Fece la sua fortuna economica a Parigi, dove visse a lungo. Nella capitale francese si era autoesiliato in seguito ad un grave incidente che lo vide involontario protagonista: fu infatti responsabile della morte di un domestico che uccise con un colpo d'arma da fuoco partito accidentalmente durante un'operazione di manutenzione e pulizia dell'arma.
La sua vita fu funestata dalla morte precoce di due dei tre figli, mentre il terzo ripudiò il nome del casato, ponendo fine alla dinastia.
Di professione banchiere, venne eletto Decurione di Genova nel 1848. È ricordato per la sua figura di mecenate.
Fu nominato senatore il 18 novembre 1858 (prestò giuramento il 19 gennaio dell'anno successivo) ma una prima nomina a questa carica, tuttavia poi non convalidata, era avvenuta il 18 dicembre 1849.
Attivo particolarmente, oltre che nell'àmbito creditizio, anche nel settore dell'allora nascente sistema ferroviario europeo (di cui fu finanziatore), ricoprì importanti cariche nei consigli di amministrazione di varie società.
Banchiere e mecenate
Il suo profilo biografico di uomo politico e mecenate è tracciato nella commemorazione funebre compiuta al Senato il 27 dicembre 1876. In essa si ricordava come nel 1837 avesse acquisiti
«dal principe Oscarre, che fu poi re di Svezia, e dalla moglie di lui (figliuola di Eugenio di Beauharnais), tutti i possedimenti de' quali Napoleone nel 1812, acquistandoli dal conte Aldini, aveva costituito il ducato di Galliera. Di che Re Carlo Alberto colle patenti del 18 luglio 1843 gli diede licenza di assumere il titolo di Duca»
A Parigi
«strinse intime relazioni coi più eccelsi uomini del tempo di Luigi Filippo. Gli fu proferto il grado di Pari di Francia: ma, per accettarlo, gli sarebbe bisognato di conseguire Lettere di naturalità in quello Stato; ed egli, tuttoché allora l'Italia quasi più non paresse che una memoria, preferì mantenere il nativo carattere di cittadino italiano»
Riguardo al suo mecenatismo, si sottolineò in quella circostanza la sua capacità di tesaurizzare:
«Tesaurizzava (così parlò in una delle tornate pubbliche del 1875 al Consiglio Municipale della sua Genova), perché volea resultarne abbastanza ricco da poter poi destinare somme non piccole ad una qualche opera, vantaggiosa davvero alla patria e di presente e nello avvenire»
È dell'anno precedente la
«donazione del monumentale Palazzo Rosso (che fu dei Marchesi Brignole-Sale), divisata dalla moglie sua e dal figliuolo a testimonianza del loro amore per la città di Genova. Ed egli fondò, parimente in Genova, le case operaie, e le organava così che le abitazioni non abbiano ad essere allogate tutto per grazia, ma sì per lievi mercedi; ottima previsione, onde eccitare nelle classi lavoratrici la desiderata abitudine del risparmio»
E a proposito del suo intervento a favore del porto di Genova, per le mutate condizioni del commercio marittimo, venne ricordato che: «all'uopo stimavasi indispensabile un ponderoso dispendio; al quale l'erario pubblico e il municipio genovese, da soli, non vedeano modo di sopperire. Or ecco il Duca di Galliera offrire del proprio allo Stato, affinché si sobbarchi all'impresa, nientemeno che venti milioni delle nostre lire. Quinci, stipulata la convenzione fra il Governo del Re e il liberalissimo donatore, fu nel giugno 1876 stanziata la legge che, indette le norme per l'ampliamento e la sistemazione del porto, e tenuto conto dei venti milioni, ha predisposta l'allibrazione delle somme che occorrono ne' bilanci de' lavori pubblici dal 1876 al novantuno».
Aggiunse l'oratore: «Le due Camere del Parlamento decretarono al Duca di Galliera solennissime azioni di grazie: il Re ne scrisse il nome nell'Albo de' suoi cugini, i Cavalieri del supremo Ordine dell'Annunziata, e gli aggiunse eziandio il predicato di Principe di Lucedio»[1].
Ricordato per le sue attività munifiche a beneficio della città natale e in particolare del suo porto, è intitolata al suo nome dal 1875, un anno prima della sua morte, la principale piazza del capoluogo ligure, piazza De Ferrari, la medesima nella quale sorge l'Accademia Ligustica di Belle Arti di cui fu promotore.
Nel 1896 lo scultore Giulio Monteverde realizzò un complesso commemorativo in bronzo a ricordo della figura di Raffaele De Ferrari. Alto sei metri e largo tre, raffigura una donna (simboleggiante Genova) con un Cupido da un lato e Mercurio dall'altro.
Il monumento fu al centro nel 2006 di una polemica stampa a causa del degrado cui è stato soggetto. Dopo essere stato rimosso nell'ottobre 1989 dal piazzale antistante la Stazione marittima, al porto di Genova, il monumento è stato messo in custodia, in attesa di trovarne una nuova collocazione, in un deposito di materiali del Comune, in val Polcevera.[2] Il comune stanziò 131.000 euro per il restauro della statua,[3] che però fu mutilata da alcuni vandali.[4]
I lavori di restauro del monumento sono iniziati nel 2013[5], e nel 2017 si è deciso di collocarlo in fondo a via Corsica, nel quartiere di Carignano, di fronte alla diga foranea da lui finanziata[6]. I lavori sono stati completati nel 2018, quando la statua e il suo piedistallo sono stati collocati nella loro nuova sistemazione.[7][8][9]
Note
^Il testo della commemorazione funebre di Raffaele De Ferrari è contenuto negli Atti parlamentari del Senato del Regno, Discussioni, 27 dicembre 1876. Vedi: Senato.it