Pare che il Goritz ebbe modo di parlare con Michelangelo del prezzo pagato per l'affresco di Raffaello, da lui giudicato esorbitante. Il Buonarroti allora, dimostrando di aver apprezzato l'omaggio del Sanzio, avrebbe risposto che «Solo il ginocchio vale il suo prezzo». Le gambe di Isaia sembrano per altro riecheggiate nel Mosè, che il Buonarroti avviò circa un anno dopo.
L'affresco subì sorti alterne. Il Celio (Pitture... in Roma, 1638) ricorda come un sagrestano lo "lavò" rendendo necessario un restauro di Daniele da Volterra. Con l'ultimo restauro del 1960 si sono asportate antiche ridipinture a olio e rielaborazioni a tempera e acquarello del XIX secolo.
L'opera si trova sul terzo pilastro sinistro della navata maggiore. Isaia è raffigurato in trono fra due putti che reggono una targa sulla sua testa e un festone. In essa si legge la dedica in greco: "A sant'Anna, madre della Vergine, alla santa Vergine, madre di Dio, a Gesù Salvatore, Giovanni Goritius". Davanti all'affresco raffaellesco era infatti prevista la collocazione del gruppo scultoreo con Sant'Anna, la Vergine e il Bambino di Andrea Sansovino: sant'Anna era infatti la protettrice del committente.
Sulla pergamena srotolata dal profeta si legge invece in caratteri ebraici un passo dal Libro di Isaia: "Aprite le porte onde il popolo che crede entri" (XXVI, 2).
L'opera è la più michelangiolesca di Raffaello, affine soprattutto all'imponente figura del Profeta Ezechiele della Cappella Sistina, pare un esercizio nello stile del collega, all'insegna dell'indagine dei suoi principi compositivi.
Un vento spirituale gonfia il panneggio del profeta, che si volge verso sinistra torcendo il busto, mentre con un gesto solenne tende un braccio scoperto per stendere la pergamena, rivolta a destra. Le gambe sono scorciate in avanti, con una muscolatura possente e carica di energia trattenuta. I panneggi in colori accesi e cangianti, con la tunica blu e il manto giallo dorato sulla gamba e le spalle, oltre al velo rossastro sulla testa, accentuano gli effetti plastici. Per accentuare il contrasto invece, lo scranno marmoreo su cui il profeta siede è appena accennato e piatto, puramente disegnativo. Rispetto al modello michelangiolesco però l'opera di Raffaello mantiene comunque una misura composta, soprattutto nel volto tutto sommato giovane e dolce, un po' vacuo e malinconico, del profeta.
Bibliografia
Pierluigi De Vecchi, Raffaello, Rizzoli, Milano 1975.