L'origine del nome è incerta: si narra che il console Gaio Claudio Nerone nella battaglia del Metauro contro i cartaginesi di Asdrubale Barca inseguì i Galli fino alla vetta della montagna, da cui il nome. Un'altra leggenda vuole che un certo Domizio Nerone si ritirò nelle grotte del monte per paura della vendetta di Giove che aveva minacciato di ucciderlo con un fulmine. Un giorno di sole si spinse sui prati e apparì una nuvola, dalla quale Giove scagliò il fulmine uccidendolo. A parte la leggenda, probabilmente il nome Nerone è dato dal aspetto del monte, spesso con la vetta coperta di nere nubi.
Alcune storici fanno risalire la proprietà del monte alla Nobile Famiglia Negroni di Urbino, i quali ne persero il possesso per una cessione poco chiara alla Chiesa cattolica.
Storia
I primi insediamenti di cui rimangono testimonianze vengono dal tardo neolitico (VI secolo a.C.), grazie ai ritrovamenti di sepolcreti e oggetti di uso domestico. Anche se i recenti scavi archeologici dell'Università della Tuscia, condotti presso la grotta delle Nottole, presso Fondarca nel comune di Pieia, hanno riscontrato una frequentazione in grotta già fra il 2300 e il 1200 a.C. quindi dall'età del Bronzo Antico fino a quella del Bronzo Recente, rendendo di fatto questa la più antica frequentazione da parte dell'uomo sul Monte Nerone[2].
A seguire le popolazioni italiche, gli Umbri, i Piceni, gli Etruschi, hanno lasciato la loro impronta come testimoniano i nomi dei luoghi circostanti. Un ritrovamento durante dei lavori, di una statuetta nera raffigurante Marte, conferma l'esistenza di un Loca sacra, un tempio a lui dedicato.
Il popolo romano ha anch'esso segnato il territorio: sono infatti emersi negli insediamenti a valle (come a Piobbico) tracce di pavimentazioni, così come delle condutture in piombo. Dall'ottavo secolo iniziarono a prendere piede i monasteri, con benedettini, camaldolesi, e luoghi di ritiro pure femminili. A seguire dopo il mille il potere passa alle famiglie signorili, che iniziano ad erigere fortilizi, castelli, torri, ancora oggi visibili, nei paesi sottostanti e sulle pendici della montagna.
Ambiente
Geologia
È un massiccio calcareo, con una significativa varietà di paesaggi; doline, forre, pareti verticali e splendide formazioni carsiche, sia ipogee che superficiali. Tutta l'area del Nerone è riconosciuta in ambito nazionale e internazionale di grande rilevanza geologica. Sui suoi versanti affiorano rocce calcaree, stratificate, di origine marina risalenti al Giurassico. Nel luogo vengono svolte indagini paleontologiche e stratigrafiche da parte di varie università del Centro Italia.
La montagna ha restituito molti fossili di animali estinti; tra questi gli ammoniti del Giurassico superiore, di cui alcuni caratteristici del luogo, ad esempio, i generi Simospiticeras e Hybopeltoceras del Titoniano, esemplari conservati nel Museo di Apecchio e pubblicati nel Bollettino della Società Paleontologica Italiana nel 1993 (Oloriz, Sarti & Tavera) e 1990 (Sarti & Venturi). Gli ammoniti per varietà e quantità non sono ancora esaurientemente studiati. La montagna è ricca di questi fossili, che sono stati raccolti ed esposti nei musei di Piobbico e Apecchio, già citato.
Flora
Lungo le pendici sono presenti boschi e prati adibiti al pascolo, che mutano di tipologia salendo in quota. Si possono incontrare lecci, ornielli, carpini, faggi, sorbi, cerri, impreziositi nel sottobosco da ciclamini, orchidee, viole, gigli. All'occhio più attento appaiono nei boschi e nei prati i funghi, e con l'ausilio del cane si possono trovare pure tartufi.
Comune di Piobbico, arte natura e sapori alle pendici del Nerone.
Stefano Cresta, Guida alla sezione Geo-paleontologica del museo "Brancaleoni" e alla stratigrafia di Monte Nerone.
Gabriele Presciutti, Maurizio Presciutti, Dromedari Giuseppe, Il corridoio bizantino al confine tra Marche e Umbria, Pesaro 2014, ISBN 9788891141491
Gabriele Presciutti, Maurizio Presciutti, Dromedari Giuseppe, Pianello di Cagli - Viaggio nella storia di una vallata, Urbino 2010.
Federico Oloriz, Carlo Sarti, Josè Maria Tavera, "Simospiticeras (Ammonitina): una forma rara ma tipica nel Titoniano superiore della Tetide mediterranea", Bollettino della Società Paleontologica Italiana, v. 32(2), pp. 265–275, 1993, Modena.