Il De fato è un'opera filosofica attribuita a Plutarco, con seri dubbi di autenticità, giuntaci nei suoi Moralia.
Analisi critica
Lo scrittore, evidentemente un platonico[1], appare sia come un insegnante, sia come un compagno di studi dell'altrimenti ignoto Pisone a cui è rivolta la trattazione[2]. Una dottrina molto simile alla sua, e senza dubbio derivata da una fonte comune, si trova nel commento di Calcidio al Timeo platonico[3], ed echi di questa dottrina appaiono in Albino e Apuleio[4]. Il nostro trattato, allora, probabilmente non è stato scritto prima dei primi decenni del II secolo.
Nell'operetta l'autore si interroga sull'essenza del fato, evidenziando che una cosa è il fato (la necessità) in generale, altra cosa è la sua manifestazione nei singoli casi.
Scopo del nostro autore è quello di costruire una teoria del destino compatibile con la provvidenza di Dio e il libero arbitrio nell'uomo. La sua visione si oppone alla concezione stoica che "tutto si conforma al destino", e una polemica contro lo stoicismo è implicita nel trattato. Eppure, per molti aspetti l'argomento rivela l'influenza di dottrine stoiche.
Note
- ^ A. Gercke, Eine Platonische Quelle des Neuplatonismus, in "Rheinisches Museum", XLI (1886), pp. 266-291.
- ^ Cfr. i passi 568df.
- ^ Cap. CXLIII, p. 203, 9‑13 ed. Wrobel.
- ^ De Platone et eius dogmate, II 12
Bibliografia
- Plutarco, Il fato, a cura di E. Valgiglio, Napoli, D'Auria, 1993.