Il passaggio degli Appennini di Annibale, avvenuto nella primavera del 217 a.C., rappresentò l'avanzata cartaginese durante il secondo anno di guerra contro i Romani. Il condottiero cartaginese, dopo aver ripetutamente sconfitto gli eserciti romani al Ticino[1] e alla Trebbia,[2] ed aver trascorso l'inverno nei territori dei Galli Boi,[3] riuscì a passare gli Appennini e scendere nell'Italia romana al secondo tentativo.
Le battaglie del Ticino e della Trebbia erano appena terminate con una netta vittoria della cavalleria cartaginese ed il ferimento del console Publio Cornelio Scipione nella prima,[4] oltre ad una netta sconfitta dell'esercito di Sempronio Longo nella seconda, dove l'esercito romano fu in gran parte distrutto sul campo.[2]
La fortezza-dispensa di Clastidium, dove i Romani tenevano grandi riserve di viveri, in particolare di grano, era inoltre caduta nelle mani di Annibale. Tito Livio, lo storico del I secolo attribuisce al prefetto del presidio, il brindisino Dasio, la cessione della cittadina per la somma, nemmeno eccezionale, di quattrocento nummi aurei.[5]
Dei resti dell'esercito romano dopo la battaglia della Trebbia, una parte fu sterminata nei pressi del fiume stesso dai cavalieri e dagli elefanti di Annibale, mentre indugiava a ripassare il corso del fiume gelido.[6] La cavalleria e parte della fanteria romana era riuscita a ritornare all'accampamento[7] e, visto che le forze cartaginesi non riuscivano a passare il fiume per la stanchezza, irrigiditi dal freddo, oltreché dal disordine, a far ritorno a Piacenza guidate da Publio Cornelio. Una parte dei Romani, infine, si spostò nella vicina colonia romana di Cremona, per non gravare con tutto l'esercito sulle risorse di una sola colonia.[8]
La battaglia della Trebbia era terminata con un evidente successo di Annibale. Le forze cartaginesi si erano ormai appostate nella Val Padana occidentale. Pochi erano stati i caduti tra Iberi e Libici, molti di più tra i Celti.[9] Livio aggiunge che la pioggia mista a neve e il gelo fecero molte vittime tra i Cartaginesi, facendone le spese quasi tutti gli elefanti.[10] La verità è che:
(Livio, XXI, 57.1.)
Neppure la permanenza nei quartieri d'inverno fu tranquilla per i Romani, in quanto la cavalleria numida continuava a compiere incursioni ovunque, e quando i luoghi erano poco adatti per queste scorrerie, intervenivano anche le truppe dei Celtiberi e dei Lusitani. Risultava infatti difficile approvvigionarsi per le truppe romane se non attraverso il trasporto lungo corso del fiume Po.[11] Vi fu infatti un primo scontro di minore importanza nei pressi di Piacenza che vide i Romani vittoriosi e Annibale allontanarsi, ferito in combattimento, «circostanza che generò sgomento nell'animo dei Cartaginesi». In seguito a questo scontro il deposito venne ulteriormente fortificato e difeso.[12]
Annibale dopo essersi riposato per alcuni giorni, quando si rimise dalla ferita, continuò il suo cammino in direzione della località di Victumulae,[13] dove si trovava un deposito romano fin dai tempi della guerra gallica degli anni 225-222 a.C. Egli riuscì dopo uno scontro con la popolazione di questa località ad occupare la cittadina.[14]
Tito Livio racconta che ai primi segni del sopraggiungere della primavera, Annibale uscì dai quartieri d'inverno (hiberna), che aveva posto nei pressi del fiume Trebbia, e cercò di condurre l'esercito cartaginese verso l'Etruria, con l'intenzione di farsi alleate anche queste popolazioni come aveva fatto con i Galli della Cisalpina e i Liguri.[15]
E mentre stava attraversando l'Appennino fu colto da una tempesta così violenta da superare quelle sopportate lungo il passaggio delle Alpi. La pioggia mista a raffiche di vento costrinse l'esercito in marcia a fermarsi ed a porre i loro accampamenti malgrado la grande difficoltà. Il forte vento, la grandine prima, il nevischio poi, ed infine un freddo assai intenso, procurarono molte perdite tra soldati e animali, tra i quali anche sette elefanti, scampati alla battaglia della Trebbia.[16]
Fu così che Annibale decise di desistere dal passaggio degli Appennini e fece ritorno nei pressi di Piacenza e, dopo essersi avanzato per circa 10 miglia (15 km) oltre la città, qui vi pose l'accampamento. Il giorno seguente condusse contro i Romani che erano accampati con il console Tiberio Sempronio Longo (console 218 a.C.) nei pressi della città, parte del suo esercito, scatenando una nuova battaglia.[17]