L'idea dell'architettura universale, o La idea dell'architettura universale e Dell'idea dell'architettura universale in alcune edizioni successive, è un trattato dell'architetto rinascimentale Vincenzo Scamozzi (1548 – 1616). La storia della pubblicazione è piuttosto travagliata: avvenuta a spese dell'autore solo nel 1615, dei dieci Libri previsti vennero pubblicati solamente sei. Nonostante risulti incompleta si tratta comunque di un'opera mastodontica, le cui pagine variano dalle 828 dell'edizione del 1714[1] alle 832 dell'originale del 1615[2].
Il trattato è diviso in due Parti, la prima suddivisa in Libro I, II e III, la seconda in Libro VI, VII e VIII. Diversi sono gli argomenti indagati:
Lo Scamozzi lavorò assiduamente nel cercare quelle che lui definiva le belle forme in architettura: individuò pertanto delle norme generali che applicò poi in tutto il trattato. Tra le essenziali emergono le seguenti:
Tutte considerazioni, queste, di cui finora non aveva tenuto conto l'opera teorica del Palladio: da qui la funzione "curativa", di integrazione e ammodernamento, de L'idea dell'architettura universale nei confronti dei Quattro libri dell'architettura, che portò infine l'allievo a "contestare" il maestro. Ne deriva che:
Il linguaggio scamozziano, considerati i punti precedenti, genera una teoria architettonica rivoluzionaria per l'epoca e assai coerente nelle sue parti. Di particolare importanza sono i ben sei disegni illustrativi per Ordine comprensivi di soluzioni inedite, quali le colonne Tuscaniche alte 7 moduli e mezzo con triglifo liscio nella trabeazione, la già citata colonna Ionica di 8 moduli e tre quarti, la Composita di 9 e tre quarti, i colonnati impostati sopra piedistalli e l'arco Corinzio su piedistalli le cui alette non sono semplici piedritti disadorni, bensì un ordine di pilastri completo di capitello e trabeazione. Elementi che separano L'idea dai trattati precedenti quali quelli vitruviano, vignolesco e palladiano.
Il trattato, pur vivendo di una certa notorietà al di fuori del Veneto – lo dimostrano le ristampe olandesi[5] ed inglesi[6], nelle quali venne aggiunto materiale originariamente non presente – non vide applicazioni pratiche in Europa, dove il pensiero architettonico era orientato ad approfondire i temi del palladianesimo. Diversamente, trovò riscontri favorevoli in patria: giocarono probabilmente un ruolo nel suo successo lo studio e la passione che l'architetto dedicò ad ogni elemento dei propri Ordini architettonici e la chiarezza delle stampe con cui cercò di dimostrare la validità delle proprie teorie, affiancando – o scavalcando, per certi versi – la radicata eredità palladiana propria dell'architettura del Nordest italiano, ancora "tardo-rinascimentale" e non pienamente "moderna".
Per quanto Vincenzo Scamozzi risulti tuttora una figura sconosciuta, non lo era altrettanto nel Sei e Settecento. Le numerose edizioni successive, in lingua originale e non, de L'idea dell'architettura universale e gli edifici costruiti in laguna, secondo il suo stile, nell'arco dei due secoli dimostrano il successo e l'acclamazione che la sua opera ebbe all'epoca presso Venezia e tutta l'architettura veneta. Esempio calzante è la pressoché omogeneità tra il pronao di San Simeon Piccolo di Giovanni Antonio Scalfarotto e il colonnato Corinzio presente ne L'idea: lo Scalfarotto, assieme ad una nutrita schiera di architetti della Repubblica, è infatti uno dei seguaci del linguaggio scamozziano. Nota pure è l'attività di Baldassare Longhena, che progettò impiegandone gli ordini architettonici e ultimò anche – è il caso delle Procuratie Nuove – un edificio rimasto incompiuto dell'architetto vicentino. Persino in San Stae, di Domenico Rossi, generalmente riconosciuto come "palladiana" nell'intersecarsi in facciata di un ordine maggiore con uno minore – soluzione analoga per certi versi a quella di San Giorgio Maggiore – emerge nei dettagli una chiara impostazione "scamozziana".
Di seguito una lista parziale dei progettisti e relativi edifici che hanno ripreso almeno parzialmente le regole de L'idea:
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