La Profezia di Malachia (il cui titolo originale in latino è Prophetia Sancti Malachiae Archiepiscopi, de Summis Pontificibus) è un testo attribuito a san Malachia, arcivescovo di Armagh vissuto nel XII secolo, contenente 112 brevi motti in latino che descriverebbero i papi (compresi alcuni antipapi) a partire da Celestino II, eletto nel 1143.[1]
Dopo i motti, al termine della profezia, è presente un testo in latino che prevederebbe, durante il pontificato di un certo Petrus Romanus, la distruzione di una città dai sette colli e il giudizio finale.[2]
Sebbene non si sia certi dell'autore del documento, la tesi consolidata presso gli storici è che il manoscritto sia un falso storico, redatto nella seconda metà del XVI secolo.[3][4]
La profezia venne pubblicata per la prima volta nel 1595 dallo storico benedettinofranceseArnoldo Wion nel suo libro Lignum Vitæ, una storia dell'ordine religioso a cui apparteneva.[5] Wion attribuì la lista a san Malachia, vescovo benedettino di Armagh (in Irlanda), vissuto nel XII secolo, senza però indicare dove si trovasse il manoscritto originale e come ne fosse entrato in contatto. Egli si limitò soltanto a spiegare che la profezia non era mai stata pubblicata prima di allora, ma che in molti già ne conoscevano l'esistenza e fossero pertanto ansiosi di leggerla integralmente. Assieme al testo, Wion pubblicò anche un'interpretazione dei motti di tutti i papi sino al 1590, attribuendola allo storico domenicano spagnoloAlfonso Chacón.[6]
Siccome Malachia, nel 1139, ebbe modo di recarsi a Roma per farsi ricevere da papa Innocenzo II in merito a una sua richiesta per i pallii per le sedi arcivescovili di Armagh e di Cashel, nel 1873 François Cucherat ipotizzò che il vescovo avesse avuto proprio durante questa sua visita all'Urbe una visione sui futuri pontefici e che, dunque, li avesse successivamente trascritti in dei motti criptici in latino, il cui manoscritto sarebbe stato infine consegnato al papa. Quest'ultimo lo avrebbe depositato nell'Archivio Segreto Vaticano, dove sarebbe rimasto dimenticato fino alla sua riscoperta, alla fine del XVI secolo, a opera per l'appunto del Wion.[1]
I motivi di dubbio sull'autenticità
L'autenticità della profezia di Malachia, di cui non si conosce il manoscritto originale ma solo il testo a stampa di Wion, fu messa in dubbio quasi subito da un libro del francescano François Carriere, ristampato quattro volte nel corso del XVII secolo, e venne rigettata anche dagli autorevoli padri bollandisti.[7] Particolarmente approfondita fu la confutazione pubblicata nel 1689 dal gesuita Claude-François Ménestrier, dal titolo Refutation des prophéties faussement attribuées a s. Malachie sur les elections des Papes, tradotta in tedesco e stampata a Lipsia nel 1691 da Cristiano Wagnero. Poco dopo, a seguito della pubblicazione della Additione apologetico-istorica alle Predittioni circa i Sommi pontefici Romani del glorioso Padre S. Malachia di Giovanni Germano, Ménestrier tornò sull'argomento pubblicando La philosophie des images énigmatiques (Parigi, 1694).[8]
Un primo, quasi ovvio, motivo di sospetto è il fatto che, per quattro secoli, non vi sia alcuna fonte che citi il documento o anche solo che ne attesti l'esistenza. Anche nella dettagliata biografia di Malachia scritta da Bernardo di Chiaravalle, contemporaneo e grande amico del santo irlandese, la profezia non viene minimamente menzionata.[9]
Parimenti incongrua è la scelta dei personaggi descritti dai motti: essendo un elenco di papi non sembra logico includervi anche gli antipapi. Tuttavia, nonostante l'antipapa Innocenzo III non sia presente, degli altri dieci antipapi soltanto due vengono effettivamente dichiarati tali, mentre gli altri otto sono accomunati ai papi. Altri dubbi nascono dall'ordine di elencazione: il papa Alessandro III è posposto agli antipapi Vittore IV, Pasquale III e Calisto III, mentre Urbano VI è posposto agli antipapi Clemente VII, Benedetto XIII e Clemente VIII.
Una prova importante a sostegno della falsità dello scritto è data dal fatto che il motto di alcuni fra i papi più antichi venne elaborato sulla base di indicazioni biografiche o araldiche errate,[10] presenti in maniera ugualmente sbagliata nella storia ecclesiastica scritta da Onofrio Panvinio nel 1557 e in altre sue opere.[11] Malachia, quindi, non solo avrebbe saputo con secoli di anticipo notizie sui futuri pontefici, ma addirittura avrebbe commesso gli stessi errori di uno storico vissuto quattrocento anni dopo di lui.[10]
L'ipotesi di un falso cinquecentesco è inoltre confermata dal fatto che i motti latini sono molto precisi per i pontefici antecedenti la fine del XVI secolo, periodo in cui il falso sarebbe stato ultimato, mentre diventano più vaghi e approssimativi per i papi successivi, obbligando a fare largo uso della fantasia per trovare un collegamento fra motti e pontefici.[7][12][13]
Circostanze del falso
Gli storici hanno cercato di mettere in luce le circostanze in cui la profezia potrebbe essere stata redatta, ma ancora senza produrre elementi inequivocabilmente probanti. In primo luogo la profezia di Malachia potrebbe rientrare nella consuetudine di usare testi profetici come armi psicologiche, usanza particolarmente diffusa nei momenti di instabilità politica, come, ad esempio, il periodo dello scisma d'Occidente.[14] L'astrologo o il profeta, che tradizionalmente miravano a compiacere le mire del potente di turno, potevano utilizzare i pronostici come arma per influenzare gli eventi, prospettando come sicuri e inevitabili gli sviluppi più congeniali a loro o ai loro committenti.
Favorito dalla diffusione della stampa, il genere profetico ebbe un nuovo momento di grande popolarità in Italia fra il 1494 e il 1530,[15] restando comunque vivo anche nei decenni successivi. Nel 1515 furono dati alle stampe anche i Vaticinia de Summis Pontificibus, una profezia medievale sui pontefici, risalente forse alla fine del XIII secolo, falsamente attribuita a Gioacchino da Fiore. I Vaticinia vennero poi nuovamente stampati a Venezia nel 1589 con note e interpretazioni di Pasqualino Regiselmo.
In questo quadro non sorprende che il genere della profezia possa esser stato utilizzato anche per influenzare l'esito dei conclavi o più semplicemente per trarre qualche profitto economico dalle attese dei papabili e dei loro congiunti non appena si fosse profilata la prospettiva di un prossimo decesso del pontefice in carica.
Nel caso della profezia di Malachia l'attenzione degli studiosi, fra cui per primo Claude-François Ménestrier, cadde sul 75° motto, Ex antiquitate urbis, un riferimento estremamente vago, soprattutto in Italia, dove moltissime città e centri minori esistono da tempo immemorabile. Una profezia, quindi, facilmente confermabile dall'esito di un conclave. Al tempo stesso, il motto era particolarmente aderente alle caratteristiche di uno specifico candidato, il cardinale Girolamo Simoncelli, nato a Orvieto (Urbs vetus, in latino, cioè "città antica" per antonomasia).
Il motto potrebbe essergli stato dedicato per adulazione, con la speranza di trarre concreti benefici dalla sua ambizione al papato, oppure addirittura potrebbe essere stato commissionato da suoi sostenitori e fatto circolare nella curia vaticana per influire su un imminente conclave. Tutto il testo della profezia di Malachia, dunque, potrebbe essere un falso storico costruito solo per creare un contesto di verosimiglianza al motto.
Alla luce di queste considerazioni molti studiosi, a partire come si è detto da Menestrier, hanno avanzato l'ipotesi che il documento sia stato utilizzato inutilmente (o preparato senza essere utilizzato) in occasione del conclave del 1590, che vide l'elezione del milanese Nicolò Sfondrati.
Agli inizi del XX secolo Luigi Fumi attribuì le profezie di Malachia all'opera di un noto falsario cinquecentesco, Alfonso Ceccarelli, i cui rapporti con i familiari di Simoncelli erano solidi e accertati.[16]
Il metodo di lavoro di Ceccarelli, utilizzato ad esempio verso il principe Cybo, era di predisporre falsi documenti antichi o cronache storiche attribuite ad antichi autori (reali o mai esistiti), mediante i quali dimostrare la discendenza di un possibile committente da personaggi o da famiglie illustri del lontano passato. Con questi espedienti, Ceccarelli era in grado di invogliare il possibile committente a finanziare studi storici di approfondimento o ad acquistare copie dei documenti "originali" in suo possesso.
Queste caratteristiche fanno di Ceccarelli il candidato ideale per essere l'autore delle profezie di Malachia. Ceccarelli, tuttavia, fu giustiziato il 9 luglio 1583, sette anni prima del conclave del 1590, e perciò questa attribuzione è dubbia.[17]
Per mantenere l'attribuzione occorre ipotizzare che il manoscritto trascritto da Wion abbia avuto una storia articolata in almeno due momenti diversi. Una prima redazione sarebbe stata predisposta ma non utilizzata da Ceccarelli in data anteriore al 1583, e proprio nel clima di attesa creato dalle profezie sulla malattia e la morte del papa, che circolarono per Gregorio XIII (papa dal 1572 al 1585).[18] Il testo di Ceccarelli, poi, sarebbe stato adattato da parte di altri in previsione o in occasione dei conclavi successivi.
Un articolo del 2015 riporta un carteggio di un nipote del cardinale Giovanni Gerolamo Albani, grazie al quale si ha prova di come le profezie di Malachia esistessero già nel 1587, nella stessa forma poi pubblicata da Wion.[19] Dato che il motto del 73º papa, Sisto V (1585-1590), è una descrizione del suo stemma, il testo della profezia avrebbe trovato la sua forma finale nel biennio 1585-1587, in previsione del successivo conclave. Nel carteggio Albani alcuni familiari del cardinale si mostrano convinti che il motto "De rore coeli" annunci la futura elezione del loro protettore, collegando il nome Albani (da cui "alba") alla rugiada (ros, roris), in quanto tipico fenomeno mattutino. Il cardinale, infatti, era stato uno dei candidati più votati nel conclave del 1585, avendo quindi alcune effettive possibilità di elezione.[19]
Chiunque sia stato l'autore o gli autori del documento, la tesi praticamente unanime, seguita anche dall'ultima edizione dell'Enciclopedia Cattolica, resta che il manoscritto sia un falso storico, redatto nella seconda metà del XVI secolo.[4]
Fortuna nel XVII secolo presso il pubblico e la critica
Secondo Giuseppe De Novaes, l'opera di Wion ebbe grande successo: «Varie edizioni ne furono fatte, correndo ognuno a questi libri Sibillini come a fogli caduti dal Cielo».[20] Nel 1601 il domenicano Girolamo Giannini stampò a Venezia i Vaticini dell'abbate Malachia arcivescovo Armacano, tradotti dal latino, ristampati nel 1650 e nel 1689. Negli ultimi decenni del XVII secolo anche il cistercense Giovanni Germano scrisse diversi libri sulla profezia di Malachia.[21] Fu stampata più volte da editori diversi anche la Profezia veridica di tutti i sommi pontefici fino alla fine del mondo fatta da S. Malachia arcivescovo armacano, di cui S. Bernardo scrisse la vita e cavata per opera di un theologo da scrittori autentici.[22] Poco dopo Daniele Guglielmo Mollero pubblicò la Dissertatio historica de Malachia, propheta pontificio (Altdorf, 1706).
Anche alcuni estensori di biografie dei papi o di storia ecclesiastica trattarono l'argomento nelle loro opere. Ad esempio già Louis Coulon, ristampando nel 1673 le sue vite dei papi, segnalò nel frontespizio: Nouvelle edition augmentée de la vie des deux dernier Pontifes et de la Prophetie de S.Malachie. Nell'opera, Coulon commentò tutti i motti fino al 1670, cioè estese di ottant'anni le spiegazioni di Alfonso Chacón. Prudentemente, però, si astenne da ogni valutazione e sottomise ogni cosa «au jugement de la Sainte Eglise».[23] Poco dopo la profezia entrò anche nel famoso dizionario storico-biografico di Louis Moréri, un'opera stampata nel 1674 a Lione, in un solo volume, che venne continuamente corretta e ampliata fino a raggiungere i dieci volumi nell'edizione del 1759.[24]
Anche Pierre le Lorrain, abate di Vallemont, trattò l'argomento delle profezie di Malachia nei suoi Eléments de l'histoire, ou ce qu'il faut savoir de chronologie, de géographie, de blason, etc., avant que de lire l'histoire particulière.[25] Le numerose critiche ridussero la fama dell'opera, la quale continuò però a trovare sostenitori anche presso scrittori protestanti, come il luterano Teodoro Grugero, che pubblicò la Commentatio historica de successione Pontificum Romanorum, secundum vaticinia Malachiae, a dubiis Menestrerii, Carrieri, aliorumque vindicata (Wittenberge, 1723).[7]
I motti
La profezia descriverebbe ciascuno dei 111 (o 112, se si include anche il testo conclusivo, che non è un motto) futuri pontefici attraverso un breve motto scritto in latino. Questi motti andrebbero da papa Celestino II (1143-1144) fino alla presunta fine dei tempi.
Nel seguito vengono presentati separatamente i motti dei primi 74 papi e quelli dei papi successivi, in quanto i primi sono corredati anche di un breve testo interpretativo. La linea di demarcazione corrisponde solo approssimativamente alla data di pubblicazione della profezia.
Non tutti i motti hanno la stessa precisione: quelli riferiti ai papi sino quasi alla fine del XVI secolo sono molto accurati, indicando quasi sempre qualcosa che allude in maniera diretta al loro stemma o al loro cognome, mentre i motti per i pontefici successivi sono molto più vaghi e approssimativi.
Motti interpretati da Chacon (1143-1590)
I motti relativi ai 74 papi e antipapi regnanti fino al 1590, cioè cinque anni prima della pubblicazione della profezia, sono accompagnati da un'interpretazione latina che Arnoldo Wion afferma di aver ricevuto dal domenicano Alfonso Chacón.[5] Spesso si tratta di piccoli enigmi o di veri e propri giochi di parole:
Motto
A chi viene abbinato da Wion
Interpretazione di Alfonso Chacón
Spiegazione del testo di Chacón
Ex castro Tiberis ("Dal castello sul Tevere")
Celestino II (Guido Guelfucci o Guido Ghefucci, 1143-1144)
Cardinale di santa Maria in Trastevere. I nomi di Pasquale III e Callisto III, qui riportati nel corretto ordine cronologico, sono scambiati fra loro nel libro di Wion, probabilmente per un errore materiale suo o del tipografo.
Antipapa. Hungarus natione, Episcopus Card. Tusculanus.
Ungherese (pannone), sarebbe stato cardinale di Tuscolo, antico nome della sede suburbicaria di Frascati. In realtà fu cardinale nella sede di Albano, ad una dozzina di chilometri da Frascati.
Il motto di Malachia si riferisce alle oche del Campidoglio perché questo papa era stato cardinale con il titolo di san Marco Evangelista al Campidoglio. I suoi discendenti, poi, assunsero anche il cognome Paparoni, cui è talvolta associato uno stemma con un'anatra.
Alessandro IV (Rinaldo dei signori di Jenne, 1254-1261)
De comitibus Signiae, Episcopus Card. Ostiensis.
Cardinale di Ostia, era probabilmente figlio di una sorella di Gregorio IX. Questa parentela fece sì che alcuni biografi, nel corso dei secoli, lo abbiano erroneamente considerato del casato dei conti di Segni.
Piceno, nato ad Ascoli. Gioco di parole fra i termini latini picus ("picchio") e picenus ("piceno"), e fra esca, esculanus ed asculanus (nativo di Ascoli, città nel Piceno).
Cardinalis SS.Ioannis et Pauli. Titulus Panmachii, cuius insignia sex montes erant.
Prima dell'elezione era cardinale dei santi Giovanni e Paolo, titolo anticamente soprannominato di san Pammachio. Chacon sembra affermare che, nello stemma di Innocenzo VI, sarebbero campeggiate sei montagne, ma l'informazione è errata.
Familia tomacella à Genua Liguriae orta, cuius insignia Cubi.
Nello stemma dei Tomacelli erano presenti dei quadrati di due colori che componevano uno scaccato, il quale sembrava un sovrapporsi di cubi (la mixtione). Ogni membro della famiglia era un cubo del complesso.
Diaconus Cardinalis S.Eustachii, qui cum cervo depingitur, Bononiae legatus, Neapolitanus.
Era cardinale di sant'Eustachio, santo tradizionalmente raffigurato vicino ad un cervo. Proveniva inoltre da Procida, di fronte a Capri, detta Isola delle Sirene.
Filius Laurentii Medicei, et scholari Angeli Politiani.
Il padre di Leone X si chiamava Lorenzo, come il santo martirizzato sulla graticola. L'espressione politiana, invece, si collegherebbe ad Angelo Poliziano, di cui Leone X fu discepolo.
Leo Florentius ("Leone fiorentino")
Adriano VI (Adriaan Florenszoon Boeyens d'Edel, 1522-1523)
Florentii filius, eius insignia Leo.
Aveva un leone nello stemma ed era figlio di un tale Florens.
Farnesius, qui lilia pro insignibus gestat, et Card. fuit SS.Cosmae et Damiani.
Il suo stemma aveva sei gigli e fu cardinale dei santi Cosma e Damiano, due gemelli medici.
De corona montana ("Della corona dei monti")
Giulio III (Giovanni Maria Ciocchi del Monte, 1550-1555)
Antea vocatus Ioannes Maria de Monte.
Allusione al cognome Del Monte, nel cui stemma compaiono tre monti e due corone di alloro.
Frumentum floccidum ("Frumento di nessun valore")
Marcello II (Marcello Cervini degli Spannocchi, 1555-1555)
Cuius insignia cervus et frumentum, ideo floccidum, quod pauco tempore vixit in papatu.
Oltre al cervo (dal cognome "Cervini"), il suo stemma contiene nove spighe di frumento, ma il suo pontificato fu così breve da non portare risultati (il frumento senza valore).
Il suo stemma presenta una banda che divide in due un leone, che è un segno zodiacale.
De rore coeli ("Della rugiada del cielo")
Urbano VII (Giovanni Battista Castagna, 1590-1590)
Qui fuit Archiepiscopus Rossanensis in Calabria, ubi manna colligitur.
Urbano VII fu arcivescovo di Rossano, cittadina nelle cui campagne si raccoglie la manna.[27]
Motti successivi (dal 1590 in poi)
Di seguito, i motti relativi a 38 pontefici successivi, regnanti dal 1590 in poi.[5] Poiché, a differenza dell'esattezza dei precedenti, l'interpretazione di questi motti è del tutto arbitraria, si è preferito non avallare alcuna opinione, lasciando solamente i motti riportati da Wion e i relativi abbinamenti:
Motto
A chi risulta abbinato per sequenza di elezione
Ex antiquitate Urbis[7][28] ("Dall'antichità della città")
Dopo il motto "In persecutione extrema S.R.E. sedebit." l'elenco si conclude con il testo:[5]
(LA)
«Petrus Romanus, qui pascet oves in multis tribulationibus; quibus transactis, civitas septicollis diruetur, et Judex tremendus iudicabit populum suum. Finis.»
(IT)
«Pietro Romano, che pascerà il gregge fra molte tribolazioni; passate queste, la città dai sette colli sarà distrutta e il tremendo Giudice giudicherà il suo popolo. Fine.»
Il testo non contiene alcuna nuova profezia ed è un semplice memento che, prima o poi, la sequenza dei papi sarà destinata a concludersi. Lo stesso nome, Petrus Romanus, potrebbe non indicare alcuna caratteristica del pontefice e potrebbe significare soltanto "il papa che c'è a Roma". Anticamente, infatti, era bene specificare il papa "di Roma" per distinguerlo da eventuali antipapi scismatici in altre parti d'Europa. Gli eventi descritti, poi, sono gli stessi segnalati nell'Apocalisse, in cui la distruzione di Babilonia la Grande, una città appunto costruita su sette colli (Ap 17, 9[30]), precede il giudizio universale.
Speculazioni
Nell'elenco di papi che Wion abbina ai primi 74 motti della profezia sono presenti dieci antipapi. Se il documento non fosse un falso storico, si potrebbe mettere in dubbio che i motti di Malachia possano essere riferiti anche ad antipapi, mischiandoli con i papi successivamente riconosciuti. In tal caso gli abbinamenti di Wion sarebbero errati e i motti sarebbero da riassegnare, mentre mancherebbero ancora dieci papi prima che la lista dei papi futuri sia esaurita.
Togliendo gli antipapi verrebbe a modificarsi l'attribuzione classica: per esempio, Pio XII non sarebbe più Pastor Angelicus, ma Peregrinus Apostolicus, mentre Paolo VI non sarebbe più Flos Florum, bensì Canis et Coluber. Questa ipotesi, tuttavia, è in contrasto sia con l'opinione prevalente che il testo sia un falso, sia con l'ottima concordanza fra motti e papi prima del 1590.
^Il testo non specifica quale sia questa città, ma la connessione con il giudizio finale costituisce un chiaro riferimento all'Apocalisse, in cui il giudizio è immediatamente preceduto dalla rovina di Babilonia la Grande.
^O'Brien, p. 16 e p. 25.. Si vedano le ultime due righe del testo di Wion a p.311 (cfr. illustrazione di questa voce, qui a fianco)
^abcd«Profeta». In: Gaetano Moroni, Dizionario di Erudizione storico-ecclesiastica da S. Pietro sino ai giorni nostri, Vol. LV, p. 288 (online). Negli Acta Sanctorum, i primi dubbi sulle profezie di Malachia compaiono nel Vol. 13 (il Propileo ai santi del mese di maggio), Parte I, Appendice II, pp.216-217. Vi si sottolinea, fra l'altro, che lo stesso Ciacconi pubblicò alcuni anni dopo una Vitae Summorum Pontificum et Sanctae Romanae Ecclesiae Cardinalium (Roma, 1601), in cui si parla dei papi sino a Urbano VII incluso. Tuttavia, Ciacconi non vi nomina mai Wion, né estende le proprie interpretazioni della profezia di Malachia sino al papa Urbano VII.
^Journal des Sçavans, an. 1695, p. 666 e Acta Erud. Lips. an. 1694, pp. 144 e 312.
^Nell'anno 1557 vennero stampate due opere di Onofrio Panvinio: la Epitome Pontificum Romanorum a s. Petro usque ad Paulum III gestorum (videlicet) electionisque singulorum & conclavium compendiaria narratio, cardinalium item nomina, dignitatum tituli, insignia[1] e la Onuphrii Panvinii Veronensis fratris eremitae Augustiniani Romani Pontifices et cardinales S.R.E. ab eisdem a Leone IX ad Paulum papam IIII per quingentos posteriores a Christi natali annos creati, Venetiis apud Michaelem Tramezinum, 1557.
^La falsa profezia di Malachia, su lanuovabq.it. URL consultato il 15 febbraio 2013 (archiviato dall'url originale il 16 febbraio 2013).
^Rusconi R., L'attesa della fine. Crisi della società, profezia e Apocalisse in Italia al tempo del grande scisma d'Occidente (1378-1417), Roma, Istituto Storico Italiano per il Medio Evo, 1979.
^Ottavia Niccoli, L'arme des prophéties et des pronostics dans les guerres italiennes, du XV au XVI siècle in La prophétie comme arme de guerre des pouvoirs (XV-XVII siècles). Études réunies et présentées par Augustin Redondo, pp. 203-219, Presse de la Sorbonne Nouvelle, Paris 2000, cfr. p. 204.
^Luigi Fumi, L'opera di falsificazione di Alfonso Ceccarelli, in Bollettino della Deputazione di Storia patria per l'Umbria, Perugia1902, Vol. VIII, pp. 213-277.
^Per un esempio di queste predizioni cfr. M. Azzolini, The Political Uses of Astrology. Predicting the Illness and Death of Princes, Kings and Popes in the Italian Renaissance, «Studies in History and Philosophy of Biological and Biomedical Sciences», 41, 2(2010), 135-45: 137-39
^Vita, gesti e predittioni del padre S. Malachia, Napoli 1670, 2 voll.; Addizione apologetico-istorica alla predizione circa i Romani Pontefici, Napoli 1675; Profezia de sommi pontefici romani con illustrazioni e note, Ferrara 1794
^Pinelli, Venezia 1670 e 1675; Leonardo Pittoni, 1700 (2 ristampe), Geremia 1721
^Louis Coulon, L'histoire et la vie des Papes. Nouvelle edition augmentée de la vie des deux dernier Pontifes et de la Prophetie de S.Malachie, Francois Comba, Lyon 1673 (online).
^Grand dictionnaire historique, ou mélange curieux de l'histoire sacre e profane, note esplicative. Moréri inventò il genere dei dizionari in lingua volgare e fu anche molto imitato.
^L'opera fu composta nel 1696. Cfr. per es. l'edizione di Venezia, 1738, tomo III, p. 217.
^La corte era a Napoli, considerata capitale della "Sicilia citeriore".
^Alfonso Ceccarelli avrebbe scritto questo motto non per il cardinale Niccolò Sfondrati, bensì per Girolamo Simoncelli, suo protettore e finanziatore, con allusione alla città di Orvieto (Urbs vetus, in latino), suo paese natale.