Figlio di Mattia, orafo, e di Rosa Grassi, è stato un valente e rinomato scultore della fine dell'Ottocento. Ancora giovanissimo (1865) servì a bottega dallo zio Antonio Maccagnani, celebre per le sue statue in cartapesta, dove fece le sue prime esperienze nel "modellato" su figure di culto[2] mentre contemporaneamente studiava disegno con un altro zio, il pittore Giovanni Grassi. Realizzò così i ritratti del padre sia a olio che in pietra e alcuni bassorilievi di personaggi celebri o di tema mitologico oltre a vari studi-saggi ad altorilievo. Avendo presentato nel 1869 un'originale copia in terracotta del gruppo scultoreo del Ratto di Polissena di Pio Fedi, ottenne dal Consiglio provinciale di Terra d'Otranto un sussidio di 500 lire (portato a 800 l'anno successivo) per sei anni per poter studiare a Roma, dove si trasferì nel 1871 e dove frequentò l'Accademia di San Luca e lo studio dello scultore Ercole Rosa.[3]
Conseguiti svariati riconoscimenti accademici, eseguì numerosi busti (Manzoni, Vittorio Emanuele II, Garibaldi ecc.) mentre lavorava come modellatore di bozzetti presso altri scultori già affermati. Nel 1877 vinse un concorso con la statua in gesso Spartaco, nel 1878 partecipò all'Esposizione universale di Parigi e l'anno successivo si affermò a Torino nell'Esposizione nazionale con il busto in marmo Aspasia, premiato «per intelligenza e larghezza di piani e per carattere veramente scultorio», con l'enorme gruppo in gesso Combattimento del Mirmillone col Reziario, «notevole per singolare vigoria e dottrina del muscoleggiare»[4] e con l'Arabo sopra un cammello, un piccolo bronzo con cui iniziò un genere di produzione di particolare successo.
Le opere più note del Maccagnani sono nel Monumento nazionale a Vittorio Emanuele II in Roma, meglio conosciuto come "Vittoriano" o "Altare della Patria"; per quanto riguarda l'apparato scultoreo, egli fu uno dei principali collaboratori del progettista Giuseppe Sacconi, che lo apprezzava molto. In questo monumento sono opera sua i trofei d'angolo, le basi per le colonne trionfali davanti ai propilei, la statua della Guerra e le quattordici statue delle città nobili italiane, addossate alla base della statua equestre del re. Dopo la morte di Sacconi, Maccagnani continuò ad occuparsi delle sculture del Vittoriano. Sotto la direzione di Sacconi partecipò alla decorazione della cappella di San Giuseppe o Spagnola nel Basilica della Santa Casa di Loreto (1885-90), della tomba di Umberto I nel Pantheon (1900) e della Cappella espiatoria di Monza.
^"Relazione della Commissione giudicatrice per il conferimento dei premii alle migliori opere d'arte esposte alla Mostra Nazionale", in Gazzetta Ufficiale del Regno d'Italia, 22 luglio 1880, pp. 3016 e 3018 (consultabile anche on line).
^ Alfonso Panzetta, Nuovo dizionario degli scultori italiani dell'Ottocento e del primo Novecento, Torino, Ad Arte, 2003, p. 559, ISBN88-89082-00-3.
Bibliografia
Onorato Roux (a cura di), Illustri italiani contemporanei. Memorie giovanili autobiografiche di letterati, artisti, scienziati, uomini politici, patrioti e pubblicisti, Firenze, Bemporad e figli, 1909 (?), vol. 2 (Artisti), parte seconda, cap. 37 ("Eugenio Maccagnani"), pp. 189-207 (consultabile anche on line).
"Eugenio Maccagnani", nella rubrica 'Figure scomparse' della Rivista pugliese di archeologia, storia e arte Japigia, aprile 1930, p. 239 (consultabile anche on line).
Thorsten Rodiek, Das monumento nazionale Vittorio Emanuele II in Rom, Francoforte sul Meno, Lang, 1983, ("Maccagnani, Eugenio") pp. 362-363 con bibliografia. ISBN 3-8204-5418-7.
Gaetano Panazza, La scultura tra il XIX e il XX secolo in Brescia postromantica e liberty, Brescia, Grafo, 1985.
Antonio Edoardo Foscarini, "Biografia e lettere di Eugenio Maccagnani, 1852-1930", in Bollettino Storico di Terra d'Otranto, n. 5, 1995, pp. 231-277.