Le prime notizie sull'erezione della diocesi risalgono al VII secolo, anche se dati più certi si hanno solo a partire dal X secolo. Probabilmente la nascita della diocesi si deve alla migrazione delle popolazioni delle vicine città dell'entroterra (in particolar modo Concordia Sagittaria), a seguito delle invasioni barbariche degli Unni o dei Longobardi, verso l'abitato di Caorle, che già esisteva dal I sec. a.C.; ciò sarebbe testimoniato dalla dedicazione delle due cattedrali al medesimo patrono, santo Stefano protomartire. In quell'occasione lo stesso vescovo di Concordia riparò a Caorle, che si trovava nei domini bizantini, per un periodo imprecisato.[1] All'epoca del vescovo di Concordia Pietro, agli inizi del IX secolo, la sede episcopale era di certo ritornata a Concordia,[2] ma era avvenuta nel frattempo una scissione che aveva dato origine alla sede autonoma di Caorle (forse anche a causa dello scisma tricapitolino, parallelamente a quanto avvenne tra Aquileia e Grado).
Il territorio legato alla diocesi si estendeva a tutto il territorio cittadino e alle vicine zone paludose; alcuni documenti dell'epoca fissano i confini nei borghi di Cesarolo, Margarutis e Prades, così come Lugugnana e parte di San Stino di Livenza. Con i saccheggi del XIV secolo ad opera dei genovesi i territori e gli abitanti furono privati di gran parte delle ricchezze, costringendo anche i vescovi a non risiedere in città. Persino il clero doveva arrivare dalle vicine diocesi di Concordia e Ceneda; in questo modo, col passare degli anni, queste diocesi si impadronirono dei territori. Le rivendicazioni dei vescovi caprulani non furono mai ascoltate dalla Santa Sede. Questo spiega perché oggi la frazione di San Giorgio di Livenza cade sotto la giurisdizione della diocesi di Vittorio Veneto.
Secondo Aurelio Bianchi-Giovini, biografo di Paolo Sarpi, quella di Caorle era la diocesi più prestigiosa della Venezia marittima, data la sua antichità, ma anche la più povera, al punto che i vescovi scelti erano spesso frati. Proprio per questo motivo il Sarpi chiese al papa di essere nominato vescovo di Caorle, per fuggire ai suoi avversari. Tuttavia gli fu preferito il francescano Lodovico de Grigis (1601-1609).
«È Caorle un'isola delle lagune, verso il Friuli, di circa 6 000 abitanti, sparsi in dieci villaggi. Ma un vescovo, per dignità il primo della Venezia marittima e per ristrettezza di confine e parcità di rendite il più miserabile di quanti ne aveva la Repubblica, e però conferito solitamente a’ frati. Eccitato il Sarpi ad aspirarvi, ne supplicò il Collegio, o vogliam dire consiglio di Stato, il quale non mancò di raccomandarlo a Roma nella qualità di candidato. Ma Offredo Offredi nunzio apostolico a Venezia, volendo invece portare il suo confessore Frà Lodovico de Grigis francescano, scrisse al pontefice, non accettasse Frà Paolo [...] e intanto gli raccomandava il De Grigis, che si ebbe il vescovato.»
(Aurelio Bianchi-Giovini, Biografia di frà Paolo Sarpi, 1846)
Successivamente, come ricorda una lapide posta all'interno della cattedrale, in memoria dell'antica storia vescovile della città e in particolare del duomo, l'allora cardinalepatriarcaAngelo Roncalli nominò l'arciprete pro tempore del duomo di Caorle canonico onorario della basilica metropolitana di San Marco e, una volta salito al soglio di Pietro, gli conferì la dignità di protonotario apostolico, con la facoltà di celebrare quattro messe pontificali all'anno.
Numerose sono le testimonianze lasciate dai vescovi di Caorle, nel duomo e nel museo liturgico, così come in molte chiese di Venezia, consacrate dagli stessi vescovi caprulani. Per quanto riguarda la cattedrale, il primo segno che si incontra è l'epitaffio del vescovo Buono sul gradino del portone principale; all'interno si trovano i sepolcri dei vescovi Daniele Rossi di Burano (in prossimità del soffitto della navata destra), ornato con gli stemmi della famiglia, e Giovanni Vincenzo de Filippi. In particolare, sulla lapide della tomba di quest'ultimo, si legge:
«NON IACET IN TVMVLO NVDVUM SINE NOMINE CORPVS VNVM, QVOD CVNCTIS CONVENIT VRNA CAPIT NOMEN SI QUAERIS, QVAERAS QVO VIXERIT ANNO MDCCXXVII»
Sulla parete sinistra della navata centrale, all'altezza del presbiterio, è affrescato lo stemma del vescovo Giuseppe Maria Piccini, che ristrutturò la struttura del presbiterio.
Sulla parete della navata sinistra è esposta una lapide con lo stemma del vescovo Pietro Martire Rusca, che riconsacrò la chiesa il 30 agosto 1665; in fondo alla navata sinistra, affrescato sul tamburo dell'absidicola, lo stemma di papa Sisto V testimonia il legame tra il vescovo Girolamo Righetto e la Santa Sede, nel XVI secolo.
Sulla navata destra, oltre alla tomba del vescovo Rossi, campeggia sopra la porta della sacrestia lo stemma del vescovo Francesco Andrea Grassi, contornato da due cornucopie, che sormonta una lapide commemorativa dei restauri dell'episcopio nel 1700. In fondo, nell'absidicola, è posto il Battistero, con iscrizioni e stemmi della comunità religiosa e civile; lo stemma del vescovo è quello di Girolamo Righetto.
Nel museo liturgico parrocchiale sono conservati diversi paramenti sacri, piviali, pianete, stole e manipoli con gli stemmi dei vescovi Giovanni Vincenzo de Filippi e Francesco Antonio Boscaroli.
Nel Santuario della Madonna dell'Angelo si trova la tomba del vescovo Francesco Trevisan Suarez, sepolto ai piedi del coro; si deve a lui la prima ristrutturazione del santuario dalla forma primitiva a pianta basilicale, alla metà del XVIII secolo; la forma attuale del santuario, sulla struttura voluta dal vescovo Suarez, si deve agli ultimi lavori di ristrutturazione seguiti al voto del 2 gennaio 1944.
Un'ultima insegna dei vescovi caprulani è apposta sopra l'ingresso principale della chiesa di Santa Maria Elisabetta del Brian, con lo stemma del vescovo che ne portò a compimento i lavori di costruzione, Francesco Antonio Boscaroli.
Il suo nome compare per la prima volta in una lettera di papa Giovanni VIII alle diocesi di Caorle e Olivolo. Fu scomunicato per essere arrivato al sinodo di Ravenna dell'877 a lavori già svolti, e venne assolto per l'intercessione del dogeOrso I Partecipazio.
Il nome del vescovo Giovanni compare in molti atti a fianco a quello del dogeOrdelaffo Falier, in particolare in quelli riguardanti viaggio del doge in Dalmazia.
Il suo sepolcro si trova ai piedi della porta d'ingresso della cattedrale, con un enigmatico epitaffio in cui invoca le preghiere dei fedeli per la sua anima.
Succeduto a Teobaldo, il suo nome compare per la prima volta in un documento del 1388; fu vicario del patriarca Pietro Amely; trasferito da papa Bonifacio IX alla sede di Pedena.
Partecipò al Concilio di Trento dal 1546 al 1562 e fu lui a redigere il decreto De residentia; si distinse quando si scontrò col vescovo di Cadice Melchior Vosmediano, al quale diede dello scismatico per aver ritenuto che l'elezione dei vescovi non sarebbero dovute passare per l'approvazione del papa, e con il vescovo di Pécs Giorgio Draskovic (Juraj Drašković) sulla concessione della comunione con il calice ai laici. Fu traslato alla sede di Bertinoro proprio per i suoi meriti evidenziati nel concilio; il cardinale Carlo Borromeo aveva però espresso la volontà di servirsi della sua opera per la diocesi di Milano.
Consacrato a Roma per le mani di papa Sisto V, un tempo Inquisitore di Venezia (lo stemma del pontefice riportato nell'absidicola sinistra della cattedrale testimonia il particolare legame tra il vescovo e il papa); su incarico dello stesso Sisto V disegnò una carta di Roma lavorando con la mano sinistra, poiché era nota la sua particolare abilità nella cartografia. Consacrò le chiese di Ognissanti, e San Giobbe a Venezia; eresse una chiesa in valle altanea e lanciò una scomunica per alcuni cittadini che si opposero alla traslazione di un altare dalla vicina chiesa di Santa Maria Elisabetta di Brian.
Ridimensionò il presbiterio della cattedrale eliminando l'iconostasi (i resti della quale sono conservati nel duomo e nel museo liturgico) ed erigendo l'altare barocco che fu l'altar maggiore fino ai restauri post conciliari del 1975 (a testimonianza sulla parete sinistra del coro è affrescato il suo stemma); ebbe un contenzioso con i cittadini per i privilegi concessi ai deputati nella chiesa caprulana, che fu risolto dal dogeFrancesco Da Molin in favore dei cittadini. Il suo sepolcro si trova nella basilica dei Santi Giovanni e Paolo a Venezia.
Fu vice inquisitore a Padova ed inquisitore ad Adria. È soprattutto noto per aver riconsacrato la cattedrale il 30 agosto 1665, come testimonia un'iscrizione posta all'interno del duomo, poiché non esisteva precedente memoria dell'atto di consacrazione; inoltre eresse nello stesso tempio un altare dedicato a Sant'Antonio di Padova. Consacrò la chiesa di Santa Maria Elisabetta al Lido di Venezia.
Fece erigere la chiesa di Santa Maria Elisabetta nella frazione di Brian; sulla facciata della chiesa è apposto il suo stemma. Dopo la sua morte seguono cinque anni di sede vacante.
Si adoperò per il decoro del clero diocesano, emanando regolo in materia di abbigliamento e costumi; restaurò la cattedrale impedendo che vi fossero ancora sepolture, compreso il territorio del Battistero e del portico che collegava la chiesa al campanile ed al battistero.
Trasferito alla sede caprulana dalla diocesi di Zante e Cefalonia da papa Clemente XI; intraprese due visite pastorali, nel 1717 e nel 1726; è sepolto ai piedi dell'altare maggiore della cattedrale, con una lapide intesa a far ricavarne il nome con una sorta di enigma.
Eletto vescovo di Caorle da papa Clemente XII; si spese con zelo instancabile per i fedeli caorlotti, tanto da risiedere nella cittadina a differenza degli altri suoi predecessori; sotto il suo governo pastorale in cattedrale fece atto di abiura dalle dottrine calviniste lo svizzero Giuseppe Per, venne completata la riedificazione del Santuario della Madonna dell'Angelo, al quale conferì la struttura attuale; eresse l'altare di Sant'Antonio abate in cattedrale e contribuì ad alcuni restauri del tempio. Inoltre si fece invano promotore presso i papi Clemente XII e Benedetto XIV dell'erezione di un seminario diocesano; è sepolto ai piedi del coro del Santuario da lui riedificato.
Il suo nome compare negli atti della visita pastorale del 1771 e in alcuni scritti del capitolo della cattedrale di San Marco, che avevano incaricato lui per accogliere il doge al Lido di Venezia per lo Sposalizio del Mare in luogo del patriarca elettoFederico Maria Giovanelli, non ancora entrato in diocesi; di fronte all'iniziale rifiuto del vescovo di Caorle il capitolo scrisse che conobbe lesiva del proprio diritto l'introduzione che si tentava da parte di monsignor di Caorle, non essendo mai state introdotte novità al rito, specialmente in periodo di sede vacante. Fu trasferito alla sede di Chioggia.
Eresse gli altari dello Spirito Santo e di Sant'Antonio di Padova nella cattedrale, in sostituzione dei preesistenti. Regolò anche, con alcune norme, il comportamento dei canonici del capitolo durante le celebrazioni. Fu trasferito alla sede di Chioggia.
^L. Jadin, Dictionnaire d'histoire et de géographie ecclésiastiques (DHGE), XI, col. 818.
^Giorgio Fedalto, Il vescovado di Caorle dalle origini al Trecento, p.45.
^Paolo Francesco Gusso e Renata Candiago Gandolfo, Caorle Sacra, Venezia, Marcianum Press, 2012, p. 32
^Gusso e Gandolfo (Caorle Sacra, p. 44), dalle prime righe di un documento autografo del vescovo Darmini datato marzo 1654. Eubel (Hierarchia catholica, vol. IV, p. 133) e altri autori riportano invece come data di nomina quella del 24 novembre 1653.
Bibliografia
Pio Paschini, I vicari generali nella diocesi di Aquileia e poi di Udine, Udine, 1958, p. 18-22