Fin da bambino manifestò vivo interesse per i viaggi e l'avventura tanto che, dopo l'ennesima fuga di casa, per punizione fu costretto dal padre a imbarcarsi come mozzo su una nave italiana.
Disertò anche il modesto lavoro nella marina mercantile e cominciò a vagabondare fra Egitto, India, Indocina, Filippine e Cina.
Varie attività, affari, situazioni in giro per l'Asia e l'Africa ne favorirono la maturazione imprenditoriale, artistica e personale tanto che, a soli vent'anni, aveva già visitato tre continenti, sempre in bilico tra povertà e benessere.
Autodidatta, durante un soggiorno in Italia, ebbe occasione di collaborare con Il Popolo d'Italia che gli offrì una corrispondenza dall'Africa mentre era al seguito di un'esplorazione nella quale era stato ingaggiato come interprete. Da quell'episodio, durante gli anni trenta, cominciò la sua carriera di scrittore di successo, grazie alla vena artistica che lo contraddistingueva per le sue fantasiose e forbite descrizioni delle città, dei popoli e degli stati che andava visitando nei cinque continenti. Nel 1930 fondò Il Mattino d'Italia di Buenos Aires che diresse fino al 1933. In seguito fu corrispondente di guerra de Il Popolo d'Italia in Etiopia e in Spagna.
Grande e documentato viaggiatore, restò fino all'ultimo un convinto fascista. Nel 1938 fu tra i sostenitori pubblici del Manifesto della razza che precedette la promulgazione delle leggi razziali fasciste. Durante la Seconda guerra mondiale fu radiocommentatore; era la sua voce a ripetere alla radio italiana il motto: "Dio stramaledica gli Inglesi!"[1] con riferimenti e frasi contro il famoso complotto"demo-pluto-masso-giudaico." Dopo l'invasione tedesca della Polonia, fece notare che i successi germanici erano dovuti all'applicazione delle tecniche già impiegate dagli italiani in Catalogna, nella Guerra civile spagnola, peraltro opinione corrente nei circoli militari[2][3].
Nel corso della guerra si allineò completamente alla propaganda dell'Asse, talvolta inventando di sana pianta battaglie vittoriose per il Terzo Reich[4]. Nonostante la grande popolarità delle sue trasmissioni radiofoniche, il rifiuto di negare le difficoltà incontrate dalle forze armate italo-tedesche e i suoi toni sempre più pessimistici[5] lo resero inviso al Ministero della cultura popolare[6] e allo stesso Mussolini, fino al suo definitivo allontanamento dal microfono il 20 febbraio 1943[7]. Dopo il 25 luglio 1943, con l'arresto del Duce e la caduta del fascismo a seguito dell'approvazione dell'ordine del giorno Grandi da parte del Gran Consiglio, temendo ritorsioni si rifugiò, insieme con Virginio Gayda, presso l'ambasciata del Giappone[8].
^ Ada Gigli Marchetti, Il microfono del Duce, in Pretext, n. 6, novembre 2017.
^Il Ministero della cultura popolare, indicato a volte con l'acronimo irridente di MinCulPop, istituito nel 1937, può considerarsi il successore dell'Ufficio Stampa del Capo del Governo, istituito nel 1922.
^G. Frenguelli, C. Grazioli, La scrittura coloniale di Mario Appelius (1892-1946), in Lingua e cultura dell'Italia coloniale, a cura di G. Frenguelli e L. Melosi, Roma, Aracne, 2009, pp. 60-61.
^Vincenzo Petroni, "L'Italia dei padri. 1900-1950 mezzo secolo di immagini tra storia e costume", Ciarrapico Editore, Roma, 1986, pag. 221. ISBN 88-7518-073-3.
Bibliografia
Livio Sposito, Mal d'avventura. La storia di Mario Appelius, viaggiatore irrequieto, giornalista e avventuriero, fascista per caso, Milano, Sperling e Kupfer, 2002. ISBN 88-200-3351-8.
Gianluca Frenguelli, Chiara Grazioli, La scrittura coloniale di Mario Appelius (1892-1946), in Lingua e cultura dell'Italia coloniale, a cura di Gianluca Frenguelli e Laura Melosi, Roma, Aracne, 2009, pp. 57-88.
Ada Gigli Marchetti, Mario Appelius, il microfono del Duce, in Storia della comunicazione in Italia. Dalle Gazzette a Internet, Bologna, Il Mulino, 2002, pp. 129-146.
Alessia Pedio, Costruire l'immaginario fascista. Gli inviati del «Popolo d'Italia» alla scoperta dell'altrove (1922-1943), Torino, Silvio Zamorani editore, 2013. ISBN 978-88-7158-202-3.