Promosso capitano di corvetta nel 1928 e capitano di fregata nel 1934, ebbe sempre incarichi di imbarco e comando di unità.[2] Dal 1936 al 1937 diresse il Comando Marina di Tobruk, poi quello della base navale di La Maddalena ed infine assunse la carica di Sottocapo di Stato maggiore presso il Dipartimento Militare Marittimo di Taranto.[2] Nel 1938-1939 fu destinato a Pantelleria come comandante del locale distaccamento Marina.[2]
Promosso capitano di vascello nel maggio 1940, la dichiarazione di guerra a Francia e Gran Bretagna lo colse in servizio alla Direzione del personale e dei servizi militari.[2] Nel maggio 1941 assunse il comando dell'incrociatore leggeroAlberico da Barbiano, impiegato nella scorta ai convogli navali verso l'Africa Settentrionale Italiana.[2]
Il 12 dicembre 1941 l'incrociatore lasciò il porto insieme alla nave gemella Alberto di Giussano per trasportare rifornimenti urgenti di carburante per aerei, munizioni e viveri da Palermo a Tripoli. Venne intercettato al largo di Capo Bon dalla 4th Destroyer Flotilla della Royal Navy, ossia quattro cacciatorpediniere nemici (i britannici Sikh, Legion e Maori e l'olandese Hr. Ms. Isaac Sweers); prima di avere il tempo di reagire (solo poche mitragliere poterono aprire il fuoco), la nave, centrata da almeno tre siluri lanciati dal Sikh, dal Legion e dal Maori, e da varie cannonate, s'incendiò all'istante, capovolgendosi, senza lasciare scampo per chi si trovava sottocoperta.[3]
Incurante della propria salvezza organizzò il salvataggio dell'equipaggio e cedette poi il proprio salvagente ad un marinaio che ne era sprovvisto scomparendo nei gorghi con l'unità al suo comando.[3] Fu decorato con la medaglia d'oro al valor militare alla memoria.[3]
La Regia Marina volle subito onorarne il nome, assegnandolo ad un cacciatorpediniere della Classe Comandanti Medaglie d'Oro che non fu mai completato a causa della vicende armistiziali dell'8 settembre 1943.[2]
«Comandante di un incrociatore, destinato a compiere una missione delicata e particolarmente rischiosa, si dedicava con appassionata competenza alla preparazione della sua nave. Seguendo le direttive e l’esempio del suo Ammiraglio, creava nel suo equipaggio la più pura atmosfera eroica, sì che tutti guardassero con cosciente serenità anche alla possibilità del supremo sacrificio nel nome sacro della Patria. Venuto improvvisamente a contatto notturno ravvicinatissimo con unità nemiche, manovrava con rapidità e freddezza per tentare di schivare i numerosi siluri lanciati a brevissima distanza, e reagiva vigorosamente con le sue artiglierie. Mentre la nave affondava, si preoccupava di organizzare il salvataggio della sua gente, che rincuorava con l’elevata parola ed il nobile esempio, sfidando l’offesa del nemico che martellava ancora con cannoni e mitragliere il bastimento in fiamme. Incurante della propria salvezza restava sulla nave in procinto di inabissarsi, cedendo in atto di suprema abnegazione, il suo salvagente ad un marinaio che ne era privo, e scompariva eroicamente con la sua unità alla quale si sentiva legato oltre la vita. Mediterraneo Centrale, 13 dicembre 1941.[4]» — Regio Decreto 30 dicembre 1942.
Paolo Alberini e Franco Prosperini, Uomini della Marina, 1861-1946, Roma, Ufficio Storico dello Stato Maggiore della Marina Militare, 2016, ISBN978-8-89848-595-6.
Giorgio Giorgerini, La guerra italiana sul mare. La Marina tra vittoria e sconfitta, 1940-1943, Milano, Mondadori, 2002, ISBN978-88-04-50150-3.
Gruppo Medaglie d'Oro al Valore Militare, Le medaglie d'oro al valor militare volume primo (1929-1941), Roma, Tipografia regionale, 1965, p. 760.