federale murciano Antonio Gálvez Arce, detto Antonete.[48] I cantonalisti di Cartagena si insediarono all'interno del castello di Galeras, innalzando una bandiera rossa e sparando un cannone come segnale preventivamente concordato, al fine di indicare alla fregata Almansa che avevano espugnato le difese e che potevano ribellarsi insieme al resto dello squadrone.[49] In realtà , in assenza di una bandiera interamente rossa, si issò una bandiera turca. La bandiera fu poi immediatamente rimossa e, non avendo della vernice rossa e per una evitare che qualcuno potesse confondersi su chi effettivamente stesse controllando il castello, un ribelle si provocò volontariamente una ferita al braccio, tingendo con il suo sangue la mezzaluna e la stella.[49] Il capitano generale, sentito l'accaduto, inviò un telegramma a Madrid: «Il castello di Galeras ha issato la bandiera turca». Antonio Gálvez Arce affascinò i marinai con un suo sentito discorso e si impossessò dello squadrone ancorato nel porto, che a quel tempo era composto dai migliori della Armada Española. Con la flotta in suo possesso, seminò il terrore sulla vicina costa mediterranea, e fu dichiarato «pirata e un ricercato» per decreto del governo repubblicano.[50] Una volta sbarcato, guidò una marcia verso Madrid che fu interrotta a Chinchilla. Il cantone di Cartagena coniò una propria moneta, il "duro cantonal", e resistette a un assedio di sei mesi.[51]
Due fregate cantonali, la fregata a elica Almansa e la corazzataVitoria, salparono da Cartagena alla volta di AlmerÃa per raccogliere risorse economiche. Quando la città si rifiutò di pagare, fu bombardata e presa dai cantonalisti, che riscossero essi stessi il tributo. Il generale Contreras, al comando della flotta, fu onorato allo sbarco, venendo curiosamente accompagnato dalle note della Marcha Real. Gli stessi eventi ebbero luogo ad Alicante, ma sulla via del ritorno a Cartagena vennero catturati come pirati dalle corazzate britannica e tedesca HMS Swiftsure e SMS Friedrich Carl, rispettivamente.[51]
Il governo di Pi y Margall venne travolto dalla ribellione cantonale e dal prosieguo della terza guerra carlista: i sostenitori di Don Carlos vagavano liberamente a loro piaciamento nelle Vascongadas, in Navarra e in Catalogna, tranne che nei capoluoghi, ed estesero la loro influenza all'intero Paese attraverso dei gruppi di rivoluzionari. Il pretendente al trono Carlo VII aveva formato a Estella un governo con dei propri ministeri, che iniziò persino a coniare denaro; i buoni rapporti intrattenuti con la Francia gli permise di ricevere degli aiuti esteri.[51]
La politica di Pi y Margall di combinare persuasione e repressione per porre fine alla rivolta cantonale si intuisce in maniera lampante nelle istruzioni impartite al generale repubblicano Ripoll, impegnato a sedare i disordini in Andalusia e a capo dell'unità dell'esercito di Córdoba che contava 1.677 fanti, 357 cavalli e 16 pezzi di artiglieria:[53]
«Ho fiducia nella vostra prudenza quanto nella vostra forza d'animo. Non entrate in Andalusia in stato di guerra. Fate capire al popolo che l'esercito viene costituito solo per garantire i diritti di tutti i cittadini e per far rispettare le risoluzioni dell'Assemblea. Calmate i timidi, moderate gli impazienti; mostrate loro che le eterne cospirazioni e i frequenti disordini uccidono, come sta accadendo, la Repubblica. Mantenete sempre alta la vostra autorità . Fate appello, innanzitutto, alla persuasione e al consiglio. Quando questi non bastano, non esitate a colpire duramente i ribelli. L'Assemblea è oggi l'autorità sovrana.»
«La mia delusione per il potere è stata così grande che non riesco a desiderarlo. Nel governo ho perso la mia tranquillità , il mio riposo, le mie illusioni, la mia fiducia negli esseri umani, su cui si reggevano le basi del mio carattere. Per ogni uomo riconoscente, cento ingrati; per ogni uomo disinteressato e patriottico, ce ne sono stati cento che hanno cercato in politica soltanto di soddisfare i propri appetiti. Ho ricevuto del male in cambio del bene [...]»
Il governo di Nicolás Salmerón e la repressione della ribellione cantonale
Nicolás Salmerón, eletto presidente dell'esecutivo con 119 voti favorevoli e 93 contrari, fu un federalista moderato che difese la necessità di raggiungere un'intesa con i gruppi conservatori e una lenta transizione verso una repubblica federale. Secondo Jorge Vilches, «i suoi interventi parlamentari nelle ultime due legislature del regno di Amadeo I, sfacciatamente arroganti ma non per questo maleducati, gli valsero popolarità tra i repubblicani [...] Nelle Corti Costituenti della Repubblica Spagnola guidò una frangia della destra repubblicana. Si trattò di una scelta logica non solo per le sue idee conservatrici, ma anche per la mancanza di uomini di talento, l'assenza di figure esperte in campo politico e la scarsa conoscenza del mondo giuridico dei deputati repubblicani di quell'Assemblea».[54] La sua accorata retorica continuò nelle Corti della restaurazione borbonica. Francisco Silvela disse che Salmerón, nei suoi discorsi, sfoderava un'unica arma: l'artiglieria. Antonio Maura riferiva a proposito del tono professorale di don Nicolás che «sembra[va] sempre che si [stesse] rivolg[endo] ai metafisici di Albacete».[55]
Il modello di governo di Salmerón era quello dello "stato di diritto", il che significava che, per salvare la Repubblica e le istituzioni liberali, era necessario porre fine a ogni lotta contro i carlisti e i cantonali. Per sedare la ribellione cantonale, il politico adottò misure dure, come il licenziamento di governatori civili, sindaci e ufficiali militari che avevano sostenuto in qualsiasi modo i cantonalisti.[55] Successivamente, nominò generali contrari alla Repubblica Federale come Manuel PavÃa o Arsenio MartÃnez Campos imponendogli di ristabilire l'ordine e inviandoli rispettivamente in Andalusia e a Valencia. Inoltre, mobilitò i riservisti, accrebbe il numero di membri della Guardia Civil assumendo 30.000 uomini e nominò delegati di governo nelle province con gli stessi poteri dell'esecutivo.[55] Autorizzò i Consigli provinciali a imporre il versamento di contributi di guerra e ad organizzare le forze armate provinciali, decretando che le navi in mano ai sostenitori del cantone di Cartagena dovessero essere considerate pirata, il che significava che le si poteva affondare a prescindere se si trovassero o meno in acque spagnole.[55] Grazie a queste misure draconiane, i diversi cantoni si arresero uno dopo l'altro, ad eccezione di Cartagena, che resistette fino al 12 gennaio 1874.
Nella seduta delle Corti del 6 settembre, Pi y Margall criticò duramente il modo in cui si represse la ribellione cantonale:[56]
Il giorno successivo, 7 settembre, fu eletto alla presidenza del potere esecutivo Emilio Castelar, sostenitore della repubblica unitaria, professore di storia e oratore di spicco, con 133 voti favorevoli rispetto ai 67 ottenuti da Pi y Margall. Durante la sua precedente parentesi come ministro di Stato nel governo di Estanislao Figueras, incentivò e ottenne l'approvazione dell'abolizione della schiavitù a Porto Rico, ma non a Cuba, a causa della guerra in corso.[59]
Nel suo discorso di insediamento, Castelar dichiarò che il suo ministero rappresentava «la libertà , la democrazia, la Repubblica [...] Ma siamo anche la federazione senza rompere l'unità del Paese».[59] Così riassumeva la sua concezione della Repubblica come la forma di governo in cui dovrebbero trovare spazio tutte le opzioni liberali, comprese quelle conservatrici.[39]
Emilio Castelar era rimasto profondamente colpito dal disordine causato dalla ribellione cantonale; quando assunse la presidenza del potere esecutivo, essa poteva dirsi praticamente soppressa, ad eccezione del caso del cantone di Cartagena. Egli valutò così l'impatto dell'insurrezione nella storia spagnola:[60]
Da quel momento in poi Castelar governò servendosi di decreti. Il 21 settembre ne pubblicò una serie in cui sospendeva le garanzie costituzionali, istituì la censura della stampa e riorganizzò il corpo di artiglieria, sciolto da Manuel Ruiz Zorrilla durante l'ultima fase della presidenza del regno di Amadeo I.[59] A questi seguirono altri provvedimenti, come il richiamo dei riservisti e la richiesta di una nuova tassa, che portò all'innalzamento del numero delle unità dell'esercito a 200.000 uomini, e il lancio di un prestito di 100 milioni di pesetas per far fronte alle spese di guerra.[62] Con tutte queste misure, si proponeva di adempiere al programma che aveva presentato alle Corti per porre fine alla ribellione cantonale e alla guerra carlista: «per sostenere questa forma di governo, ho bisogno di molte unità di fanteria, di cavalleria, di artiglieria, di Guardia Civil e di tanti carabinieri». Allo stesso modo, furono ristabilite le ordinanze militari spagnole, che avrebbero consentito l'applicazione delle condanne a morte che avevano causato le dimissioni del suo predecessore, Nicolás Salmerón, e tutte quelle dettate dalle corti marziali.[62]
Dopo la sospensione delle Corti, il presidente avviò il suo progetto di riavvicinamento con le classi conservatrici, senza il cui appoggio, secondo Castelar, la Repubblica non avrebbe potuto sopravvivere e neppure raggiungere la stabilità politica per poter affrontare le tre guerre civili in cui era coinvolta, cioè quella cubana, quella carlista e quella cantonale.[63] Il 29 settembre, il consiglio di amministrazione del Partito costituzionale, riunitosi a Madrid, approvò la proposta di Práxedes Mateo Sagasta, l'ammiraglio Pascual Cervera y Topete e Manuel Alonso MartÃnez di dare il suo appoggio incondizionato al governo di Castelar.[63] Ciò lo indusse a lasciare il partito e a unirsi al circolo alfonsino di Madrid composto innanzitutto da Francisco Romero Robledo, Adelardo López de Ayala e Cristóbal MartÃn de Herrera. In cambio, Castelar si dimostrò disponibile a concedere ai costituzionalisti e ai radicali gli 86 seggi lasciati vacanti dagli intransigenti deputati che si erano sollevati, oltre a proporre il costituzionalista Antonio de los RÃos Rosas come nuovo presidente della Repubblica. Egli offrì persino a un alfonsino, Antonio Cánovas del Castillo, un seggio e altri sei per i suoi seguaci. La morte inattesa avvenuta il 3 novembre di RÃos Rosas interruppe i contatti di Castelar con i costituzionalisti.[63]
Nel frattempo, a Biarritz, Bayonne e Saint-Jean-de-Luz, città francesi vicine al confine spagnolo, i politici costituzionali e radicali stabilitisi lì dopo essere fuggiti dalla Spagna dopo il colpo di Stato fallito del 23 aprile si incontrarono anche per concedere il proprio sostegno al governo Castelar e impedire la vittoria degli intransigenti repubblicani federali.[64]
Il colpo di Stato di PavÃa (3 gennaio 1874)
La politica di riavvicinamento di Castelar con i costituzionalisti e i radicali trovò l'opposizione del moderato Nicolás Salmerón e dei suoi sostenitori, che avevano fornito appoggio all'esecutivo fino ad allora. Questo cambio di rotta nasceva dalla convinzione che al comando dovessero esserci «veri repubblicani», non nuovi arrivati che avevano appena abbandonato il proprio sostegno alla monarchia.[65] Quest'opposizione aumentò quando Castelar nominò generali dalla dubbia affidabilità alla Repubblica per gli incarichi più importanti, e quando, a metà dicembre, occupò i posti vacanti in tre arcivescovadi; un gesto del genere indicava che aveva intavolato trattative con la Santa Sede e ristabilito di fatto i rapporti con essa, un'azione questa in contrasto con la separazione tra Chiesa e Stato propugnata dai repubblicani.[66]
Il primo segno che Salmerón aveva smesso di sostenere il governo Castelar si intuì più o meno nello stesso periodo, quando, nella Delegazione permanente delle Corti, i suoi sostenitori votarono assieme ai pimargalliani e agli intransigenti contro la proposta di Castelar di indire elezioni per occupare i seggi vacanti, che fu respinta.[67]
A seguito della sconfitta parlamentare di Castelar, Cristino Martos, principale esponente dei Democratici Radicali, e il generale Francisco Serrano, a capo dei Costituzionalisti, che fino a quel momento si erano preparati per le elezioni suppletive che non si sarebbero più tenute, si accordarono per prendere il potere con la forza. Lo scopo era quello di evitare che Castelar venisse destituito dal ruolo di guida dell'esecutivo a causa di un voto di sfiducia che Pi y Margall e Salmerón avrebbero di sicuro presentato non appena le Corti avrebbero riaperto il 2 gennaio 1874.[65]
Il 20 dicembre, quando Emilio Castelar venne a conoscenza delle trame che si stavano organizzando, convocò il capitano generale di Madrid, Manuel PavÃa, nel suo ufficio il 24, per cercare di convincerlo a rispettare la legge e a non unirsi alle operazioni sovversive. Nel corso di quella riunione, come raccontò poi PavÃa, il generale chiese a Castelar di emanare un decreto che ordinasse la prosecuzione della sospensione delle Corti e di affiggere alla Puerta del Sol «quattro baionette». Udita tale proposta, Castelar rifiutò senza pensarci due volte, dicendogli che non avrebbe rinunciato a un briciolo di legalità . Tuttavia, Castelar non rimosse dal suo incarico PavÃa.[68]
Castelar sapeva che Salmerón si sarebbe unito al voto di sfiducia quando il 30 dicembre (o il 26 dicembre, secondo altre fonti) ebbe con lui un colloquio. Durante lo stesso, Castelar non accettò le condizioni che Salmerón gli aveva posto per continuare a dargli il suo appoggio: sostituire i generali che Castelar aveva nominato con altri dediti al federalismo; revocare la nomina degli arcivescovi; destituire i ministri più conservatori e far entrare nel governo i seguaci di Salmerón; discutere e approvare immediatamente la Costituzione federale.[67][69] Nel giorno seguente, il 31 dicembre, Pi y Margall, Estanislao Figueras e Salmerón si incontrarono per concordare di presentare un voto di sfiducia il 2 gennaio contro Castelar, anche se non decisero chi lo avrebbe sostituito.[67] Quando le Corti riaprirono, alle due del pomeriggio del 2 gennaio 1874, il capitano generale di Madrid, Manuel PavÃa, disse alle truppe di farsi trovare pronte nel caso in cui Castelar avesse perso il voto parlamentare.[70] D'altra parte, i battaglioni dei Volontari della Repubblica erano pronti ad agire se Castelar avesse vinto. Infatti, secondo Jorge Vilches, «i cantonali di Cartagena avevano ricevuto l'ordine di resistere fino al 3 gennaio, giorno in cui, sconfitto il governo di Castelar, se ne sarebbe formato uno intransigente che avrebbe «legalizzato» la loro situazione e "cantonizzato la Spagna»; tuttavia, secondo altri autori, non vi sarebbe alcuna prova documentale di questa ricostruzione.[71] All'apertura della seduta, Nicolás Salmerón intervenne per annunciare che ritirava il suo appoggio a Castelar, che rispose chiedendo l'istituzione di una «Repubblica possibile» con tutti i liberali, compresi i conservatori, e abbandonando la «demagogia».[72]
Dopo la mezzanotte si svolsero le procedure per il voto di fiducia, da cui il governo venne sconfitto con 100 voti favorevoli e 120 contrari, costringendo Castelar alle dimissioni. Ebbe luogo una fase di pausa per consentire ai partiti di raggiungere un consenso sul candidato che avrebbe sostituito Castelar alla guida dell'esecutivo della Repubblica. In quel frangente, il deputato costituzionale Fernando León y Castillo aveva già riferito l'esito negativo delle conversazioni intrattenute tra Castelar e il generale PavÃa.[72] Quest'ultimo diede quindi l'ordine ai reggimenti coinvolti di partire per il Congresso dei Deputati e prese personalmente posizione nella piazza antistante l'edificio. La Guardia Civil, che presidiava il Congresso, si mise al suo comando.[73] Nella prima mattinata del 3 gennaio, si prevedeva la votazione del candidato federale Eduardo Palanca Asensi.
Salmerón, dopo aver ricevuto l'ordine del capitano generale in una nota consegnata da uno dei suoi aiutanti che diceva «liberate i locali», sospese la votazione e riferì quanto stava accadendo. Diversi deputati intervennero per protestare contro l'azione di PavÃa, ma in seguito le forze della Guardia Civil e dell'esercito entrarono nell'edificio del Congresso sparando colpi in aria nei corridoi e spinsero i deputati ad abbandonare il palazzo in tutta fretta.[74]
Appena se ne andarono tutti dal Congresso, PavÃa inviò un telegramma ai capi militari di tutta la Spagna in cui chiedeva il loro appoggio al colpo di Stato, che il generale definì «la mia missione patriottica [...] [per preserva[re] l'ordine a tutti i costi». Nel telegramma, finì di fatto per giustificare quello che in seguito avrebbe chiamato «l'atto del 3 gennaio»:[75]
«Il ministero di Castelar [...] doveva essere sostituito da coloro che basano la loro politica sulla disorganizzazione dell'esercito e sulla distruzione della patria. In nome, dunque, della salvezza dell'esercito, della libertà e della patria, ho occupato il Congresso convocando i rappresentanti di tutti i partiti, tranne i cantonali e i carlisti, per formare un governo nazionale per salvare questi cari obiettivi.»
Il generale PavÃa tentò di formare un "governo di unità nazionale" presieduto da Emilio Castelar, convocando i vertici politici costituzionali, radicali, alfonsini e repubblicani unitari; i repubblicani federali di Salmerón e Pi y Margall e gli intransigenti furono ovviamente esclusi dalle contrattazioni. Castelar si rifiutò di partecipare, non volendo rimanere al potere con mezzi non democratici. Durante la riunione, PavÃa difese la repubblica conservatrice, motivo per cui impose la nomina del repubblicano unitario Eugenio GarcÃa Ruiz quale ministro dell'Interno e del generale Serrano come capo del nuovo gabinetto.[76]
I primi provvedimenti adottati dal governo Serrano lasciavano trasparire il carattere conservatore. Una volta sospesa la Costituzione del 1869, ordinò l'immediato scioglimento della sezione spagnola dell'Associazione internazionale dei lavoratori (AIL), ritenuto rea di aver effettuato aggressioni «verso proprietà private, famiglie e altri pilastri sociali». Il 7 gennaio promulgò un decreto di mobilitazione, confermato dal ricorso straordinario del 18 luglio, il quale sanciva il ripristino del vecchio sistema di reclutamento su base casuale. L'abolizione delle accise, terza richiesta popolare della rivoluzione del 1868, insieme al riconoscimento del diritto di associazione e all'abolizione delle quintas, non fu rispettata neppure dalla dittatura di Sessanio, che il 26 giugno ripristinò le imposte prima revocate, aggiungendone una sul sale e una straordinaria sui cereali. Come ha sottolineato MarÃa Victoria López-Cordón, «la congiuntura determinata dalle pressioni causate dalla guerra, le richieste economiche dei gruppi dirigenti e il deficit cronico del Tesoro fecero sì che il ciclo rivoluzionario terminasse».[85]
Terminata la ribellione cantonale, Serrano il 26 febbraio marciò verso nord per assumere personalmente il comando delle operazioni contro i carlisti. A Madrid lasciò il generale Juan de Zavala y de la Puente a capo del governo, che rimase presidente del potere esecutivo della Repubblica.[83]
Nel mese di settembre, quando Sagasta sostituì il generale Zavala alla guida del governo, la Repubblica ottenne il tanto atteso riconoscimento internazionale e, uno dopo l'altro, le diverse nazioni ristabilirono le relazioni diplomatiche con la Spagna.[87]
Su iniziativa di Nicolás MarÃa Rivero, i radicali, contrari al nuovo corso restaurazionista che stava prendendo l'esecutivo, soprattutto dopo che Sagasta era diventato presidente, avviarono dei contatti con i repubblicani di Castelar. A distinguersi in questa fase fu il vecchio esponente dei radicali Manuel Ruiz Zorrilla, tornato alla vita politica dopo più di un anno di assenza, dal momento che la sua presidenza era terminata nel febbraio 1873, dopo l'abdicazione di Amadeo I.[88] L'obiettivo della proposta unione dei due gruppi politici era quello di impedire il ritorno dei Borboni attraverso la formazione di un partito repubblicano conservatore. Per perseguire questo obiettivo occorreva dare vita a una nuova repubblica basata sulla Costituzione del 1869, la quale sarebbe stata riformata dalle Corti ordinarie modificando, tra gli altri, innanzitutto l'articolo 33: «La forma di governo della Nazione spagnola è la Monarchia». L'iniziativa fu sostenuta pure dal costituzionalista Pascual Topete, che, secondo Jorge Vilches, non voleva «vedere restaurata la dinastia a cui credeva di aver dato la prima spinta verso la sua detronizzazione». Ad ogni modo, il progetto di alleanza repubblicana si arenò a causa dell'accordo raggiunto da Ruiz Zorrilla con i repubblicani federali di Nicolás Salmerón, uno scenario categoricamente respinto da Castelar e Rivero.[88]
Il 1º dicembre Cánovas del Castillo prese l'iniziativa con la pubblicazione del Manifesto di Sandhurst, da lui scritto e firmato dal principe Alfonso, in cui si definiva «un uomo del secolo, veramente liberale». Con quest'affermazione cercava di ingraziarsi i liberali e far loro considerare l'ipotesi di riabbracciare la monarchia senza rinunciare ai diritti acquisiti dal 1869 in poi.[89] Si trattò del culmine della strategia che Cánovas aveva progettato da quando aveva assunto la guida della causa alfonsina il 22 agosto 1873, nel pieno della ribellione cantonale. Come aveva spiegato alla regina Isabella e al principe Alfonso in delle lettere datate gennaio 1874, cioè dopo il colpo di Stato di PavÃa, occorreva creare «molta fiducia attorno alla figura di Alfonso» e bisognava soltanto munirsi di «calma, serenità , pazienza, perseveranza ed energia».[83]
Il 10 dicembre Serrano iniziò l'assedio di Pamplona, ma il pronunciamento di Sagunto del 29 lo interruppe.
Il 31 dicembre 1874 si formò il cosiddetto Ministero-Reggenza, presieduto da Cánovas del Castillo, il quale era in stato attesa dopo che il principe Alfonso era tornato in Spagna dall'Inghilterra. In quel governo c'erano due uomini della rivoluzione del 1868 e ministri con Amedeo I, cioè Francisco Romero Robledo e Adelardo López de Ayala, che era stato l'editore del manifesto «Viva la Spagna con onore» che aveva dato inizio alla rivoluzione.[92]
«Qui regnava una specie di repubblica [...] Erano tempi di desolazione apocalittica; ogni città era costituita in cantone; la guerra civile cresceva con enorme intensità ; [...] Andalusia e Catalogna erano, di fatto, indipendenti e in preda all'anarchia; i federali di Malaga si stavano neutralizzando a vicenda...; a Barcellona l'esercito, indisciplinato e allo sbando, profanava i templi con orge orribili; gli insorti di Cartagena sventolavano la bandiera turca e cominciavano a praticare la pirateria nei porti indifesi del Mediterraneo; ovunque sembrava assistersi a un riemerge di re come ai tempi della taifa...»
Fino al 1931, i repubblicani spagnoli celebravano l'11 febbraio come anniversario della Prima Repubblica. Successivamente, la commemorazione fu spostata al 14 aprile, anniversario della nascita della Seconda Repubblica. Tra il 1932 e il 1938 venne proclamata festa nazionale, sia pur venendo celebrata solo nel territorio repubblicano durante la guerra civile spagnola.
^Secondo il Diccionario de la lengua española, il "chusco" era il pane di scarsa qualità che veniva riservato a chi lavorava in caserma o a chi si trovava nelle carceri.
^I deputati dell'opposizione contavano venti radicali, sette conservatori costituzionali, tre monarchici alfonsini e un repubblicano unitario, il vincitore del distretto di Astudillo, in Palencia: (ES) Miguel MartÃnez Cuadrado, Elecciones y partidos polÃticos de España (1868-1931), collana Biblioteca PolÃtica Taurus, vol. 1, Madrid, Taurus, 1969, pp. 201, 203.
^I bakuninisti, all'epoca la maggioranza in Spagna, decisero che la Prima Internazionale non avrebbe dovuto organizzare i propri candidati per molte elezioni e lasciare che i loro potenziali elettori scegliessero se andare o meno alle urne ed eleggere, nel caso, i rappresentanti da loro scelti: (ES) Miguel MartÃnez Cuadrado, Elecciones y partidos polÃticos de España (1868-1931), collana Biblioteca PolÃtica Taurus, vol. 1, Madrid, Taurus, 1969, p. 194.
^(ES) Miguel MartÃnez Cuadrado, Elecciones y partidos polÃticos de España (1868-1931), collana Biblioteca PolÃtica Taurus, vol. 1, Madrid, Taurus, 1969, p. 202.
^(ES) Juan Bautista Vilar RamÃrez, El sexenio democrático y el cantón murciano, Academia Alfonso X el Sabio, 1983, p. 220, ISBN978-84-00-05402-1.
^Una circostanza del genere ha portato alcuni storici a negare l'esistenza del cantone di Jumilla, ritenuto un'invenzione della propaganda anti-cantonale sulla base di un manifesto il cui testo, seppur divenuto all'epoca popolare, non si basava su alcun fondamento storico: «La nazione di Jumilla vuole vivere in pace con tutte quelle vicine e, soprattutto, con la Murcia, sua vicina; ma se quest'ultima oserà non riconoscere la sua autonomia e varcherà i suoi confini, Jumilla si difenderà , come gli eroi della rivolta del due di maggio, e trionferà nella causa ponendosi come obiettivo quello di raggiungere, a titolo di più giusta rappresaglia, Murcia, e a distruggerla pietra per pietra».
^(ES) Antonio Perez Crespo, Incidencia en la Región Murciana del fenómeno cantonalista, in Anales de Historia Contemporánea, n. 10, Università di Murcia, 1994, p. 285. URL consultato il 13 ottobre 2022 (archiviato dall'url originale il 24 gennaio 2022).
^(ES) Región de Murcia digital, Antonio Gálvez Arce, su regmurcia.com, collana Historia: personajes. URL consultato il 13 ottobre 2022.
^ab(ES) Juan Soler Cantó, Leyendas de Cartagena, II: Episodios legendarios, Murcia, J. Soler, 2000, pp. 150-156, ISBN8493032220, OCLC433889052.
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Antonio Perez Crespo, Il cantone di Murcia, Murcia, Academia Alfonso X el Sabio, 1990, pp. 162-164, ISBN84-87408-20-6, OCLC27075835.
^Barón Fernández (1998), p. 251. «Si insinuava che Pi y Margall fosse in contatto con i ribelli per evitare che si arrendessero, almeno prima della sessione dell'Assemblea. Non esistono prove documentali di questo, ma non si può escludere che abbia fatto tutto il possibile per evitare la politica di resa di Castelar, salvando la Repubblica, secondo le sue idee, e questo poteva essere ottenuto solo sconfiggendo il governo con il voto.»
(ES) Rafael Serrano GarcÃa, España, 1868-1874. Nuevos enfoques sobre el Sexenio Democrático, Valladolid, Junta de Castilla y León, 2002, ISBN84-9718-089-5.
(ES) Jorge Vilches, Progreso y Libertad. El Partido Progresista en la Revolución Liberal Española, Madrid, Alianza Editorial, 2001, ISBN84-206-6768-4.
(ES) Ramón Villares, Alfonso XII y Regencia. 1875-1902, in Ramón Villares e Javier Moreno Luzón, Restauración y Dictadura, collana Historia de España, dirigida por Josep Fontana y Ramón Villares, vol. 7, Barcellona-Madrid, CrÃtica/Marcial Pons, 2009, ISBN978-84-7423-921-8.