L'episodio più singolare riguarda però la collaborazione con Sergio Corbucci per Django. Il regista doveva partire il giorno dopo per girare in Almería ma, non convinto della sceneggiatura, chiese a Di Leo di dare un'occhiata. Di Leo revisionò la sceneggiatura in una intera nottata e consegnò il lavoro al regista all'aeroporto, in tempo per la partenza, ma il suo nome non venne citato nei titoli di testa del film.[3] Gli ultimi film da lui scritti però non diretti sono i poliziotteschiUomini si nasce poliziotti si muore di Ruggero Deodato e Liberi armati pericolosi di Romolo Guerrieri.
Le prime regie
Di Leo fece il suo debutto nella regia nel 1963, con il film a episodi Gli eroi di ieri... oggi... domani, dirigendo insieme a Enzo Dell'Aquila l'episodio Un posto in paradiso. Nel 1968 diresse il suo primo film da solo, Rose rosse per il führer. Attento osservatore della società italiana e dell'individuo, si fece conoscere definitivamente nel 1969 con Brucia ragazzo, brucia, film che creò uno scandalo per l'argomento trattato: la sessualità femminile.[1] Lo stesso anno diresse un altro film simile, Amarsi male, che tratta anche delle problematiche giovanili di quegli anni.
Dopo questa parentesi Di Leo tornò al noir con la famosa Trilogia del milieu, che iniziò con Milano calibro 9, interpretato da Gastone Moschin. Questo film influenzerà molto Quentin Tarantino.[1] La trilogia proseguì con La mala ordina, film meno cupo di Milano calibro 9 ma forse ancora più spietato.[1] Infine nel 1973 Di Leo diresse Il boss, ambientato a Palermo. Dei tre film questo è probabilmente il più cinico e senza speranza.[1]
Nel 1974 Di Leo diresse il suo unico poliziesco: Il poliziotto è marcio con protagonista Luc Merenda, che sin dal titolo dichiara la sua estraneità rispetto agli altri prodotti del genere, e mostra un poliziotto corrotto e cinico interpretato da Luc Merenda; per questo il film ebbe molti problemi, ed è rimasto introvabile per più di trent'anni.
Di Leo ha anche diretto alcuni film erotici. Il più famoso di questi è La seduzione, con una giovane Jenny Tamburi che seduce l'amante di sua madre. Avere vent'anni interpretato da Gloria Guida e Lilli Carati, ambientato in una delle ultime comuni hippy degli anni 1970, ebbe molti problemi con la censura per l'agghiacciante e violento finale, e conobbe due versioni. Con il passare degli anni Avere vent'anni è diventato un vero e proprio cult, tanto da meritarsi documentari e monografie.
Di Leo è stato anche uno scrittore. Ha scritto infatti i romanzi noir Da lunedì a lunedì (così si doveva intitolare Milano calibro 9), e Beati gli ultimi... se i primi crepano, nel quale Di Leo rimaneggia le sue sceneggiature di Colpo in canna e Uomini si nasce poliziotti si muore, unendole in un unico romanzo. Di Leo poi ha scritto i romanzi erotici Quello che volevano sapere due ragazze perbene, Le donne preferiscono le donne, Suite a due voci e Tra donne, suo ultimo romanzo. Ha pubblicato anche una raccolta di poesie, Le intenzioni: 1950-1960, per l'editore padovano Rebellato, ripubblicato da Edizioni Sabinae nel 2017.
Progetti incompiuti
Il regista avrebbe dovuto dirigere un film intitolato Bazooka, una sorta di Rambo italiano. Il film però non si realizzò.[1]
Altri progetti irrealizzati sono Il pederasta, storia di un omosessuale, che risale al 1972 e che sarebbe stato il primo film ad affrontare senza tabù il tema dell'omosessualità maschile. Dopo alcune proteste il titolo fu cambiato in Uno di quelli. Il cast comprendeva Barbara Bouchet, Gianni Macchia e Margaret Lee, ma un'improvvisa malattia di quest'ultima fece slittare le riprese. Di Leo in seguito riuscì a girare una scena a Fregene, ma subito dopo la produzione si ritirò per paura delle proteste.[1]
Un altro film mai realizzato da Di Leo fu Il dio Kurt, tratto dall'omonima opera teatrale dello scrittore Alberto Moravia. Il film, sceneggiato da Franco Arcalli, doveva narrare del mito di Edipo trasferito in un campo di concentramento nazista. Le riprese dovevano iniziare nel settembre 1973, a Trieste. Gli attori erano Henry Fonda e Charlotte Rampling, il budget era di un miliardo di lire. Ma i distributori, spaventati dal tema del film, bloccarono subito il progetto, e Di Leo non riuscì a girare neanche una scena.[1]