Inverno 1946. Don Camillo è stato sollevato dall'incarico di parroco del suo paese per punizione e parte quindi per la parrocchia di Montenara, sperduta tra i monti, in sostituzione del defunto parroco Don Luciano. Qui, in un ambiente freddo, svolge il suo ministero presso la chiesa, frequentata dalla sola perpetua. Nel frattempo, nel paese di don Camillo, Peppone si ritrova ad affrontare molti problemi e non ha neanche l'aiuto del nuovo parroco: la cittadinanza non ha preso per niente bene l'allontanamento del reverendo a causa di Peppone e si rifiuta categoricamente di sposarsi, battezzare bambini o addirittura organizzare funerali portando un serio danno alle casse comunali. Solo il ritorno di don Camillo porrà fine alle dispute che coinvolgono anche un proprietario terriero, Cagnola, che non vuole cedere una parte delle sue terre per costruire lungo il Po un argine che dovrebbe prevenire le alluvioni. In un alterco che si crea poco dopo, Cagnola ferisce il compagno detto "il Nero", credendo di averlo addirittura ucciso. Quest’ultimo viene ferito a sua volta da Peppone, anch'egli convinto di averlo ammazzato. Per avere un alibi, entrambi si rivolgono a don Camillo nel suo esilio a Montenara.
Don Camillo riesce a calmare la situazione, strappando la promessa a Cagnola che egli avrebbe ceduto le terre necessarie per costruire l'argine. Per questo fatto Peppone si rivolge al vescovo per fare tornare don Camillo a Brescello. Quest'ultimo viene accontentato, con l'ammonimento però da parte del prelato che poi non venga più a lamentarsi se riceverà ancora tavolate in testa. Al ritorno al paese, don Camillo dovrà porre fine a una rissa alla casa del popolo scoppiata al termine di un incontro di pugilato, organizzato appositamente in contemporanea con l'arrivo del parroco alla stazione per evitargli un bagno di folla che sarebbe stato "il trionfo della reazione". Accade poi che Cagnola si rimangia la promessa delle terre, ritenendo l'argine inutile per prevenire alluvioni, che puntualmente si verificheranno subito, e di tale entità che anche l'argine eventualmente costruito non sarebbe servito a niente.
Anche il "Nero" se la cava, ma il vecchio medico del paese, il dottor Spiletti, conservatore ma amato dal popolo per la sua professionalità sempre dimostrata verso tutti e senza distinzione politica, dato per morente varie volte, ma sempre "resuscitato" puntualmente, gli propone di vendergli l'anima ("Se non credi all'anima vendimela. Se non ce l'hai davvero, vorrà dire che ci ho rimesso i soldi, ma se ce l'hai diventa mia"). Il Nero, pur pensando che non sia giusto vendere qualcosa che non ha, si lascia convincere. Ciò gli procurerà un serio problema psicologico che lo turberà per parecchio tempo, finché non interverrà don Camillo stracciando il contratto regolarmente stipulato per la vendita dell'anima e bruciando le banconote ricevute dal Nero (che voleva restituirle al dottore) come sacrileghe.
Don Camillo ha poi a che fare con Marchetti, un ex gerarca fascista del posto, tornato al paese a Carnevale travestito da indiano. Marchetti viene riconosciuto da Peppone che ben ricorda l'olio di ricino fattogli bere durante il ventennio. L'ex gerarca si rifugia in canonica, ma anche don Camillo aveva lo stesso tipo di conto in sospeso. Peppone viene infine costretto a bere l'olio di ricino che lui stesso ha comprato per vendicarsi dell'ex camicia nera, sotto la minaccia di un fucile che l'ex fascista ha strappato a don Camillo. Liberato Peppone, don Camillo rivela che il fucile era scarico, ha la meglio su Marchetti e lo costringe a bere a sua volta. Dopo che anche Marchetti se ne è andato, il Cristo impone a don Camillo di bere anche lui l'olio di ricino come penitenza per la violenza usata.
Negli stessi giorni don Camillo incontra il figlio di Peppone, svogliato a scuola e per questo messo in un collegio dal quale scappa sovente. Il parroco, su invito dello stesso Peppone, riesce a parlargli e alla fine convince il padre a riportarlo a scuola al paese, vista la sua scarsa attitudine allo studio. Proprio a scuola, in una lite con il figlio di Cagnola, il ragazzo viene ferito gravemente, ma riesce a guarire anche grazie alle preghiere del parroco. Il parroco e il sindaco nel frattempo sono impegnati in una "sfida" tra gli orologi del campanile e della casa del popolo: per evitare che uno dei due sia in ritardo rispetto all'altro, i due spostano continuamente in avanti le lancette dei rispettivi orologi, con il risultato che non si sa più che ora sia in paese.
A causa delle forti e prolungate piogge la tanto temuta alluvione arriva, ed è tremenda. Don Camillo resta sulla torre campanaria, che svetta sul paese completamente allagato, e da là manda un messaggio di conforto e di speranza alla popolazione sfollata.
Produzione
Soggetto
Il film è ispirato (spesso molto liberamente) ad alcuni racconti di Giovannino Guareschi della serie dedicata a Don Camillo e Peppone. Per la precisione, sono stati utilizzati i racconti Cinque più cinque (1947), Boxe (1947), In riserva (1947), Pugno dinamometro (1947), La lettera (1949), Triste domenica (1951), La campana (1951), Come pioveva (1951), La danza delle ore (1951), Ognuno al suo posto (1951), Via Crucis (1951), Credono di essersi ammazzati (1952), Il pellerossa (1952), Il pilone (1952), Vendita anima (1952) e Il ritorno di Don Camillo (1952).
Le riprese si svolsero dal 1º dicembre 1952 al 28 febbraio 1953.
Questo secondo film è quello per cui si è fatto meno ricorso agli esterni a Brescello, se si escludono le immagini di repertorio della disastrosa piena del Po; infatti le uniche scene girate in quel periodo a Brescello riguardano soltanto l'arrivo del treno alla Stazione di Brescello-Viadana ed alcune sequenze all'interno della chiesa parrocchiale del comune reggiano. Per il resto la pellicola è stata per lo più realizzata in interni a Cinecittà[1].
Le sequenze inerenti a Montenara sono state girate in realtà in Abruzzo, per la precisione a Rocca di Cambio; mentre le mura del collegio nel quale Don Camillo va a trovare il piccolo Beppo sono in realtà quelle di Fiano Romano. La scena in cui si vedono Don Camillo e il figlio di Peppone uscire dal collegio è invece girata in Piazza Campitelli in Roma. Infine, di particolare interesse scenografico è la scena in cui Don Camillo porta il figlio di Peppone a fare una gita in riva al torrente. In questa scena si può ammirare una vista unica e fantastica del famoso Ponte Sfondato, di Montopoli di Sabina, che non esiste più.
Nell'edizione francese, quando don Camillo prende il crocifisso (che era in sacrestia), si sente suonare l'orologio della casa del popolo che nell'edizione italiana è stato tolto e rimpiazzato con la frase "ma perché l'hanno messo in sacrestia poi?".
Nella versione francese la sequenza dell'ascesa di don Camillo a Montenara con il "suo" crocifisso sulle spalle è decisamente più lunga, e comprende alcune battute in più fra il sacerdote e il crocifisso.
Anche nella scena in cui Don Camillo va a trovare Beppo in collegio è presente (sempre nell'edizione francese) una breve sequenza in più in cui i due comprano alcune castagne da un venditore ambulante. Nella versione italiana il venditore "scompare", e si vedono soltanto il bambino e il sacerdote che stanno terminando di mangiare le castagne.
Nell'edizione francese, durante lo straripamento del Po, il dottor Spiletti si rifiuta di abbandonare la propria casa, arrivando addirittura a minacciare Peppone e i suoi stessi parenti (che tentano di convincerlo a mettersi in salvo) con un fucile. Solo l'intervento di don Camillo lo persuaderà a lasciare la sua dimora per rifugiarsi sul campanile della chiesa (nell'edizione italiana la sequenza non c'è e ritroviamo invece Spiletti già sulla torre a sorvegliare lo "stufatino" del parroco).
Accoglienza
Incassi
Il film incassò circa un miliardo di lire[3], risultando così il secondo maggiore incasso dell'anno, preceduto da Pane, amore e fantasia.
Nella scena durante il martedì grasso in paese, Peppone incrocia Marchetti (interpretato da Paolo Stoppa), il fascista che anni prima aveva fatto bere dell'olio di ricino a lui e a Don Camillo. Quando Marchetti si accorge di essere stato riconosciuto scappa a piedi. Sullo sfondo dell'inquadratura si può notare il manifesto del film del 1952 La regina di Saba, interpretato tra gli altri da Gino Cervi.
Ruggero Ruggeri, il doppiatore che prestava la voce al crocifisso, morì poco tempo dopo la realizzazione di questa pellicola.
Peppone (Gino Cervi) con un tovagliolo con il simbolocomunista in una scena, per la donazione dei fondi per riparare la campana caduta.
La maestrina (Lia Di Leo) in una scena, mentre dice a Peppone che Mario Cagnola è il figlio di Cagnola.
Francesco "Nero" Gallini (Alexandre Rignault) in una scena, dopo la visita dal dottore.
Note
^Come risulta da varie fonti e in particolare da una lettera scritta da Giovannino Guareschi, dal carcere di San Francesco dove era rinchiuso all'epoca, ad Angelo Rizzoli. Guareschi, riferendosi al film successivo, che si stava preparando (Don Camillo e l'onorevole Peppone) raccomanda a Rizzoli di non usare più «cartapesta romana» ma «esterni autentici brescellesi» (lettera riportata in Chi sogna nuovi gerani, Rizzoli, Milano 1993)
Alberto & Carlotta Guareschi, Chi sogna nuovi gerani? Giovannino Guareschi: Autobiografia (dalle sue carte, riordinate dai figli), RCS Libri, Rizzoli, Milano 1993
Ezio Aldoni, Gianfranco Miro Gori, Andrea Setti, Amici Nemici. Brescello, piccolo mondo di celluloide, Comune di Brescello, Brescello 2007.
Egidio Bandini, Giorgio Casamatti, Guido Conti (a cura di), Il Don Camillo mai visto, MUP, Parma 2007, ISBN 978-88-7847-022-4.
Egidio Bandini, Giorgio Casamatti, Guido Conti (a cura di), Le burrascose avventure di Giovannino Guareschi nel mondo del cinema, MUP, Parma 2008, ISBN 978-88-7847-195-5.