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I di Nocera, de Nuceria o de Nucera sono un'antica famiglia nobiliare italiana di derivazione longobarda, annoverata tra le case sovrane di stati italiani dal Collegio Araldico[1]. Discendente dalla nobile stirpe dei Dauferidi, la casata è la più antica propaggine vivente della dinastia principesca salernitana reggente dell’Italia meridionale[2][3][1][4]. Conti di Nocera e di Eboli, nonché titolari di diverse signorie e vescovadi, furono i maggiori conti feudatari del Principato di Salerno nell’XI secolo[5][6][7]. Tra gli esponenti della famiglia si annoverano alti prelati, giureconsulti, medici, banchieri ed imprenditori, questi ultimi fautori della fondazione e dello sviluppo della prima banca popolare e della maggiore industria nell’ambito della produzione di tessuti misti di lana e cotone del Mezzogiorno[8][9][10][11][12].
La casata fu inoltre ascritta alla nobiltà napoletana da Carlo d’Angiò[5][14][15]. Successivamente, con altre nobili famiglie costituì il Seggio di Castellammare, stabilendone gli statuti[16].
Il primo a presentare il nome gentilizio, originatosi dal toponimo nocerino, fu il conte Lamberto de Nuceria[20], discendente di Dauferio, il quale generò Adelberto e Landoario, entrambi conti.[2][14][15] La casata assunse infatti tale denominazione nell’XI secolo in ottemperanza alla legge longobarda dell'epoca, cognominadosi con il nome dell’antico feudo.[21] Le tracce di un’effettiva cognomizzazione del titolo comitale, tuttavia, sono anteriori: allo stesso nome del capostipite veniva giustapposto il suddetto cognome.[3]
Epoca medioevale
La famiglia resse numerosi feudi nella Contea di Nocera, territori ereditati dal conte Dauferio, il quale li ricevette per essere stato auspice dell’indipendenza del Principato di Salerno da Benevento. La Contea, che all’epoca comprendeva oltre a NuceriaMarzano, Balentino, Bracigliano, Siano e Scafati, permase sino al termine della dominazione longobarda, allorché subentrarono i Normanni, deponendo l'ultimo sovrano longobardo nel 1077. Documenti significativi sono gli Annali critico-diplomatici del regno di Napoli della mezzana età di Alessandro Di Meo e Le pergamene di S. Nicola di Gallucanta a cura di Alessandro Pratesi e Paolo Cherubini per la ricostruzione della genealogia del casato in periodo medievale.[14][15]
Tra le maggiori casate del Principato di Salerno, ebbe significativi possedimenti in Vietri, Cava, Nocera e presso il Tusciano. La progenie, infatti, derivata dal ramo cadetto dei principi ivi reggenti e proprietaria di vasti fondi, fu investita della dignità comitale, spesso associata alla funzione di giudice, per gli esponenti maschili e femminili, privilegio appartenuto soltanto ad altre sei famiglie sotto il principato di Gisulfo I.[7]
La casata, inoltre, resse la contea di Eboli, caposaldo del sistema difensivo di Salerno grazie all’imponente castello avito.[7] Nel 996 il conte Adelberto, padre di Lamberto e Landoario, acquistò la Chiesa di San Nicola e San Felice, la quale fu poi rinominata nella chiesa comitale di “San Nicola di Gallocanta”. Importante punto di riferimento in Vietri e Cava, il monastero Greco con attigue le terre fu un possedimento secolare della famiglia.[22][23] Nel 1047 la contessa Urania, vedova di Lamberto (nipote del succitato Lamberto), con i figli Ebolo, chierico e abate, e Pietro, Aleberto e Landoario, conti, donò all’abazzia “foris castello Evoli illorum comitato”, ovvero la contea fuori al castello di Eboli. Difatti, nel 1017 al cospetto di Lamberto gratia Dei si compiva una compravendita in località Monte “salernitanis finibus”, in prossimità di Eboli.[7] Nipote del conte Lamberto e della contessa Urania fu altresì l’omonima Urania, sorella di Lamberto, la quale fu moglie del conte normanno Riccardo di Arnes, soprannominato “Angerio”, capostipite della nobile casata dei Filangeri. Al legame con l’aristocrazia normanna va, pertanto, attribuita la presenza di taluni nomi di tradizione non longobarda nella genealogia quali, ad esempio, “Roberto” e “Riccardo”. Inoltre, dalla casata furono progressivamente assunti nomi cristiani: alla seconda metà dell’XI secolo e al XII secolo risale l’uso di nomi da parte della famiglia quali rispettivamente Pietro e Giovanni, Matteo, Marco[24][25][22].
Caduto il Principato di Salerno, la casata mantenne il rango signorile, noverando diversi esponenti nel Catalogo dei Baroni e continuando a dare i natali a giureconsulti.[26] Inoltre, un membro, Ademario, fu ascritto alla nobiltà napoletana da re Carlo I d’Angiò per i servigi prestati al sovrano in qualità di notaio della corte e per il suo reddito elevato.[27][28] Nel 1463, poi, ottenne in concessione il feudo di Melicuccà per volere di Papa Pio II con il principe Marino.[29][30]
Fonti archivistiche pubbliche hanno, dunque, tramandato il nome di diversi esponenti della casata longobarda anche in epoca normanna e angioina.
Si rammentano:
Il conte Roberto, signore feudale citato nel Catalogus Baronum, proprietario di un feudo sito in Somma.[31]
Il conte Giovanni, signore feudale presente altresì nel Catologus Baronum e stratigoto, magistrato con poteri giudiziari in epoca normanna, dal 1181 al 1187.[32][33]
Il conte Andrea, notaio citato negli Atti della Reale Accademia di archeologia lettere e belle arti nel 1253.[34]
Il conte Ademario, menzionato nel 1269 sotto il regno di Carlo d'Angiò nel codice diplomatico del sovrano[35] e nell'Historia della città e Regno di Napoli di Gio. Antonio Summonte in qualità di giudice, regio consigliere e notaio della corte angioina[5]. Parente di un conte omonimo annoverato tra i nobili di Nocera nel XII secolo,[36] Ademario fu aggregato alla nobiltà napoletana da Carlo d'Angiò: "Ademario di Nocera, notaro faurito del Re, che elligge contribuir con Nobili di Napoli."[27][28][37]
«In cuius rei testimonium et cautelam presens scriptum per manus Ademarii de Nuceria Christianorum , Magne Regie Curie actorum notarii , fieri fecimus etc.»
(I registri della Cancelleria angioina,
Di Naples (Kingdom). Regia Cancelleria, Riccardo Filangieri, conte Riccardo Filangieri di Candida Gonzaga · 1951)
Con Ademario la famiglia si legò de facto al territorio Napoletano, come testimoniano tutti i suoi discendenti. Molto vicina alla corte angioina, la famiglia si stabilì a Castellammare di Stabia, ove ebbe in dono dalla famiglia reale la Reggia di Quisisana nella persona di Pietro, generale delle galee e difensore del porto stabiese[38][39][40].
Epoca moderna
Anche nell’epoca moderna la casata si distinse in diversi ambiti della società. Significativa fu, infatti, la presenza di taluni membri quali alti prelati e giureconsulti nel Regno di Napoli. La famiglia ottenne inoltre nuovi feudi e vescovadi, accrescendo il proprio patrimonio anche grazie all'adozione di un'accorta politica di alleanze matrimoniali con casate appartenenti alla nobiltà napoletana, tra le quali figurano i de Avitaya ed i Belvedere, baroni di Martignano, discendenti degli angioini[29][41][42][43].
Tra il XVI e il XVII secolo, la grafia del cognome fu spesso riportata difformemente dalle fonti, nelle quali per praticità sovente si preferì elidere le particelle di e de, le quali si assesteranno soltanto nei secoli successivi. Inoltre, da molti studiosi fu avanzata l’ipotesi che la famiglia avesse antiche origini francesi, probabilmente per il grande legame con gli Angioini[44][45][46]. La teoria sulle ascendenze francesi della casata, tuttavia, per l’assenza di riscontri genealogici non fu mai accettata dal Collegio Araldico e dalle altre istituzioni in campo araldico, che la vollero discesa dai Longobardi, come peraltro buona parte dei nobili stabiesi, tra i quali figurano i Castaldo, Longobardi, Sicardo, Marchese e Lamberti[1][2].
Nel 1541 la casata insieme ad altre nobili famiglie quali i Baccari, Vergara, Certa, Sicardo, d’Afflitto, Trentamolla e Castaldo, costituì un Seggio in Castellammare, stabilendone gli statuti.[16] Nel 1609 la famiglia ivi edificò la Chiesa di Gesù e Maria presso la città stabiese con un contributo di 13.400 ducati, assieme al Collegio attiguo dei Padri Gesuiti sempre a sue spese[47]. I di Nocera furono, inoltre, riconfermati feudatari di Quisisana con atto rogato dal notaio Nicola de Masso del 30 gennaio del 1484, dal quale si evince che Francesco Coppola, conte di Sarno, nonché castellano e Governatore a vita di Castellammare, il 29 gennaio del 1484 aveva scritto a Giovanni Freapane, allora Capitano della città, la seguente lettera, riportando il contenuto di quella indirizzata al re Ferdinando I di Napoli:
«Capitaneo, lo Signore Re me scrive lettera del tenor seguente videlicet: "Rex Siciliae, Conte, Noi havemo dato Casasana con tutte sue pertinenze in guardia al diletto nostro Pietro di Nucera, nostro creato, in quello modo come lo tenea Goffredo Scafarto suo predecessore. Però volemo et vi comandamo che ad ogni instanza del dicto Pietro, o d’altri per sua parte, li debiate far dare la possessione di dicta Casasana, che l’habbia da tener nel modo et forma supradicti. Datum Foggiae die 2 novembris 1483". Sicché voi havete intesa la voluntà dello Signore Re per dicta lettera, osservate quanto sua Maestà comanda. Napoli 29 januarii 1484.»
In seguito, il 18 luglio del 1498 il re Federico d’Aragona aveva convalidato ex novo tale possedimento alla famiglia con un diploma[40]. A partire dal 1566, il duca Ottavio Farnese intraprese un’azione legale contro la casata, rivendicando il possesso del bosco e del Palazzo di Quisisana. La disputa si risolse nel 1598 attraverso una transazione tra Sempronio Scachino, rappresentante del duca Ranuccio Farnese, nipote di Ottavio, e Pietro Giovanni di Nocera, cedendo ai Farnese il 15 aprile 1598 Quisisana per 12.192 ducati, 4 tari e 15 grana, cifra irrisoria rispetto al reale valore della tenuta[40][45][48].
Ridimensionato notevolmente il patrimonio a causa delle rivendicazioni dei diritti feudali sui possedimenti della famiglia da parte di Ottavio Farnese, nel XVII secolo il casato si stabilì nel regio casale napoletano di Secondigliano, insediamento alle porte di Napoli sviluppatosi economicamente ed architettonicamente perlopiù a seguito dell’apertura della strada di Capodichino (1582-86), nonché del principale ingresso della città partenopea al tempo. Ivi, diede i natali a giuristi, religiosi e ad una dinastia di industriali tessili.[45][49][50][51]
Di quel periodo, si ricordano, in particolare:
Il principe Marino, citato nel 1463 in un contratto di enfiteusi, nel quale il Papa Pio II approvò e confermò la concessione di Melicuccà a suo vantaggio. Egli venne definito come "fedele vassallo e suddito".[29][30]
Il nobile Giovanni Antonio, notaio napoletano. Nel 1528 fu creato “Notaio dell'inclita città di Napoli, conservatore ed archivario di tutte le scritture ed istrumenti di essa Città e Deputazioni”. Inoltre, a partire dal 1519 ebbe un ruolo significativo nella costruzione della chiesa di Santa Maria delle Grazie Maggiore a Caponapoli.[41][53][54][55]
Il nobile Pietro Giovanni, Patrizio napoletano, proprietario degli antichi giardini reali di Quisisana e fondatore della Chiesa di Gesù e Maria presso la città stabiese con un contributo di 13.400 ducati. Fu, inoltre, “alunno e familiare di Alfonso V“[46]. La sua opera filantropica fu proseguita da Francesco di Nocera, il quale edificò il Collegio gesuita attiguo.[47][48][45][56][57]
«Petro Joanni Nuceriae: Patricio Neapolitano,
Urbis hujus velut Patriae studiosissimo,
Collegii Fundatori;
Quod hoc praeterea Templum
In Deum , in homines munificus.
Excitaverit,
Societas Jesu.»
(Istoria della compagnia di Giesú, appartenente al regno di Napoli)
Il nobile Francesco Santolo, notaio attivo a Secondigliano a cavallo tra il XVII ed il XVIII secolo.[60]
Il conte Alessadro, industriale tessile nato dal conte Antonio nel 1773.[49]
La tradizione ecclesiastica e giuridica della casata, consolidatasi nell'età moderna, è proseguita sino all'epoca recente.
Epoca contemporanea
Anche nell’età contemporanea la famiglia continuò ad avere esponenti di primo piano nelle gerarchie civili, giudiziarie e religiose prima del Regno delle Due Sicilie e poi d'Italia. Tra le attività principali appartenute si annoverano infatti una banca[61] ed un’industria[62]. Rilevante nella casata fu altresì l’impegno profuso da taluni esponenti nelle professioni notarili, forensi e sanitarie.
Dal conte Alessandro di Nocera nacquero Antonio e Cosimo, entrambi industriali tessili, i cui rispettivi eredi furono Vincenzo e Luigi, protagonisti dell’acme dell’attività tessile e bancaria della famiglia. Vincenzo fu generato dall’unione di Antonio con Chiara Maria Miranda, appartenente ad una famiglia di facoltosi proprietari terrieri e sorella del notaio Cosimo Miranda. Dal matrimonio nacquero altresì il sacerdote Alessandro e la suora Maria Carmela, quest’ultima nata a seguito del difficile parto di donna Chiara Maria, grazie all’intercessione dei Santi Cosma e Damiano, secondo le cronache dell’epoca.[63][49][51]
Ai vertici della prima banca popolare con ragione sociale anonima cooperativa del Mezzogiorno, con sede in Secondigliano (all’epoca importante polo industriale campano), costituita il 30 giugno del 1883 con atto rogato dal notaio Francesco Mele, vi furono diversi esponenti della casata[64]. Al comm. Luigi di Nocera, primo presidente del consiglio d’amministrazione della banca, succedettero nel medesimo ruolo, dapprima, Alfonso Cosimo di Nocera e, poi, Damiano di Nocera[65][66][67][68]. Lo statuto, suddiviso in 101 articoli, fu poi revisionato e adattato alle esigenze sopraggiunte nel 1946 e nel 1962. Nel testo originario si legge: "Preferendo mai sempre il servizio de' prestiti sopra i pegni, di cui la cittadinanza meno agiata, ha tanto bisogno per distruggere l'usura"[69][70].
Nel bilancio del 1926, il capitale versato e i depositi milionari dell’istituto di credito superarono il doppio di quelli della Banca di Credito Popolare di Torre del Greco, con la quale si fuse nel 1971. La banca fu attiva soprattutto nello sviluppo urbano e nella crescita economica della città metropolitana di Napoli, prestando denaro a privati e comuni e contribuendo al Risanamento di Napoli.[11][71][72][73][70]Contestualmente all’attività bancaria, la famiglia s’impegnò altresì nell’amministrazione della maggiore industria nell’ambito della produzione di tessuti misti di lana e cotone nell’Italia meridionale.[12][74]
Ad alcuni membri del casato, inoltre, si deve la rifioritura dell’ordine dei Missionari dei Sacri Cuori di Gesù e Maria, l’attuale configurazione della Chiesa dell’Addolorata, voluta da padre Pietro di Nocera, e l’erezione di una cappellania laicale, autorizzata con regio decreto del 1830 e certificata con atto notarile dell’anno successivo, per mano di donna Margherita di Nocera. In tal modo, fu corroborata ulteriormente la vocazione religiosa della famiglia viva sin dal Medioevo in laici e chierici.[75][76][77]
Della suddetta epoca, sono stati esponenti significativi:
Il commendatore Luigi (1826-1902),[78] presidente del consiglio di amministrazione di una banca campana[61] e industriale[62]. In qualità di sindaco di Secondigliano (dal 1926 quartiere di Napoli, temporibus illis comune florido[79] ove taluni nobili napoletani avevano dei possedimenti[80][81], caduto nel degrado soltanto nella seconda metà del ‘900), fu promotore di opere di pubblica utilità, tra cui la realizzazione di scuole, nosocomi e nuove strade e l'estensione della rete dell'acquedotto del Serino. A lui è stata dedicata una delle piazze della città partenopea.[82]
Il padre Pietro, sacerdote. Successore di San Gaetano Errico in qualità di superiore generale della Congregazione dei Missionari dei Sacri Cuori di Gesù e Maria, ne proseguí l’uffizio dal 1887. Auspice della rinascita dell’Ordine, fu artefice dell’ampliamento (aggiunta di una navata) e abbellimento della Chiesa dell’Addolorata a Napoli.[77][86]
La casata, inoltre, continuò a contrarre matrimoni con altre famiglie nobiliari, tra le quali si annovera quella marchionale dei Moscatelli di Castelvetere, rappresentata al tempo dal marchese Carlo Moscatelli di Castelvetere. Eredi della predetta casata, ormai estinta, sono i di Nocera.[87]
Il nome “Antonio” è molto presente nella genealogia familiare per la grande devozione dei membri a Sant’Antonio di Padova, il quale pronunciò una delle sue più significative prediche, un mese prima della morte, proprio da un albero di noce, figura caratterizzante dello stemma della casata. Nell’iconografia popolare, inoltre, il noce viene sovente associato al Santo portoghese.[88]
Ademario di Nocera (1263- 1334), notaio, giudice e regio consigliere.[35][37] Ademario fu aggregato alla nobiltà napoletana da Carlo I d'Angiò per il suo operato in ambito giuridico e per il suo censo: "Ademario di Nocera, notaro faurito del Re, che elligge contribuir con Nobili di Napoli."[27][28][37]
Don Pietro Giovanni di Nocera fu proprietario degli antichi giardini reali di Quisisana e fondatore della Chiesa di Gesù e Maria presso la città stabiese con un contributo di 13.400 ducati. La sua opera filantropica fu proseguita da Francesco di Nocera, il quale edificò il Collegio gesuita attiguo.[47][48][45]
Don Antonio di Nocera, imprenditore, figlio del dott. Antonio di Nocera.
Don Pietro di Nocera, sacerdote. Fu successore di Gaetano Errico in qualità di superiore generale della Congregazione dei Missionari dei Sacri Cuori di Gesù e Maria, continuandone l’opera a partire dal 1887 e favorendo la rinascita della congrega con il richiamo dei padri dispersi a seguito della soppressione degli ordini religiosi voluta dallo stato sabaudo. Promotore dell’ampliamento (aggiunta di una navata) e abbellimento della Chiesa dell’Addolorata a Napoli, sostenne la rifioritura dell’Ordine religioso.[77][59]
Membri odierni
Don Antonio di Nocera (1971), avvocato perfezionato nella tutela dei diritti della Comunità europea.[90] È figlio del conte Cosimo Antonio e di Silvana Improta.
Don Roberto di Nocera, imprenditore nel settore tessile.
Don Pietro di Nocera, notaio.
Don Pierpaolo di Nocera, professore di microbiologia del corso di medicina e chirurgia presso l’Università Federico II di Napoli.
Lo stemma della casata è presente altresì nella sezione Famiglie nobili che sono in diverse città del Regno nella pagina 68 del manoscritto X A 42, risalente al XVII secolo, conservato presso la Biblioteca Nazionale di Napoli.
Feudi
Feudo della casata fu la Contea di Nocera, costituita da Nuceria, Marzano, Balentino, Bracigliano, Siano e Scafati e dalle terre attigue. Corrispondente all’attuale Agro Nocerino, il territorio comprende 12 comuni per un'estensione di 18810 ettari ed una popolazione di oltre 300.000 abitanti.[92][93] La famiglia, inoltre, regnò sulla Contea di Eboli ed ebbe diverse signorie in Vietri e Cava.[7] Tra le signorie rette dai di Nocera si annovera, inoltre, il feudo di Melicuccà, possedimento della famiglia a partire dal 1463 con il principe Marino di Nocera per investitura di Papa Pio II.[6][29] Dall’epoca angioina sino al 1598 furono signori di Quisisana. Nel Catalogus Baronum, vengono menzionate altresì diverse signorie appartenute a tre membri della casata: Matteo, Giovanni e Roberto.[31]
Luoghi e architetture
Il Castello di Eboli, caposaldo del sistema difensivo del Principato di Salerno.
La Reggia di Quisisana, posseduta dalla famiglia dal periodo angioino al 1598, anno in cui fu venduta ai Farnese, dai quali verrà ereditata dai Borbone.
La Chiesa di Gesù e Maria presso Castellammare di Stabia, edificata da Pietro Giovanni di Nocera con un contributo di 13.400 ducati.
Il Palazzo di Nocera, sito in Napoli. Ispirato al Palazzo Sanfelice, fu una delle residenze della casata, nonché dal 1883 la prima sede della Banca Popolare dell’Italia meridionale, fondata ed amministrata dalla famiglia per diverse generazioni.
La Chiesa di San Nicola di Gallocanta in Vietri. Possedimento secolare della famiglia, fu acquistata e trasformata in un monastero comitale dal conte Adelberto di Nocera.
Il Palazzo Moscatelli-Di Nocera, entrato a far parte dei luoghi d’interesse familiari a seguito dei matrimoni di Carlotta e Olga Moscatelli di Castelvetere con membri della famiglia, ultime eredi del casato marchionale assieme alla sorella Elisa, la quale non ebbe figli.
Galleria d’immagini
Esponenti
Il conte Vincenzo di Nocera in posa in un ritratto ottocentesco
Il conte ereditario Antonio di Nocera, figlio del conte dottor Antonio di Nocera
La contessa Maria di Nocera, moglie del conte dr. Antonio di Nocera
il conte comm. Luigi di Nocera in una foto ufficiale
Donna Agnese di Nocera, figlia del conte Luigi, con i figli ed il marito
Il conte Antonio di Nocera (n.1873), medico napoletano, allievo del senatore Antonio Cardarelli
Il conte Antonio di Nocera in una foto ufficiale
Donna Maria di Nocera, primogenita del conte dr. Antonio di Nocera
Il conte Antonio di Nocera (n.1911), immortalato nel 1929
Il conte Cosimo Antonio di Nocera in vacanza a Cortina nel 1948
La premiazione nel maggio del 1948 del giovane Cosimo Antonio presso l'istituto Bianchi di Napoli, effettuata dal primo presidente della Repubblica Italiana Enrico De Nicola, per i suoi meriti scolastici
La foto del conte Cosimo Antonio di Nocera esposta presso il liceo classico dei Padri Barnabiti dell'Istituto Bianchi
Il conte avv. Antonio di Nocera (n.1971) dinnanzi il ritratto del trisavolo Vincenzo
L’avvocato Antonio di Nocera in una recente foto
Luoghi
Castello appartenuto ai Conti di Nocera, ubicato in Eboli
Prospetto di una delle Cappelle gentilizie di famiglia, edificata da Luigi di Nocera
Palazzo marchesale di Nocera-Moscatelli sito in Castelvetere in Val Fortore
Gli epitaffi del comm. Luigi di Nocera, di donna Carlotta Moscatelli dei Marchesi di Castelvetere e del cav. Cosimo di Nocera
Palazzo di Nocera, sito in Napoli. Ispirato al Palazzo Sanfelice, fu una delle residenze della casata, nonché dal 1883 la prima sede della Banca Popolare fondata ed amministrata dalla famiglia per diverse generazioni.
Primi sportelli della banca
Targa commemorativa della benemerenza del padre Pietro di Nocera, posta all’interno della Chiesa dell’Addolorata nel 1894
^ Italia : Ministero di agricoltura, industria e commercio : Divisione industria, commercio e credito, Bollettino ufficiale delle società per azioni, Tipografia eredi Botta, 1891. URL consultato il 2 marzo 2023.
^abc About the Author Missionari dei Sacri Cuori Siamo un Istituto religioso missionario, fondato dal Beato Gaetano Errico ed approvato da Papa Pio IX il 7 agosto del 1846 La contemplazione dell’amore dei Sacri Cuori di Gesù e di Maria, Cooperatori Per Amore, dell’amore del Padre, Dimostrato Fino All’accettazione Del Martirio, fonda ed ispira la spiritualità e la missione dell’Istituto, I custodi della Madonna, su Missionari dei Sacri Cuori di Gesù e di Maria. URL consultato il 21 giugno 2023.