Laureatosi in giurisprudenza nel dopoguerra, diventa amministratore delegato della Ducati. Introdotto dal cardinale di Bologna, Giacomo Lercaro, negli ambienti vaticani (tanto che, nel 1963 gli viene concessa la dignità onorifica di gentiluomo di sua santità da papa Paolo VI, ma che verrà poi revocata nel 1983), si costruisce sulle amicizie ecclesiastiche e sulle relazioni con il mondo della politica e dell'industria, un solido trampolino di lancio, preferendo, però, rimanere sempre nell'ombra (egli si definiva un "signor Nessuno"[3]).
Il 15 settembre 1979, con Regie Lettere Patenti, ottenne da Umberto II di Savoia la concessione del titolo di conte, trasmissibile ai maschi primogeniti[6], e lo stemma descritto nei seguenti termini araldici "di rosso, al monte al naturale, fondato su una campagna di verde, alla figura di S. Michele Arcangelo. Motto: sì sì no no"[7].
Il suo impero finanziario è soprattutto all'estero: nel settembre del 1983, quando la Guardia di Finanza lo blocca in Brasile, amministra una banca (la "Bafisud", Banco Financiero Sudamericano), possiede una trentina di grandi aziende agricole in Uruguay, una casa editrice, tre grattacieli e migliaia di ettari coltivati in Argentina, Paraguay e Brasile. Accusato di essere stato al centro degli intrighi finanziari della loggia P2 (dal "caso Rizzoli" alla bancarotta fraudolenta per il "crac del Banco Ambrosiano"), Ortolani si rende latitante, inseguito da due mandati di cattura internazionali.
Viene anche accusato — ma poi sarà prosciolto — per il coinvolgimento nella strage di Bologna. Rifugiatosi a San Paolo, il Brasile si è sempre rifiutato di arrestarlo perché, dal 1978 aveva preso la cittadinanza brasiliana. Il 21 giugno 1989 Ortolani rientra in Italia; arrivato all'aeroporto di Malpensa, la Guardia di Finanza gli notifica due mandati di cattura per bancarotta fraudolenta; viene rinchiuso nel carcere milanese di Opera ma, pagando una cauzione di 600 milioni di lire, dopo una settimana è di nuovo libero. Il 28 gennaio 1994 viene condannato a quattro anni di reclusione per concorso in bancarotta nell'ambito della gestione della Rizzoli, di cui era stato consigliere di amministrazione.
Nel 1996, nel processo a carico della loggia P2, viene assolto dall'accusa di cospirazione politica contro i poteri dello Stato. Nell'aprile 1998 la Corte Suprema di Cassazione conferma e rende definitiva la condanna a 12 anni per il crac del Banco Ambrosiano. Ortolani, che viveva a Roma, non tornò in carcere a causa delle sue cattive condizioni di salute. Il tribunale di sorveglianza di Roma sospende, infatti, l'esecuzione della pena a causa della sua malattia. Ortolani muore a Roma il 17 gennaio 2002.
Massone[1], nel febbraio del 2020 la procura generale di Bologna lo ha indicato come uno dei 4 mandanti, organizzatori o finanziatori[4] della strage di Bologna, nel corso di una indagine da cui scaturisce il processo che giunge a sentenza il 6 aprile 2022[8] in cui viene contestualizzato il ruolo di Umberto Ortolani, Licio Gelli, Federico Umberto D'Amato e Mario Tedeschi, identificati come ispiratori politici, mandanti, finanziatori e organizzatori della strage, non processabili perché deceduti[9].
^Rossend Domènech Matilló, Marcinkus. L'Avventura delle Finanze Vaticane, Tullio Pironti Editore, tr. it. Jordi Minguell e Luciana Zigiotti, serie "Testimonianze", Tipo-lito SAGRAF, Napoli febbraio 1988, 1ª edizione, p. 99. Citazione: "Gentiluomo di Sua Santità dal 1963, era poi diventato cavaliere del sovrano ordine militare di Malta, un'istituzione un po' esotica ma molto potente. Con l'incarico di ambasciatore di quest'ordine, nel 1969 andò Montevideo, capitale dell'Uruguay".