È un ex membro dei movimenti neo-fascistiAvanguardia Nazionale e Ordine Nuovo. In carcere dal 1979, sta scontando l'ergastolo per l'uccisione di tre carabinieri nella strage di Peteano del 1972. Le indagini di questo caso, per il quale erano stati incriminati sei cittadini goriziani innocenti, sono giunte a conclusione in seguito alla sua assunzione di responsabilità, nel 1984.
Il 31 maggio 1972, a Peteano (frazione di Sagrado, in provincia di Gorizia) una Fiat 500, abbandonata con due fori di proiettili, esplose provocando la morte dei carabinieri Donato Poveromo, di 33 anni, Franco Dongiovanni, di 23 anni, Antonio Ferraro, di 31 anni. Una telefonata anonima aveva avvisato i carabinieri dell'auto sospetta, lasciata in sosta in un luogo periferico e isolato. Nel tentativo di aprire il cofano, i carabinieri vennero investiti dall'esplosione e restarono uccisi[1].
Il tentato dirottamento di Ronchi dei Legionari
Il 6 ottobre 1972 Ivano Boccaccio, appartenente al gruppo di Ordine nuovo di Udine tentò all'aeroporto di Ronchi dei Legionari il dirottamento di un Fokker 27 diretto a Bari, chiedendo un riscatto di duecento milioni di lire. Liberò i sette passeggeri in cambio di un rifornimento di carburante[2] ma, rimasto solo in seguito alla fuga dall'aereo dell'equipaggio, fu ucciso nell'attacco condotto dalla polizia[3]. Nel 1975 Vinciguerra e Carlo Cicuttini furono inquisiti e processati per il tentativo di dirottamento: vennero assolti in primo grado, ma condannati in appello nel 1976.
L'espatrio
In vista dell'arresto per l'episodio di Ronchi dei Legionari, nell'aprile del 1974 Vinciguerra espatriò nella Spagnafranchista, dove erano operative le basi della rete anticomunista internazionale nota come Aginter Press, guidata da Yves Guérin-Sérac [4].
In Spagna, Vinciguerra conobbe Stefano Delle Chiaie e, convintosi dell'esistenza di una collusione tra Ordine nuovo e gli apparati militari e di intelligence italiani, decise di concludere la sua militanza nell'organizzazione e di aderire ad Avanguardia Nazionale. Nel giugno del 1977 si spostò nel Cile di Pinochet[5]; successivamente, nell'aprile del 1978, si trasferì in Argentina[6].
Il rientro e la costituzione
Nel febbraio del 1979 rientrò a Roma e pose fine anche alla militanza in Avanguardia nazionale. A settembre dello stesso anno, ritenendo che fossero venute meno le condizioni per continuare la lotta contro lo Stato nei metodi fino ad allora adottati, si costituì spontaneamente[7].
Il processo
Nel 1984 decise di assumersi la responsabilità dell'attentato di Peteano, non perché pentito, ma perché determinato a rendere pubblici i rapporti tra l'estrema destra e gli apparati dello Stato, che si erano attivati per coprire la matrice fascista dell'attacco.
Alla base della sua decisione, non c'era quindi un ravvedimento, ma una scelta politica e ideologica:
«L’imputato (...) non ha inteso rendere una confessione che sia riconoscimento di condotte illecite, ma ha inteso assumersi una responsabilità nel quadro di una ricostruzione storica di avvenimenti che lo vedono tuttora convinto del valore del suo disegno politico all’interno del quale trovano giustificazione i singoli episodi delittuosi contestatigli. La sua figura di soldato politico non è mai venuta meno e mantiene intatta la sua posizione offensiva nei confronti dello Stato democratico[8]»
Autoaccusandosi, Vinciguerra incolpò quei settori dello Stato che lo avevano protetto depistando le indagini sull'attentato. La sua posizione non fu quella del pentito né del collaboratore di giustizia:
«Una posizione indubbiamente singolare quella di Vincenzo Vinciguerra che a un certo momento decide di rendere determinate dichiarazioni sul retroterra di certi fenomeni eversivi guidato dall’intento di chiarire le ragioni della loro determinazione e del loro sviluppo più che riferire sulla realizzazione storica di singoli accadimenti dal punto di vista giudiziario. Dirà anche di questi ultimi, e con concretezza di particolari, nei limiti in cui coinvolge se stesso in determinati attentati, compresa la strage di Peteano, e quelle persone "che in base alle mie conoscenze e ai miei giudizi sono stabilmente inserite in apparati dello Stato, e ripeto che non faccio nomi invece delle persone a me ideologicamente affini e che comunque hanno agito in buona fede"[9]»
Durante il processo, lo scontro con il giudice Felice Casson fu durissimo. Quest'ultimo cercò di dimostrare che l'esplosivo C-4 (il più potente esplosivo disponibile al momento) usato nell'attentato del 1972 provenisse dal deposito di armi di Gladio, nascosto nel sottosuolo di un cimitero vicino a Verona, la cui esistenza venne rivelata ai giudici Casson e Mastelloni da Giulio Andreotti, ex Presidente del Consiglio.
Nel corso delle indagini il giudice Casson accertò che Marco Morin, perito balistico presso la Procura di Venezia, che aveva avuto l'incarico di analizzare l'esplosivo ritrovato a Peteano, compariva nell'elenco contenente i nomi dei soggetti che erano stati presi in esame per entrare a far parte di Gladio, senza essere poi reclutati; inoltre Morin era risultato in contatto con due militanti veneti di Ordine Nuovo, nella cui disponibilità era stato scoperto un vero e proprio arsenale di armi da guerra. Da una informativa del centro Sismi di Verona, risultava anche che Morin era stato in contatto con un funzionario del centro Sid di Padova, per ragioni che non venivano specificate. Morin, sulla base delle analisi svolte, era giunto alla conclusione che, nella strage di Peteano, era stato utilizzato del Semtex-H, un esplosivo militare di matrice cecoslovacca che sarebbe stato anche nella disponibilità delle Brigate Rosse. Casson, non convinto di una simile perizia, dal momento che Vinciguerra ne aveva sempre negato l'uso, appurò che il Semtex c'era solo perché qualcuno lo aveva posto in modo fraudolento fra i reperti, al fine di depistare.
Le indagini, oltre a scoprire il grave depistaggio, provarono anche che Morin millantava specializzazioni e lauree che non aveva mai conseguito. In base a successivi riscontri, Casson portò avanti la tesi giudiziaria secondo la quale l’esplosivo utilizzato per la strage di Peteano sarebbe stato prelevato dal deposito di armi clandestino di Aurisina, appartenente a Gladio; tesi non condivisa dal giudice Guido Salvini secondo il quale non vi erano prove certe che l’esplosivo utilizzato a Peteano provenisse dal Nasco di Aurisina[10].
Una versione dei fatti che trova d'accordo lo storico Daniele Ganser:
«L'organizzazione di destra Ordine Nuovo – secondo l'inchiesta di Casson – aveva avuto stretti rapporti di collaborazione con il servizio segreto militare, il Servizio Informazioni Difesa (SID). Il giudice identificò in Vincenzo Vinciguerra, un membro di Ordine Nuovo, l'uomo che aveva collocato la bomba di Peteano. Anni dopo il crimine, Vinciguerra si costituì e fu arrestato. Confessò e testimoniò di essere stato aiutato e coperto da un'estesa rete di simpatizzanti in Italia e all'estero. [...] "Un complesso meccanismo si era messo in moto", ricordava Vinciguerra, "e questo comprendeva i carabinieri, il ministro dell'Interno, la polizia di frontiera e i servizi di intelligence civile e militare, che accettavano tutti il ragionamento ideologico che stava dietro all'attentato"[11]»
Sempre secondo Daniele Ganser, Gladio avrebbe sospeso la protezione di Vinciguerra quando questi iniziò a confessare.[senza fonte]
Il tentativo di Casson di collegare Vinciguerra a Gladio e l'attentato di Peteano al Nasco di Aursina fu tuttavia fallimentare, perché emerse con tutta evidenza che l'azione rappresentava un attacco – ideologicamente motivato – contro lo Stato. Lo stesso giudice Guido Salvini, titolare dell'inchiesta sulla strage di piazza Fontana, lo scrisse chiaramente nella sua sentenza-ordinanza:
«L'attendibilità di Vincenzo VINCIGUERRA risulta decisamente avvalorata dal venir meno, con le indagini di questi ultimi anni, dell'ipotesi prospettata dal G.i. di Venezia, dr. Casson, secondo cui l'attentato di Peteano sarebbe stato in qualche modo connesso, forse sotto il profilo dell'esplosivo utilizzato, al deposito NASCO di Aurisina dell'organizzazione GLADIO e lo stesso VINCIGUERRA, lungi dall'essere un nazional-rìvoluzionario puro e coerente, sarebbe stato legato a GLADIO o, come altri ordinovisti, a qualche altro apparato istituzionale e di conseguenza l'attentato da lui commesso non sarebbe stato un gesto di attacco diretto contro lo Stato, unico in tale settore e quasi parallelo alle azioni delle Brigate Rosse, ma parte, sin dall'origine, della strategia della tensione e delle sue oscure connivenze (cfr. ordinanza del G.l. di Venezia in data 24.2.1989 nel procedimento Peteano-ter, ff.9 e ss., vol.27, fasc.2).
Mai una ricostruzione così infondata, sfornita non solo di qualsiasi elemento di prova, ma anche di qualsiasi dato indiziario, è stata così cara al mondo dei massmedia, soprattutto all'inizio degli anni '90, all'emergere del "caso GLADIO", tanto da essere ancora oggi riportata meccanicamente ogniqualvolta, nell'ambito di commenti ricostruttivi, viene rievocato l'attentato di Peteano.[12]»
Il giudice Salvini ha tuttavia confermato l'appartenenza di questo attentato alla strategia della tensione, pur nella sua peculiarità:
«La specificità dell'episodio discende dal fatto che si è trattato, come ampiamente narrato da Vinciguerra che ne è stato il principale esecutore, un attentato di rottura volto cioè a colpire direttamente militari (e quindi lo Stato) con la finalità di interrompere il rapporto di «cobelligeranza» che si era instaurato tra i gruppi di estrema destra e parte degli apparati statali nell'ottica di una soluzione golpistico-reazionaria, e non rivoluzionaria e anti-atlantica com'era invece nell'ideologia di Vinciguerra. L'attentato di Peteano diventa tuttavia parte integrante di quella strategia della tensione che ha visto protagonisti apparati dello Stato nel momento in cui, subito dopo la sua consumazione, alti comandi dell'Arma dei carabinieri deviano le indagini su false piste, inizialmente su elementi della piccola malavita locale e poi su Lotta continua[13].»
Le affermazioni di Vinciguerra trovarono invece puntuale riscontro. Per i depistaggi miranti a nascondere la matrice fascista dell'attentato vennero condannati in primo grado un generale e due colonnelli dei carabinieri, un perito balistico e due ufficiali dei servizi segreti[14].
La condanna
Al termine del processo, Vinciguerra venne condannato all'ergastolo perché riconosciuto come il responsabile dell'attentato. Rinunciò al ricorso in appello, dimostrando che le sue deposizioni non erano motivate dal desiderio di ottenere vantaggi personali.
Irriducibile, sostenne di essere un "soldato politico"[15]. Affermò, intervistato da Sergio Zavoli per La notte della Repubblica, di voler scontare interamente la pena come mezzo di protesta[15], di non essere pentito (è tuttora detenuto nel carcere di Opera), e di voler mostrare il suo disprezzo per le parti in causa[15] (da lui reputate pesantemente in combutta con la CIA nell'Operazione Gladio) cioè per lo Stato democratico e per l'estrema destra italiana (egli si definisce "fascista" e non "neofascista", completamente estraneo alla destra e contestualmente più prossimo a sinistra[16] e sconfessa qualsiasi ascendente ideale proveniente da Julius Evola[17]). Ha fornito numerose testimonianze spontanee, spesso controverse, scritto volumi e pubblicato numerosissimi articoli su siti web[18].
Nel 2000 ha pubblicato Camerati, addio, con le Edizioni di Avanguardia.
Testimonianze
Negli anni successivi alla condanna, Vinciguerra cominciò a rendere pubblici numerosi particolari di sua conoscenza relativi agli anni di piombo e alla strategia della tensione. Per le sue affermazioni rese di fronte ai giudici non ha mai chiesto sconti di pena, per sottolineare la differenza tra la sua scelta di "soldato politico", interessato unicamente a far emergere la verità storica, e l'attività dei pentiti e dei collaboratori di giustizia.
Su Gladio
Nelle dichiarazioni riportate nella sentenza della Corte di Assise di Venezia, il 25 luglio 1987, durante il processo relativo alla strage di Peteano, Vinciguerra ha reso alcune dichiarazioni circa Gladio, la rete Stay-behind operante in Italia:
«Fin dal dopoguerra sarebbe stata costituita una struttura parallela ai servizi di sicurezza e che dipendeva dall'Alleanza atlantica; i vertici politici e militari italiani ne erano perfettamente a conoscenza. Si trattava di una struttura attrezzata anche sul piano operativo ad interventi di sabotaggio nel caso si verificasse un'invasione sovietica. Il personale veniva selezionato e reclutato negli ambienti di estrema destra. Quindi la strategia della tensione che ha colpito l'Italia, e mi riferisco a tutti gli episodi che partono dal 1969 e anche prima, è dovuta all'esistenza della struttura occulta di cui ho detto e agli uomini che vi appartenevano e che sono stati utilizzati anche per fini interni da forze nazionali ed internazionali. Per forze internazionali intendo principalmente gli Stati Uniti d'America[19]»
Sulla strage di Bologna del 1980
Nel 1984, a domanda dei giudici circa la strage alla stazione di Bologna, Vinciguerra disse:[senza fonte]
«Con la strage di Peteano, e con tutte quelle che sono seguite, la conoscenza dei fatti potrebbe far risultare chiaro che esisteva una reale viva struttura, segreta, con le capacità di dare una direzione agli scandali... menzogne dentro gli stessi stati... esisteva in Italia una struttura parallela alle forze armate, composta da civili e militari, con una funzione anti-comunista che era organizzare una resistenza sul suolo italiano contro l'esercito russo... una organizzazione segreta, una sovra-organizzazione con un rete di comunicazioni, armi ed esplosivi, ed uomini addestrati all'utilizzo delle stesse... una sovra-organizzazione, la quale mancando una invasione militare sovietica, assunse il compito, per conto della NATO, di prevenire una deriva a sinistra della nazione. Questo hanno fatto, con l'assistenza di ufficiali dei servizi segreti e di forze politiche e militari»
Il 16 ottobre 2019 nel processo per strage di Bologna del 2 agosto 1980 il Vinciguerra dichiara che la strage di Bologna è servita per distogliere l'attenzione dalla strage di Ustica (DC9 Itavia), strage che infatti dopo il 3 agosto scomparve dai media.
«La linea terroristica veniva eseguita da infiltrati, da persone all'interno degli apparati di sicurezza dello Stato, o collegate agli apparati di stato attraverso rapporti o collaborazioni. Dico che ogni singolo scandalo a partire dal 1969 ben si adattava in una matrice organizzata... Avanguardia Nazionale, come Ordine Nuovo (il più importante gruppo estremistico di estrema destra attivo negli anni settanta), erano pronti ad essere mobilitati in una battaglia come parte di una strategia anticomunista originata non con organizzazioni deviate dalle istituzioni di potere, ma dall'interno dello stato stesso, e specificatamente dall'interno dell'ambito delle relazioni di stato con l'Alleanza Atlantica»
Sull'assassinio del generale Cileno Carlos Prats nel 1974
Sempre secondo Vinciguerra, anche l'attentato di Piazza Fontana del 1969 era stato pianificato per spingere l'allora presidente del Consiglio Mariano Rumor a dichiarare lo stato di emergenza[22].
In relazione al delitto Pecorelli, il cui processo si era chiuso nel 2003 con un'assoluzione per tutti gli imputati sia mandanti che presunti esecutori, nel marzo 2019 la Procura della Repubblica di Roma ha disposto la riapertura delle indagini sul delitto accogliendo le richieste della sorella di Pecorelli e sulla base di una Beretta 765 – sequestrata nel 1995 a Monza e di proprietà di Domenico Magnetta, membro di Avanguardia Nazionale – dalla quale potrebbero essere partiti i proiettili di marca Gevelot. Infatti l'ex terrorista nero Vinciguerra in un'intervista aveva raccontato di aver saputo che l'arma tenuta nel suo deposito da Magnetta era la stessa usata per uccidere il giornalista. La giornalista Raffaella Fanelli peraltro aveva saputo della Beretta venendo in possesso di un verbale contenuto in una cartella del sequestro Moro[23]. A dicembre si verrà a sapere però che l'arma sarebbe stata distrutta nel 2013 come riportato in un verbale recuperato a Milano[24]. Secondo la giornalista Raffaella Fanelli non esiste il verbale che attesti la distruzione dell'arma.[25]
Il giudizio degli storici
L'azione giudiziaria e di approfondimento storico che Vinciguerra ha sviluppato, non solo nelle aule di giustizia, ma con una lunga e articolata serie di contributi, interventi e studi, ha ovviamente suscitato numerose polemiche e giudizi contrastanti.
Per tale ragione, assume un notevole rilievo quanto scritto dallo storico Aldo Giannuli, consulente in molte indagini sulla strategia della tensione italiana, nel suo libro La strategia della tensione (Ponte alle Grazie, Firenze, 2018): documenti alla mano, Giannuli dimostra infatti nel suo testo che quella di Vinciguerra è la sola interpretazione che abbia costantemente retto al confronto con tutti i dati e le evidenze fattuali che sono emerse nel lungo corso di trent’anni di indagini e di studi. Giannuli si esprime in questi termini:
«Vinciguerra e i suoi erano fascisti di sinistra, assertori della vocazione sociale del fascismo, pertanto si collocavano su posizioni di rivoluzione nazionale ugualmente contrapposta tanto al comunismo che al capitalismo e, di riflesso, tanto al Patto di Varsavia quanto alla NATO».
(…) A valorizzare il suo apporto dalla ricostruzione di quegli anni è stato per primo [il giudice] Guido Salvini, ma va detto che dopo, tanto la Commissione stragi, quanto altre autorità giudiziarie e la produzione specialistica in materia hanno abbondantemente attinto ai suoi scritti o verbali. Oggi si può dire che non sia possibile fare una storia della strategia della tensione in Italia prescindendo dal contributo di Vinciguerra[26].»
Opere
Vincenzo Vinciguerra, Ergastolo per la libertà. Verso la verità sulla strategia della tensione, Arnaud, Firenze, 1989.
Vincenzo Vinciguerra, La strategia del depistaggio, Edizioni Il Fenicottero, Sasso Marconi, 1993.
Vincenzo Vinciguerra, Camerati, addio. Storia di un inganno, in cinquant'anni di egemonia statunitense in Italia, Edizioni di Avanguardia, Trapani, 2000.
Vincenzo Vinciguerra, Stato d'emergenza. Raccolta di scritti sulla strage di piazza Fontana, lulu.com, 2014.
Vincenzo Vinciguerra, Storia cronologica del conflitto medio mediorientale, Youcanprint, Saggistica, 2015, ISBN 9788891187055.
Vincenzo Vinciguerra, Il tradimento degli Anarchici, scaricabile da I Volti di Giano, 2020.
Note
^Sentenza Corte d'assise di Venezia n.2/86 p. 320-324.
^Sentenza Corte d'assise di Appello di Trieste n.16/75 p. 3-4.
^Patricia Mayorga, "Il conor nero. L'internazionale fascista e i rapporti segreti con il regime di Pinochet", Sperling & Kupfer, Milano, 2003, pp.44-45.
^Vincenzo Vinciguerra, Ergastolo per la libertà, Arnaud, Firenze 1989, pp. 26-28.
^Vincenzo Vinciguerra, Ergastolo per la libertà, cit., pp. 35-49.
^Vinciguerra così spiega le motivazioni di questa decisione: "Non si può fare la latitanza senza denaro. Non si può fare la latitanza senza appoggi. Potevo scegliere la strada che hanno seguito altri, di trovare altri appoggi, magari in Argentina presso i servizi segreti. Diventare cittadino argentino collaborando coi servizi segreti argentini. Potevo anche scegliere la strada della malavita. Però non sono portato né a fare il collaboratore dei servizi segreti, né a fare il delinquente. Quindi per ritrovare la mia libertà avevo soltanto una scelta. Che era quella di costituirmi. E questo ho fatto." Intervista a Vincenzo Vinciguerra, 8 luglio 2000, di Gigi Marcucci e Paola Minoliti
^Sentenza di condanna emessa il 25 luglio 1987 dalla Corte d'Assise di Venezia, p. 896
^Sentenza di condanna emessa il 25 luglio 1987 dalla Corte d'Assise di Venezia, p. 768
^Giacomo Pacini, Le altre Gladio, Einaudi, Torino, 2014
^Daniele Ganser, Gli eserciti segreti della NATO. Operazione Gladio e terrorismo nell'Europa occidentale, Franck Cass, Londra, 2005, p. 10.
^sentenza-ordinanza Ufficiio Istruzione, sez. 20, Tribunale
Civile e penale di Milano, procedimento penale nei confronti di Rognoni Giancarlo e altri, Giudice Istruttore Guido Salvini, 3 febbraio 1998, pag. 206
«Non avremmo mai dovuti essere chiamati a definirci di destra e di sinistra, perché il fascismo era andato oltre. Ma se dobbiamo adottare il linguaggio corrente, siamo a sinistra, mai a destra.»
«Evola non è mai stato fascista, non ha mai aderito alla RSI e ha sempre ostentato disprezzo verso le idee sociali del fascismo da lui ritenute plebee e simili a quelle comuniste. Non si può essere evoliani e fascisti, così come non si può essere "nazisti" e, contestualmente, collaboratori dello Stato maggiore dell'Esercito nato dalla Resistenza.»
^Paolo Cucchiarelli, Aldo Giannuli, Lo Stato parallelo, Roma, 1997.
^Ed Vuillamy, Secret agents, freemasons, fascists... and a top-level campaign of political 'destabilisation' , da The Guardian, 5 dicembre 1990, p. 12.
Daniele Ganser, «Terrorismo nell'Europa occidentale: un approccio agli eserciti segreti della NATO Stay-Behind», in Whitehead Journal of Diplomacy and International Relations, inverno/primavera 2005
Human settlement in EnglandHallowHallow post officeHallowLocation within WorcestershirePopulation1,173 (2001 census)[1]OS grid referenceSO8257Civil parishHallowDistrictMalvern HillsShire countyWorcestershireRegionWest MidlandsCountryEnglandSovereign stateUnited KingdomPost townWORCESTERPostcode districtWR2Dialling code01905PoliceWest MerciaFireHereford and WorcesterAmbulanceWest Midlands UK ParliamentWest WorcestershireWebsiteWelcome to Hallow P...
Координати: 50°27′33″ пн. ш. 30°31′32″ сх. д. / 50.45917° пн. ш. 30.52556° сх. д. / 50.45917; 30.52556 Поштова площа Київський метрополітенОболонсько-Теремківська лінія Загальні даніТип колонна трипрогінна мілкого закладенняПроєктна назва Річкови́й вокза́лПла
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